Difesa europea: è urgente ma va lenta. A Bruxelles i 27 cercano una sintesi

I leader convocati dal presidente del Consiglio Ue: sul tavolo la sicurezza continentale. Con la Francia debole e la Germania in crisi, neanche stavolta sapranno decidersi

Marco ZatterinMarco Zatterin
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, con Antonio Costa, presidente del Consiglio della Ue
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, con Antonio Costa, presidente del Consiglio della Ue

Sostiene Antonio Costa, il presidente del Consiglio Ue, che «la pace in Europa dipende dalla definizione di una soluzione completa, giusta e duratura per la guerra in Ucraina scatenata dall’aggressione russa».

Non solo. Il futuro della sicurezza continentale è legato anche, e in buona sostanza, a come i ventisette leader affronteranno il nodo della difesa comune. Per questo li ha convocati per oggi, 3 febbraio, a Bruxelles in sessione informale. Per capire cosa hanno in mente e cosa sono disposti a fare davvero – insieme! – per contenere con la deterrenza i rischi di nuovi conflitti. «Dobbiamo assumere maggiore responsabilità - è il messaggio dell’ex premier portoghese, un socialista –, dunque aumentare la collaborazione e gli investimenti».

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Francesco MorosiniFrancesco Morosini
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È una questione complessa in ogni stagione, ma ancor di più nell’attuale congiuntura politica scossa dall’incertezza legata al “fattore G”. G come Germania, Paese diviso e sull’orlo di una crisi di nervi che va alle urne il 23 febbraio e, sino a che non avrà un nuovo governo, farà una fatica ciclopica a restare sullo stesso treno dei partner a dodici stelle.

La convinzione di Costa, rafforzata dall’ondivago atteggiamento dell’America trumpiana nei confronti degli alleati europei e della Nato, è che «la nostra sicurezza sia minacciata» e che questo contesto geopolitico, segnato anche dalla situazione in Medio Oriente, «resterà difficoltoso nel prossimo futuro».

Per questo chiede ai capi di Stato e di governo dell’Unione di rafforzare le partnership internazionali – a partire dalla Nato -, di continuare a considerare le relazioni transatlantiche come pietra angolare di ogni costruzione, e di dare più forza e autonomia al loro sodalizio.

«È l’occasione in cui tutti possono esporre le loro idee», afferma una fonte diplomatica. Rapida a ricordare che l’Europa spende già tanto per la difesa (320 miliardi la stima del 2024), ma che da metà 2022 a metà 2023, il 63 per cento degli appalti militari sono stati vinti da aziende americane. Ragionare in termini di Europe first, sottolinea la fonte, sarebbe necessario quanto giusto.

Non fa una piega, però qui cominciano i distinguo. La Francia atomica di Macron, debole politicamente almeno sino a luglio, spinge per ridurre la dipendenza da Washington.

La Germania stenta a prendere posizione soprattutto sulla finanza congiunta, come del resto ha dimostrato nel 2022 quando, per rafforzare la difesa aerea, si è affidata agli israeliani. L’Italia, terzo Grande dell’Unione, è attesa sulla via di mezzo fra Europa e States, posizione in cui Giorgia Meloni si trova a suo agio, ma che molti partner non digeriscono affatto.

Al summit di oggi, inclusivo negli intenti, ci sarà anche il britannico Keir Starmer, extracomunitario e separato in casa con l’ex amico americano Trump, oltre che il segretario della Nato, l’olandese Mark Rutte (che batte cassa e vuole l’aumento del contributo europeo oltre il 2 per cento). Inutile attendersi conclusioni: sarà un giro d’orizzonte in attesa della comunicazione della Commissione Ue sulla Difesa.

Il metodo comunitario è una democrazia condominiale nella quale molti tendono a nascondere le proprie esitazioni. In realtà, se si crede che sia inevitabile avere un esercito, sarebbe opportuno spendere in modo oculato ed evitare duplicazioni.

Attualmente l’Ue ha 27 forze armate differenti, 23 aeronautiche e 21 marine. Opera con 27 tipi di tank contro il modello unico statunitense, che hanno sei piattaforme industriali per l’industria navale contro le 47 europee. È tanto e tuttavia è poco: per dare il contributo alla difesa di Kiev, la Repubblica Ceca ha fatto le sue commesse in Corea del Sud.

La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sogna una «unione della difesa» che, nella sua testa, risolverebbe problemi anche industriali.

Con investimenti congiunti e finalizzati alla realizzazione di obiettivi comuni, permetterebbe all’industria continentale (l’Italia ha Leonardo, tanto per cominciare) di fare un salto contabile e tecnologico. Oggi il settore è frammentato, con la conseguenza di ritrovarsi costi e tempi di realizzazione elevati.

Bisognerebbe almeno decidere di decidere in fretta. Non contateci. Con la locomotiva franco-tedesca bloccata, nemmeno la paura dei russi o i capricci di The Donald sortiranno effetti degni di nota. Chi scommette su un andamento lento, ha ogni chance di vincere. Molto, troppo, dipende dai tedeschi. Il leader popolare Merz, cancelliere in pectore secondo i sondaggi, ondeggia fra gli alleati storici (i socialisti) e le radicali sirene della destra dura di AfD che avanza prepotentemente. Berlino è in bilico su un nuovo mondo che ne ricorda parecchio uno vecchio.

Il Bundestag è confuso dai venti diagonali, eppure venerdì ha bocciato il patto popolari-ultradestra per i rimpatri accelerati, un vero smacco per Merz.

La grande ex dei cristianodemocratici, Angela Merkel, invita a non trattare con gente come Alice Weidel, che non trova così orrenda una retorica che richiama gli anni Trenta del secolo scorso.

Il Centro di ricerca “Jacques Delors” di Berlino avverte del rischio di una maggioranza impossibile dopo il voto. Uno scenario concreto è che passi la metà dell’anno senza un governo in Germania (e con la Francia assai debilitata). Posta questa premessa, la difesa europea – tema che oltretutto divide l’opinione pubblica – non decollerà in fretta. Pessima idea, questa. Perché se nel 2022 la guerra è tornata in Europa, in un avvenire non lontano, potrebbe avvicinarsi e trovarci impreparati e pericolosamente Usa-dipendenti.

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