Geopolitica e (poca) diplomazia: chi sono gli alleati e a chi non farà sconti Donald Trump
Zero trattamenti di favore, né alla Russia né all’Europa. La Cina è considerata il vero rivale. Per l’Ucraina in arrivo una soluzione “coreana”, mani libere a Nethanyahu, l’Europa soffrirà
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca avrà profonde conseguenze anche sul piano internazionale. È presumibile che, nel corso del nuovo mandato presidenziale, The Donald - confortato dalla larga vittoria elettorale e dal controllo del Congresso e liberatosi dalle storiche élite repubblicane internazionaliste realiste che, nella precedente esperienza di governo, lo avevano contenuto -, persegua una linea più radicale non solo in politica interna, ma anche in quella estera. Con prevedibile impatto sulle relazioni con Stati alleati, competitori o nemici, ma anche con organismi sovranazionali come Onu e Ue, e su questioni globali come il mutamento climatico, il potere delle Big Tech, la questione dell’intelligenza artificiale, i flussi finanziari.
La guerra in Ucraina
È in primo luogo all’Ucraina che Trump si riferisce quando dice di voler mettere fine alle guerre. Probabile che intenda porre termine a quel conflitto, gravoso economicamente anche per gli Usa, in maniera più soddisfacente per il Cremlino che per Kiev. Del resto, Trump ha sempre cercato l’intesa con Putin, non ritenendo la Russia, ma la Cina, il vero competitore strategico dell’America. Per evitare che Mosca si saldi definitivamente con Pechino, è possibile che il nuovo inquilino della Casa Bianca faccia concessioni poco digeribili per Zelensky. Puntando a una soluzione “coreana”, un armistizio stabile , anche senza pace formale e riconoscimento dei nuovi confini, che consegni buona parte dei territori occupati, compresa la Crimea, ai russi, in cambio dell’ingresso di quel che resta dell’Ucraina nel sistema di alleanze occidentale. Con una postilla non da poco: che la ricostruzione ucraina sia in larga parte a carico dell’Unione europea.
Il Medioriente
Nel quadrante mediorientale, invece, la fine del conflitto avverrebbe lasciando mano libera a Netanyahu, non a caso entusiasta del suo arrivo alla Casa Bianca e dell’essersi liberato di Biden e Harris, che pure non hanno mai smesso di sostenere Israele, ma volevano limitarne le ambizioni strategiche.
Per Trump il fatto che Tel Aviv allarghi il conflitto non è un problema, se ciò riporterà al tavolo degli Accordi di Abramo i sauditi, finalmente liberi di sottoscriverli senza preoccuparsi, come facevano prima del 7 ottobre, dei palestinesi. Insomma, la guerra a oltranza a Hamas e Hezbollah, così come, se necessario, lo scontro definitivo con l’Iran - passaggi che consentirebbero a Israele di ridisegnare l’assetto della regione per decenni -, non troverebbero troppi ostacoli in riva all’Hudson.
Le difficoltà dell’Europa
L’Unione europea è destinata a incontrare non poche difficoltà con il nuovo corso americano. Non solo sul versante ucraino, dove la chiamata alle armi dell’amministrazione Biden l’ha impegnata a sostenere militarmente e economicamente Kiev e a ridefinire lo spazio geopolitico dell’approvvigionamento in materia di energia, ma anche su quello della guerra commerciale. Come è tipico di ogni forza sovranista, e l’America trumpiana lo è decisamente, Washington non farà trattamenti di favore a nessuno: competitori strategici o alleati che siano. Nella guerra dei dazi, Cina e Europa pari sono per Trump. Del resto , così esige un pezzo rilevante del blocco sociale che gli ha dato la vittoria elettorale: quello che chiede protezione sociale, difesa dall’inflazione, soprattutto quella importata, tutela delle produzioni nazionali.
I contraccolpi per l’industria
I contraccolpi per l’industria europea, in particolare per i settori che esportano, come quelli italiani, potrebbero essere pesanti. Trump metterà, poi, sul piatto una maggiore compartecipazione dell’Europa ai costi della sua sicurezza, garantita essenzialmente dagli Stati Uniti. Il che implica un deciso innalzamento delle spese militari a scapito di altre voci, dagli investimenti alla spesa sociale. Passaggio che, nello sguardo del tycoon nuovamente insediato nello Studio Ovale, comunque non esclude un mutamento al ribasso della funzione strategica e della capacità operativa della Nato, che potrebbe tornare allo stato “comatoso” pre-conflitto ucraino.
La questione climatica
Quanto alla questione climatica, con gli Usa decisi a ritirarsi dagli Accordi di Parigi e dai tavoli sulla transizione verde, oltre che a riprendere le trivellazioni interne a spingere sul terreno delle energie fossili, diventerà assai più problematica di quanto già lo sia.
Il fronte cinese
Sul fronte cinese, Trump non solo farà una guerra economica a colpi di dazi, ma metterà anche in discussione l’architettura della globalizzazione così come si è delineata nei primi due decenni del XXI secolo. Puntando a ridislocare altrove le catene transnazionali di valore che, a suo avviso, minacciano oggi la sovranità Usa. La minore dipendenza da Pechino consentirebbe alla Casa Bianca di trattare con la Città Proibità senza timori per le conseguenze che potrebbero derivarne: non solo a proposito di Taiwan.
Il ruolo dell’Italia
In tutto questo l’Italia? È nella barca europea, che dovrà attrezzarsi per reggere l’onda del sovranismo a stelle e strisce. Si illudono i sovranisti nostrani- in particolare quelli con pulsioni orbaniane -, se pensano che il Paese possa trarre vantaggi dai nuovi equilibri. Le forze sovraniste – tutte e a tutte le latitudini -, pensano solo a sé stesse. In quello stesso filone vi è chi scorge nel trumpismo la leva per scardinare la sempre invisa Europa. Una deriva che non dovrebbe piacere nemmeno a Meloni.
Al di là delle maggiori affinità politiche con Trump più che con Biden - con il quale pure aveva esibito una linea ipertlantista capace di leggitimarla internazionalmente -, il secondo assalto al cielo del tycoon mette in difficoltà anche l’Italia. Sarebbe un errore pensare che, nonostante il buon rapporto personale con il sempre più l’influente Musk, ci possa essere salvezza per Roma nell’ambito di “speciali” rapporti bilaterali tra Usa e paesi europei, che il trumpismo perseguirà nell’intento di ridurre il peso della Ue. Nonostante le difficoltà, è pur sempre in Europa che si gioca il nostro futuro. —
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