FdI lascerà il Veneto alla Lega, ma sta sfumando il rinvio del voto
Il match nazionale sul dopo-Zaia: Meloni potrebbe accontentarsi di 3 assessorati pesanti per tenere unita la coalizione

«Ora qui salta tutto, a questo punto si andrà a votare a novembre», confida sconsolato uno dei pezzi grossi del Carroccio sotto garanzia di anonimato.
La sgradita notizia sta già facendo il giro tra i big che contano, anzi Matteo Salvini l’aveva messa in conto in caso di stop al terzo mandato di Luca Zaia da parte della Consulta.
Sì, perché ora in Veneto la partita si fa più dura per il Capitano: se Giorgia Meloni volesse cedere alla richiesta pressante di lasciare alla Lega la candidatura a governatore anche senza il Doge in campo, certo la premier non vorrà concedergli pure il contentino aggiuntivo di uno slittamento di sei mesi della data del voto regionale.
Che richiederebbe, secondo i giuristi del Pd, anche il varo di una legge ad hoc, quanto di più lontano dalle priorità della leader di FdI. «Un rinvio – protesta il segretario regionale del Pd, Andrea Martella – si potrebbe fare solo varando una legge nazionale come si fece nel 2020 per il Covid. E non ci sono motivazioni straordinarie per poterlo fare».
Quindi, sfuma lo slittamento del voto alla primavera del 2026 chiesto da Salvini (e benedetto dal ministro Piantedosi), che consentirebbe a Zaia di portare la fiaccola delle Olimpiadi di Cortina a febbraio 2026: allungando di sei mesi la consiliatura e procrastinando la resa dei conti tra il Capitano e la premier. Entra così nel vivo la battaglia per la scelta del prossimo candidato governatore veneto, con tutti gli annessi e connessi che vedremo tra poco.
In Campania
In Campania invece le cose si mettono meglio per Elly Schlein. Privata, grazie alla Consulta, del fantasma di un Enzo De Luca antagonista del Pd sulle schede elettorali campane, la segretaria ha buon gioco per tentare di stringere all’angolo “o’ governatorissimo”.
I segnali già ci sono: il primo è la benedizione inaspettata di De Luca alla piazza pacifista dei 5 stelle, letta come richiesta di appeasement. Il secondo è più riservato e glielo hanno riportato i suoi sherpa dal fortino partenopeo.
In pratica, De Luca sarebbe perfino pronto ad appoggiare Roberto Fico, grillino doc, ex presidente della Camera. Il quale da giorni, con la benedizione del leader M5s Giuseppe Conte (e quella di Elly Schlein dietro le quinte) sta già cavalcando una campagna elettorale porta a porta, convinto di poter ambire alla poltrona di Palazzo Santa Lucia, dove ha sede la giunta regionale campana.
A sostenere la sua corsa, oltre all’asse Pd-M5s-Avs, ci sarebbe in tal caso una lista appoggiata dal governatore uscente (un nome è Mario Casillo) per portare al sicuro in un “voto utile” alla causa le migliaia di preferenze accordate negli anni a De Luca. Ma per siglare un patto di non belligeranza, sul tavolo di De Luca verrebbero depositate una serie di offerte rassicuranti: la promessa di vedere il nome di suo figlio Piero (oggi deputato di punta nel gruppo) nelle liste elettorali delle politiche del 2027; nonché alcuni assessorati di peso per persone di provata fede.
Solo così Elly potrebbe scongiurare la messa in scena di una tragedia greca in salsa partenopea, la corsa in solitaria contro tutti di un uomo di De Luca, con due esiti possibili: strappare o una vittoria eclatante con squilli di trombe e mortaretti; o una sconfitta del campo largo frantumato a pezzi, che produrrebbe un rimbalzo nefasto su scala nazionale per Elly: la fine ingloriosa della sua battaglia contro i “cacicchi” con cui ha vinto le primarie e preso la guida del Pd.
Si capisce quindi perché la segretaria abbia dato ordine ai suoi (il suo braccio destro Marco Sarracino e il commissario in Campania Antonio Misiani) di chiudere un accordo con don Enzo.
In Veneto
In Veneto la partita vera si apre ora: tutti concordano che il Doge continuerà a dare le carte, così come in Campania De Luca. Il candidato dovrà essere un nome a lui gradito, che possa avere dalla sua l’appoggio di una lista su misura (senza Zaia formalmente candidato) che garantisca di non disperdere il tesoro di preferenze personali del governatore uscente.
In tale ottica, i nomi in corsa sono soprattutto due: la vice presidente della giunta Zaia Elisa De Berti e il potente, ancorché giovane, segretario regionale Alberto Stefani, deus ex machina della pax interna siglata al congresso di Firenze e uomo-cerniera tra il Doge e il Capitano.
Meloni in tal caso dovrebbe però rinunciare alla conquista di almeno una regione nella prossima tornata (le Marche sono a rischio, Toscana, Puglia e Campania sono tutte in salita).
E si dovrebbe accontentare di poter esprimere il candidato della Lombardia nell’ancora lontano 2028 e tre assessorati pesanti subito in Veneto: Sanità, Lavoro e Viabilità.
Forse un po’ poco per una leader che nel Veneto ha collezionato alle europee il 37 per cento di voti e che non vuole certo sfigurare al cospetto della sua rivale nel prossimo test elettorale di mid term. Ma se non cederà a questo pressing, il Carroccio potrebbe implodere e con esso tutto il governo di centrodestra. —
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