Primo stop per Meloni, e Schlein inchioda Conte
Cosa ci dice la vittoria del campo largo in Emilia-Romagna e Umbria, così indigesto all’ex premier. E una prima crepa nel muro finora granitico del centrodestra
La premier perde 2 a 1 questa tornata autunnale di elezioni amministrative e spera di rifarsi quando andranno al voto altre sei regioni, tra cui il Veneto, su cui sta consumando una guerra di potere con la Lega per chi sarà il candidato post-Zaia. Per Giorgia Meloni (che pur troneggia in 14 regioni su 20) questa è la prima battuta d’arresto, per Elly Schlein è la prima vittoria, perché in Sardegna vinse una candidata dei 5stelle. Ma se la segretaria del Pd può rallegrarsi che da queste elezioni in Umbria ed Emilia Romagna il bipolarismo che vedrà contrapposte due donne alle prossime elezioni si sia ulteriormente cementato - un film molto apprezzato dalla cinefila e ambiziosa Elly – la presidente del consiglio invece ne esce alquanto ammaccata.
Il suo partito, Fratelli d’Italia, subisce un primo calo significativo (in Umbria perde un terzo dei voti e in Emilia Romagna il 20% rispetto alle europee) che dovrebbe farla riflettere: conferma un problema di classe dirigente nei territori, così come nella Capitale. Ma non solo: questa sconfitta umbra segna anche una prima crepa nel muro finora granitico del centrodestra, se volessimo considerare la perdita di una regione pur piccola, ma ricca, come un test per il governo Meloni.
E mentre in Liguria la mossa di candidare un civico come Marco Bucci ha premiato, in Umbria puntare sul fattore Bandecchi non ha fatto la differenza: anzi forse si è rivelato respingente, vista la forbice più ampia con cui ha vinto la sindaca di Assisi rispetto alle previsioni della vigilia, che davano un testa a testa. Ma ormai i sondaggi scontano quella che nella mitologia greca era la maledizione di Cassandra, le cui profezie non venivano credute anche quando erano giuste.
Per Giuseppe Conte invece si spalancano le porte dell’inferno, politicamente parlando. Da una parte la vittoria del campo largo aperto anche ai renziani, in entrambe le regioni, ridà fiato ad una prospettiva che un mese fa sembrava superata. Ha buon gioco il dem Walter Verini a notare che “parlare di problemi veri, avere candidati molto radicati e una coalizione ampia e senza veti, è la strada che l’Umbria indica sul piano nazionale”. Anche locale, in vista delle regionali di primavera, tutte cruciali: oltre al Veneto, la Toscana – dove servono i voti di Renzi - Puglia, Campania, Marche e Val d’Aosta.
Si sa quanto il campo largo sia uno sbocco indigesto all’ex premier, ma a questo punto difficilmente eludibile, ora che si è dimostrato che solo tutti (ma proprio tutti) uniti si vince. Dall’altra parte però la crescita del Pd a fronte di una debolezza dei 5stelle (che in Emilia hanno preso un decimo dei voti), porta acqua al mulino di chi tifa per lo splendido isolamento delle origini. Fa nulla che questo isolamento, già sperimentato dall’avvocato del popolo quando decise di far cadere il governo Draghi (sapendo che sarebbe poi andato da solo al voto), non gli portò alcun sollievo dalle urne.
L’autonomismo dei 5stelle fa ancora tanti proseliti e il bivio si spalancherà di fronte a Giuseppi, ringalluzzito dalla vittoria del suo mentore Donald Trump e quindi ancor meno propenso a legarsi le mani con la sinistra radicale del nuovo Pd e di Avs. Ma la scelta (con tanto di votazioni dei militanti) che dovrà affrontare domenica alla convention del Movimento è di quelle che segnano la vita o la morte di un partito.
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