Vance il vincitore, Harris la sconfitta: perché l’America non è ancora pronta al cambiamento
L’analisi dei professori Vezzosi e Buonomo sul futuro degli Usa e il ritratto di due figure chiave delle elezioni 2024: la vicepresidente uscente e il prossimo vicepresidente, lei a favore delle donne e lui misogino
Nelle elezioni presidenziali americane del 2024, il candidato repubblicano Donald Trump ha conquistato la vittoria, battendo la democratica Kamala Harris, che ha accettato la sconfitta con un messaggio ai suoi sostenitori. Kamala Harris ha ribadito il suo impegno per i temi principali della sua campagna, promettendo di continuare a battersi per i diritti civili e la giustizia sociale.
Accanto a Trump, il nuovo vicepresidente sarà J.D. Vance, che ha accettato il ruolo e sarà un punto di riferimento per l’amministrazione entrante. Questa elezione rappresenta un’importante svolta politica per gli Stati Uniti, aprendo una nuova fase per la Casa Bianca. E proprio sulla figura di Kamala Harris, sconfitta, e JD Vance, il vincitore, che ruotano le analisi di voto.
«Presidente donna? Gli americani non sono pronti»
La valutazione della docente di Storia americana Vezzosi: «Harris ha fatto un miracolo nonostante la sconfitta»
«Gli Usa non sono pronti per una donna presidente». Questa è una delle valutazioni di Elisabetta Vezzosi, docente di Storia delle Americhe, a capo del dipartimento di studi umanistici dell’Università di Trieste fino a pochi mesi fa e già presidente dell’associazione italiana di studi Nord-Americani (2016-19) e della società italiana delle storiche (2009-12).
Professoressa, è rimasta sorpresa dal risultato elettorale?
«Non è stata una sorpresa che abbia vinto Trump. Trump e i voti a Trump sono sempre stati sottostimati, è successo anche nel 2016 e nel 2020. La sorpresa è legata all’entità della vittoria, a cui va aggiunto che i repubblicani hanno vinto il Senato e probabilmente la Camera dei rappresentanti. Trump ha già dalla sua la Corte suprema. Dunque avrà le mani libere per far approvare qualsiasi tipo di legislazione. Questo non era previsto da nessuno».
Alla vigilia del voto c’erano grandi aspettative che le donne potessero decidere le elezioni. È possibile che il genere di Harris abbia pesato invece in negativo?
«Speravo di no, ma penso di sì. Questo voto ci dice che gli Usa non sono pronti per votare una donna. Molti maschi ispanici, ma persino maschi afroamericani hanno votato per Trump. Obama ha dovuto tenere una conferenza nazionale per convincere gli uomini a votare Harris. È grave. Lei non è nuova alla difesa dei diritti delle donne, fa parte del suo Dna, ma non è bastato: alle donne interessavano anche l’economia, l’istruzione, il controllo delle armi e l’ambiente. Hanno votato per Harris l’8% in più di donne, ha riscosso meno consenso tra le donne di Biden e di Hillary Clinton».
E diversi Stati in cui c’era un referendum sull’aborto – che pareva un tema preoccupante per le donne in maniera bipartisan – ha vinto la stretta...
«Si sperava che le donne si mobilitassero di più, che le bianche trumpiane votassero Harris o si astenessero per questo, non è successo. In più Trump ha riscosso più consensi anche tra i giovani under 30, la stessa categoria che aveva portato il primo presidente nero alla vittoria. Le prospettive e gli obiettivi dei giovani evidentemente sono cambiati. E il voto degli ispanici e degli asiatici per Trump ci dice che più si integrano nella società più acquisiscono i modelli di voto dei bianchi. In più molti sono cattolici e contrari all’aborto e alle nozze delle persone dello stesso sesso».
Che cosa c’è dietro questo grande successo di Trump?
«Viene votato soprattutto da uomini e donne con bassa scolarità, convinti che lui possa aggiustare l’America. Hanno una fiducia del tutto irrazionale nelle sue capacità di raddrizzare l’economia. E tutto questo avviene dopo che c’è stato l’assalto a Capitol Hill, che ha 34 capi d’imputazione, che ha offeso donne e portoricani, che ha detto che sarebbe bene uccidere Liz Cheney e sparare ai giornalisti. È un grave vulnus alla democrazia. Ma è come se tutto questo non contasse».
E come mai?
«Perché non danno peso a quello che dice ma solo a quello che pensano possa fare. Negli ultimi comizi c’erano pochissime persone ad ascoltarlo. Lo staff lo attribuiva al fatto che tanti avessero già votato. Ma in realtà credo che sia successo perché molti erano convinti di votarlo a prescindere da quel che diceva, perché viene ritenuto la persona che può far rinascere l’economia e sono oppressi dall’inflazione. Ma la sua fama di riparatore non è suffragata da dati di fatto: all’inizio del primo mandato è andata bene per effetto delle politiche di Obama. E Biden ha avuto ottimi risultati, la disoccupazione è al 3%, certo i prezzi sono alti. Ma l’inflazione non dipende dal presidente».
Alcuni analisti parlano di un insuccesso di Harris, ritenuta priva di leadership...
«È riuscita in una specie di missione impossibile: in pochi mesi ha dato una carica di energia molto forte, ha dato il senso che ci può essere una leadership della gioia e non solo della rabbia. Non ha avuto grande leadership da vicepresidente – e questo è normale, è parte del ruolo – ma dal giorno dopo in cui ha ricevuto la nomination ha tirato fuori una grande forza. È una donna preparatissima, l’abbiamo visto».
«Il peso di Vance, l’autore misogino»
Buonomo dell’associazione di studi Nord-Americani: «Ha portato attenzione su una popolazione dimenticata»
«La scelta di J.D. Vance, autore di un bestseller, “Hillbilly Elegy”, ha portato l’attenzione su una fascia di popolazione dimenticata, la popolazione dell’America rurale bianca, che soffre per la dipendenza da droghe, per la deindustrializzazione. E ha confermato una strategia che puntava molto all’elettorato maschile: Vance ha promosso una visione del mondo in cui i ruoli di genere sono quelli tradizionali, ha affermato poi che una delle minacce per l’America moderna è quella che gli immigrati fanno più figli degli americani. Ma quando uscì il suo libro fu lodato quasi universalmente, sia dagli osservatori di destra, sia da quelli di sinistra: fu ritenuto una lettura fondamentale per capire l’America di Trump».
Lo ha sottolineato Leonardo Buonomo, docente di Letteratura americana e attuale presidente dell’associazione italiana di studi Nord-Americani, nel commentare una campagna elettorale segnata dalle parole, soprattutto quelle shock.
Professore, che cosa si coglie su di lui dal suo libro?
«Il messaggio forte del libro è che tutto dipende dalla fiducia in se stessi. Vance proviene da un contesto disagiato ma riesce a riscattarsi grazie allo studio. Il volume però contiene messaggi contraddittori: prende di mira ad esempio gli strati più deboli della popolazione che usufruiscono dei food stamps – i buoni che consentono di acquistare beni alimentari –, insomma se la prende con chi usufruisce del poco di rete di assistenza sociale che c’è negli Stati Uniti. Nel libro c’è poi un’ostilità molto forte contro le donne. La madre – che ha sofferto di dipendenza dall’eroina – è presentata come l’ostacolo più forte alla sua ascesa. E nemmeno la vera eroina del libro, la nonna, che lo spinge a studiare e a perseverare nonostante tutto, sfugge all’atteggiamento misogino. Quando parla del nonno materno, un alcolizzato e un violento, afferma che tutto questo è dovuto al carattere di sua nonna, che lo provocava».
Le sue uscite durante la campagna elettorale sono state viste come scivoloni...
«Tradizionalmente la scelta del vicepresidente incide pochissimo, è un ruolo incolore Credo che l’impatto sul voto di Vance sia stato minimo, anche se è stato molto gradito dagli ambienti più conservatori. Vance ha avuto un ruolo importante nella stesura di questo documento, “Project 25”, che vorrebbe ridisegnare la società americana secondo criteri conservatori».
Cosa si può dire sulle parole che Trump sceglie?
«Le parole violente che hanno contraddistinto la sua comunicazione sembrano capire il sentimento di una grossa fetta della popolazione americana, giustamente preoccupata perché fa fatica ad arrivare a fine mese e prova un senso di liberazione nel vedere un uomo che trasgredisce e ha sdoganato certe espressioni che la maggior parte dei candidati si vergogna a usare. È innegabile che molti americani sono in difficoltà per l’inflazione in questo momento, e sentirsi dire, come hanno fatto i democratici, che l’economia va benissimo – anche se sotto molti punti di vista è così – non poteva funzionare. Trump ha scelto un messaggio di una semplicità disarmante, e la semplicità funziona.
Ormai moltissimi elettori non leggono i giornali, non guardano la Tv e si informano sempre più con pillole che colgono dai social media. Pare che un endorsement molto importante sia stato quello di Joe Rogan, un podcaster con milioni di seguaci, tipicamente uomini conservatori. Ma Trump ha aumentato enormemente il suo consenso fra gli uomini ispanici, un elettorato giovane, di figli o nipoti di immigrati che pensano soprattutto alle questioni economiche, come il fatto che non si possono permettere di comprare una casa e si rifiutano di votare in nome dell’identità etnica».
Che cosa è cambiato?
«La lettera aperta di Bernie Sanders, indipendente che nel 2016 si candidò e rappresentò l’unica vera alternativa a Hillary Clinton, al partito democratico è una delle analisi più lucide. Dice che nessuno si dovrebbe sorprendere se il Partito democratico che ha abbandonato i lavoratori scopre di essere stato abbandonato dai lavoratori. Hanno iniziato a votare a destra i lavoratori bianchi, ora gli ispanici e afroamericani. Come succede ormai in molte democrazie occidentali, i partiti progressisti vengono visti come protettori delle elite».
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