Monti: «Meloni non diventi il cavallo di Troia del trumpismo»

L’ex premier sulle mosse della presidente del Consiglio: «Come italiano mi fa piacere che intrattenga un buon rapporto con Washington. Spero sia la cerniera e non la lama che spacca in due l’Ue»

Carlo BertiniCarlo Bertini
L'ex premier Mario Monti
L'ex premier Mario Monti

Con il physique dù role di un attore inglese, chioma bianca - occhi azzurri, Mario Monti piega la bocca in un sorriso amaro mentre parla di come Giorgia Meloni si potrà rapportare a un Donald Trump strabordante, di come sia stata «umiliante e disastrosa» la sfilata dei grandi players americani al cospetto del tycoon. E di come, appunto, la nostra premier dovrà evitare di trasformarsi nel «cavallo di Troia del trumpismo in Europa».

L’ex premier sfoggia il suo sense of humor nel salone della stampa estera a Palazzo Grazioli, che di Berlusconi fu la residenza romana teatro di mille racconti. Per questo, «mi fa effetto dirlo proprio qui», è l’intercalare tra una considerazione e l’altra. Quasi a scusarsi con colui che disarcionò dal trono di Palazzo Chigi con la regia di Giorgio Napolitano. Ma con una buona dose di gigionismo, l’ex premier risponde di buon grado alle domande dei corrispondenti esteri, concedendo alla fine anche dei questions and answers bilaterali.

Il senatore a vita, ex bocconiano, ex commissario europeo alla Concorrenza («e alla Fiscalità!», precisa sorridendo) ricorda le accuse di cui fu bersaglio - «espressione dei poteri forti» - mentre sfodera tutto il suo scetticismo sulla possibile tassazione dei big del web in Europa. Rispolverando la sua battaglia del 2000 contro il gigante Microsoft, spalleggiato da una piccola azienda, Google, che temeva di perdere spazio vitale. Saltando tra presente, passato e futuro, l’autore della “macelleria sociale” – l’accusa più urticante dopo il taglio delle pensioni - si lancia in previsioni e si lascia trasportare in un fiorire di episodi che riportano a quel 2011 quando l’Italia stava collassando sotto gli effetti della crisi. Salvata anche dall’aiuto di Obama che «convinse Merkel ad allentare la stretta della Bce nei nostri confronti».

Senatore, che rischi corre l’Europa da un eccessivo appiattimento della nostra premier al trumpismo?

«Non bisogna che la presidente del Consiglio diventi un cavallo di Troia del trumpismo in Europa. Ma detto questo, meglio il nostro sovranismo che quello americano».

E cosa può sortire da un rapporto privilegiato tra Meloni e Trump?

«Io come italiano sono contento che il capo del governo italiano, che ha l’aria di poter durare per un certo tempo, abbia un buon rapporto con gli Stati Uniti. La premier è del tutto diversa da quella che per anni ha sparato a zero sulle politiche dei suoi predecessori, a cominciare da me. Gli economisti dovrebbero inventarsi una tassa sul trasformismo e il problema del disavanzo pubblico italiano sarebbe risolto. Poi, avere un primo ministro che indubbiamente sa farsi molto valere è una bella cosa. Speriamo sia cerniera e non una lama che spacchi in due l’Ue».

Quindi un rischio esiste?

«L’Europa dovrebbe fare a meno dei capifila, che dovrebbero essere il presidente della Commissione e del Consiglio europeo. Certo, personalità forti intorno a quei tavoli aiutano. E penso non sia illegittimo trarre benefici per il proprio Paese. Ma se questi vantaggi dovessero essere ottenuti in aree di competenza esclusiva della Commissione Ue, come quella commerciale, mi aspetterei che Bruxelles aprisse una procedura di infrazione per quel Paese che, grazie a un rapporto privilegiato con Washington, intraprenda una strada particolare».

Pensa che Meloni si farà dettare l’agenda da Trump e Musk?

«La premier in Senato ha detto che il suo rapporto con Trump non significa che si farà dettare l’agenda, ma allora mi aspetto che la prossima volta che Musk faccia una critica al sistema giudiziario italiano, non sia poi il presidente Mattarella a rimediare al ritardo due giorni dopo, in modi felpati: a dire che l’Italia può pensare a sé stessa. Ma che un comunicato di Palazzo Chigi spieghi che Meloni ha telefonato al signor Musk per dirgli: «Ehi Elon, stop it!». Ciò non romperebbe l’amicizia, ma darebbe il senso della dignità di ogni Paese».

Nel 2919 Trump fu meno severo con l’Italia sui dazi, rispetto a quelli applicati ai prodotti dei Paesi europei. Ce la farà Meloni ad assorbire i colpi meglio di altri anche questa volta?

«Ma il 2019 era quello in cui Trump definì il premier Conte Giuseppi, giusto? Bene, ciò che invece auspico è che nessun europeo riesca a stabilire con gli Stati Uniti un trattamento troppo di favore. Perché vorrebbe dire che la Direzione centrale del Commercio Estero a Bruxelles non riesce a dominare le diverse situazioni».

E cosa pensa della richiesta di Trump ai Paesi europei di aumentare del 5% le spese militari?

«Sulla spesa per la difesa, penso che Trump abbia ragione e come lui anche Biden. L’Europa ha fallito nel 1954 quando l’assemblea nazionale francese non ratificò il trattato sulla comunità europea della difesa. C’è voluta l’invasione russa dell’Ucraina qualche decennio dopo perché ci riponessimo il problema. Penso sia molto difficile l’unificazione degli apparati, delle catene di comando, in concertazione con la Nato. Ma penso che dovremmo farlo in ogni caso, perché gli Usa hanno dato prova di una volubilità nella politica estera: come europeo non vorrei delegare esclusivamente a loro la difesa della vita e dei nostri valori. Anche se dobbiamo sempre ricordare quanti di loro sono morti per noi».

Su molti dossier Trump riuscirà a spaccare l’Europa?

«Noi ci facciamo cogliere impreparati nell’80% delle materie. Siamo già divisi, dato che non abbiamo dato poteri unitari alla Commissione Ue, quindi non la sua azione non sarà tanto lesiva di un’unità che non c’è. In questa situazione vedrei riprovevole e pericoloso se la Commissione avesse un atteggiamento soft in aree dove gli Usa mirino a dividerci con trattamenti differenziati. Poi ci sono aree dove l’atteggiamento di Trump ci suggerisce di accelerare un comportamento comune».

A proposito, come si regolerà l’Unione europea con i giganti del web?

«Purtroppo il cambiamento sul fronte fiscale probabilmente ci sarà, non a causa dell’Ue, ma perché gli Usa fanno sapere che vogliono abbandonare l’accordo Ocse sulla minimum tax del 15%. E che era stata una faticosissima conquista con il presidente Biden. Non mi sembra il momento più propizio quindi per imporre una tassazione».

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