Test Lombardia per la Lega del futuro, congresso decisivo verso le Regionali
Carroccio diviso, due i candidati in lizza per la segreteria.
Una partita che influenzerà anche le scelte per il Veneto
Primo punto, evidente: se per caso Matteo Salvini riuscirà a tenersi il Veneto, ovvero a candidare (in mancanza dell’asso Luca Zaia) un leghista alla Regione a nome del centrodestra, per forza di cose perderà lo ius primae noctis sull’altra roccaforte storica, la Lombardia.
Non sarebbe una perdita da poco e non è un buon viatico questo spettro all’orizzonte per i leghisti che di qui al 15 dicembre andranno al voto per nominare un segretario lombardo del partito, dopo aver subìto un decennio di commissariamento forzato.
Le urne però sono spietate e testarde, in ogni loro recente apparizione sulla scena politica (europea o regionale) hanno dato dispiaceri al Capitano. E Giorgia non vuole sorvolare, vanno riequilibrati i pesi. Quindi la prima debolezza che sconta il Capitano è che Fratelli d’Italia insidia il potere nel nord del Paese, finora a trazione unica della Lega: numeri alla mano, quattro governatori a Salvini (Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia) sono troppi, se si conta che FdI non ne ha nessuno sopra gli Appennini. Pur avendo il quadruplo dei voti.
Punto secondo, proprio in Lombardia, il segretario subisce il primo schiaffo da quando è leader, assistendo inerme alla spaccatura di un partito come la Lega, unico in Italia a mantenere una struttura leninista, centralizzata allo stremo.
E fin qui senza sbavature: ma l’assetto scricchiola, se sotto il Pirellone, invece di un solo candidato alla segreteria regionale, ce ne sono due, senza contare che un terzo si è ritirato per protesta. Quel Cristiano Invernizzi, ex deputato non ricandidato nel 2022, che ha messo la firma in calce a una missiva – destinatario Matteo – contro la deriva destrorsa culminata con la candidatura del generale Vannacci.
Indigesta ai colonnelli della vecchia guardia.
«Ti chiediamo perché – ecco il passaggio chiave – abbiamo smesso di dialogare con forze autonomiste e federaliste, per accordarci con chi non ha la nostra naturale repulsione nei confronti di fasci e svastiche». Boom, tanche ma non per nulla, poiché il petardo esploso a via Bellerio ha lasciato il segno, giù e su per li rami.
Non è un caso se lo stesso Zaia abbia ammesso, pur a denti stretti, che alcune scelte politiche, come la deriva a destra, quella contro le «zecche comuniste» e contro gli immigrati, vanno «ritarate».
Punto terzo, consequentia rerum: se il Capitano fallisse la mission di tenersi il Veneto, tra le file dei suoi scoppierebbe un bubbone tale da non garantire a Meloni i voti leghisti per un candidato governatore, ancorché unitario, del centrodestra.
E al segretario avere il partito Veneto messo di traverso, privo di un governatore leghista alla Regione, (nonché senza alcun ministro al governo, a dispetto dei cinque della Lombardia) potrebbe procurare qualche serio grattacapo.
Per questo il segretario regionale Alberto Stefani, da poco promosso vicesegretario nazionale, si sta facendo in quattro per sciogliere il nodo. Sapendo di rischiare grosso, Salvini sta facendo un pensierino di candidarsi a sindaco di Milano dove si voterà a ottobre 2026 o nella primavera 2027.
In quel caso potrebbe lasciare a Fratelli d’Italia la primazia sulla candidatura alla regione Lombardia più a cuor leggero. E magari riuscirebbe a tenersi stretto il Veneto, la “gallina dalle uova d’oro” della Lega. Forse non è un caso che il leader delle camicie verdi – proprio sui nostri giornali – ha lanciato la proposta di un election day da celebrare nel giugno 2026, per far confluire tutte le partite per sindaci di decine di Comuni, tra cui proprio Milano, insieme alle regionali di Veneto, Marche, Toscana, Puglia e Campania. In tal modo, Zaia potrebbe proseguire il suo mandato altri sei mesi oltre l’autunno prossimo, magari evitando di promuovere una sua lista autonoma in regione.
Ma il primo scoglio oggi è proprio la Lombardia, dove Salvini vorrebbe che si arrivasse al 15 dicembre con una candidatura unitaria, che pare una chimera.
Da settimane il candidato favorito, Massimiliano Romeo, capogruppo al Senato, è in giro per municipi lombardi a rilanciare il verbo della questione settentrionale.
Poi c’è l’altro candidato, quel Luca Toccalini segretario dei giovani padani, che il leader ha spinto in campo per far desistere Romeo. Insomma, un caos, che ricorda il magico mondo del Pd, partito specializzato in divisioni e polemiche interne e nella lotta tra correnti, da sempre quasi assenti nella Lega. Si vede che i tempi cambiano, oppure che tutte le leadership, nei partiti veri e non personali, alla lunga si logorano. Ma un dato svetta tra tutti: allo stato non c’è una leadership alternativa e altrettanto forte come quella di Salvini in grado di pilotare il Carroccio. E questo fattore gioca a favore del Capitano. —
Riproduzione riservata © il Nord Est