Il nuovo libro di Zaia: «L’autonomia vantaggio per tutti»
Il presidente del Veneto: «Noi non vogliamo rinnegare l’Italia, bensì ripudiare lo statalismo che ha generato gravi inefficienze». Esce “Autonomia. La rivoluzione necessaria” (Marsilio Editori): ne pubblichiamo un estratto
È uscito “Autonomia. La rivoluzione necessaria” (Marsilio Editori, 176 pagine, 18 euro), il nuovo libro del presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Il libro, nelle intenzioni dell’autore, rappresenta l’occasione di parlare ai cittadini, in maniera semplice e diretta, di autonomia e dei principi che l’hanno ispirata, e sancisce l’impegno politico di Zaia, da sempre in prima linea nel sostenere quella che definisce «la madre di tutte le riforme». In che cosa consiste davvero l’autonomia? E come potrà cambiare in meglio la vita dei cittadini? L’autore riporta la discussione sul piano pragmatico, di chi vive e lavora sul territorio, mostrando perché la svolta andrà a beneficio di tutte le regioni. L’autonomia è, per Zaia, la rivoluzione pacifica in grado di rilanciare la crescita. Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto.
L’estratto
Invocare l’autonomia non significa rinnegare l’Italia. Quel che si ripudia è lo statalismo, che ha generato gravi inefficienze e che non accenna ad attenuare il suo interventismo nelle aree già ben avviate, impedendone un ulteriore sviluppo, mentre non dà risposte efficaci nelle altre.
Come dimostrano le esperienze a livello europeo, non c’è nulla di inappropriato nell’avviare l’autonomia seguendo un percorso a geometrie variabili, con Regioni che la affrontano prima e altre dopo o in misure differenti. Cosa c’è di male, se così facendo si innescano fecondi effetti emulativi?
Nei giorni precedenti al referendum del 2017 uno studio di Unioncamere del Veneto illustrava i benefici effettivi che il regionalismo differenziato potrebbe portare all’intero Paese.
Si parlava di oltre 10 miliardi di euro all’anno. Tutto senza che venga meno la solidarietà verso le Regioni più svantaggiate, che continueranno a essere sostenute. Buona parte di quella somma, circa la metà, deriva dalla maggiore ricchezza generata dalle Regioni. Ma davvero sorprendente è stato scoprire la provenienza della quota residua, circa 4,4 miliardi di euro.
È quanto si potrebbe ricavare dalla lotta agli sprechi nelle Regioni meno virtuose. Un dato che fa riflettere su come l’autonomia potrebbe davvero aiutarci a evitare di disperdere le risorse di cui abbiamo tutti un disperato bisogno per ridare slancio al Paese.
Regioni ordinarie, il Veneto registra la spesa più bassa a livello nazionale
Non è accettabile neppure la leggenda metropolitana secondo cui la situazione attuale sarebbe conseguenza di uno stanziamento di maggiori risorse a favore del Settentrione.
I meridionali non possono pensare seriamente che questa sia la verità. Esigano, piuttosto, di vedere i numeri. Già solo esaminando le tabelle dei costi ufficiali pro capite per il funzionamento delle Regioni, riscontrerebbero dati allarmanti: in certi contesti, arrivano a superare i 300 euro per ogni cittadino e, nei casi estremi, addirittura i 600.
Le spese di funzionamento di una Regione – uno degli indicatori di efficienza operativa – comprendono quelle per il personale e per l’acquisto di beni e servizi.
Tra le Regioni a statuto ordinario, il Veneto fa registrare la spesa più bassa a livello nazionale, pari a 126,7 euro pro capite. Un primato ottenuto, tra le altre cose, rinunciando – quest’anno è il quindicesimo consecutivo – al prelievo dell’addizionale Irpef, che, insieme ad altre tasse non applicate, lascia nelle tasche dei veneti circa un miliardo e 179 milioni di euro all’anno.
Questa scelta, che ha lo scopo di venire incontro alle famiglie e ai cittadini in difficoltà, rischia peraltro di passare inosservata, perché la voce «addizionale regionale Irpef» è ancora riportata sulle buste paga dei lavoratori, accanto all’importo che in effetti devono corrispondere. Quella voce si riferisce però alla quota governativa dell’imposta, mentre quella spettante alla Regione non viene incassata.
Se faccio riferimento all’Irpef e al primato della spesa più bassa per il funzionamento regionale, non è certo per celebrare un risultato del Veneto, ma per mostrare che, con gli strumenti della razionalizzazione e dell’oculatezza, è possibile raggiungere traguardi positivi.
Una riduzione delle tasse, insieme a buoni standard di efficienza ed efficacia nella spesa, è indice di una gestione virtuosa, che non è un’esclusiva del Veneto, ma frutto di una pianificazione responsabile della spesa complessiva.
Bisogna innanzitutto superare il paradigma di una spesa illimitata, razionalizzare risorse ed esigenze, commisurando le une alle altre. Così, ad esempio, pur estendendosi su un territorio molto vasto e con quasi cinque milioni di abitanti, il Veneto è al secondo posto in Italia per il più basso numero di dipendenti regionali, che sono circa 5,6 ogni diecimila abitanti, a fronte di regioni che presentano cifre ben più alte.
In generale, la Regione punta su un costante monitoraggio e contenimento delle spese: nel 2023 è risultata la più efficiente sotto il profilo energetico, nonostante la congiuntura economica abbia fatto registrare un aumento dei costi legato alle crisi internazionali e alla guerra in Ucraina.
A chi pensa di poter replicare con la solita accusa per cui avremmo goduto di maggiori risorse stanziate dallo Stato, rispondo che la spesa per il Veneto nel bilancio statale è molto più contenuta che altrove, e la Regione risulta al penultimo posto della classifica nazionale, con il 17% in meno di risorse rispetto alla media.
La schiera dei contrari all’autonomia esprime preoccupazioni che riguardano in particolare la sanità, la scuola e i servizi, destinati, a sentir loro, a un inesorabile impoverimento. Per capire quanto siano infondate queste paure, basta tornare alle origini della riforma.
L’autonomia non nasce nei salotti che, nell’immaginario collettivo, sono frequentati da capitani d’industria ansiosi di spremere e veder morire il Sud.
L’autonomia nasce dal basso, da un moto spontaneo della gente comune, stufa dell’inefficienza dello Stato centralista. Una necessità sintetizzata nella formula: «Padroni a casa nostra», anche questa fatta passare per eversiva.
Ma a ben guardare, nella sostanza, cosa vuol dire? Eversivo sarebbe voler decidere in casa d’altri e sulla loro pelle. Non lo è certo pensare che i veneti, tanto quanto i calabresi, gli abruzzesi, i lombardi e i campani, possano costruirsi il loro futuro, assumendosi direttamente alcune responsabilità, senza che per questo debba venir meno l’unità nazionale.
Autonomia non significa nemmeno essere padroni a casa propria con i soldi degli altri. Né il vasto decentramento di funzioni previsto dalla legge ha qualcosa a che vedere con la contabilità dei residui fiscali che restano alle Regioni, ovvero con la differenza tra il gettito fiscale prodotto e quanto di questo viene reimpiegato nella regione stessa.
Le proporzioni resteranno inalterate. Per fare un esempio: se la Campania o la Liguria acquisiscono una competenza che fino a quel momento era gestita dallo Stato, riceveranno da quest’ultimo la somma che ha speso fino al giorno prima per finanziarla.
La legge prevede inoltre un’apposita Commissione paritetica Stato-Regione, incaricata di appurare e valutare differenze tra la spesa sostenuta per le funzioni acquisite e il gettito proveniente dalle compartecipazioni. Se il saldo è positivo, si potrà trattenere solo quanto è necessario per le competenze acquisite.
Alle Regioni che non richiederanno alcun livello di autonomia, infine, la stessa legge garantisce che non vedranno ridursi le risorse di cui già dispongono.
E allora dove starebbe il vantaggio? ci si potrebbe chiedere. È presto detto: nella possibilità di gestire in proprio il maggior numero di attività. Così come i veneti aspirano ad ampliare il loro bacino di competenze, siamo convinti che possano farlo benissimo, magari anche meglio di noi, pugliesi, lucani, marchigiani, calabresi, campani e così via.
Qualunque amministratore, in qualsiasi parte d’Italia, dovrebbe gioire se vengono meno i lacci e i lacciuoli che ne rallentano l’attività e ostacolano il rapporto con i cittadini, perché questo è il vero vantaggio dell’autonomia.
E dovrebbe tendervi anche il Sud, per sperare in un futuro migliore. —
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