Nuovo assetto del centrodestra, Calenda: «Dialogo a Nord Est possibile, a patto che non ci sia Salvini»
Il leader di Azione ritiene fattibile un’intesa in vista delle prossime elezioni regionali: «Ho parlato con Conte: con Zaia e Fedriga è possibile governare bene e far accadere le cose»
Dialogare con Luca Zaia, per il Veneto e magari anche per l’Italia, a patto di lasciare Matteo Salvini chiuso a doppia mandata fuori dalla porta. «Quella rappresentata da Zaia è una parte della Lega con cui noi siamo stati sempre molto aperti – assicura Carlo Calenda, leader di Azione, progettista a tempo pieno di alternative politiche. Il presidente della Regione, spiega, «è un moderato, una persona con cui interloquire», perché guida un’area «pragmatica, attenta alle questioni dei diritti, non estremista».
C’è qualcosa che sa di “democristiano” in quel mondo, dice con un sorriso serio. Lo è al punto che, ricorda, «a Treviso, avrei appoggiato Mario Conte perché, come Zaia, appartiene a un’area pragmatica». Poi «non è successo perché il veto di Salvini lo ha impedito».
E adesso? Le cose cambiano?
«Adesso siamo convinti che esista uno spazio di discussione in Veneto, con l’unica condizione che non ci sia Salvini. È un personaggio catastrofico, uno che ha sdoganato il populismo e tutto il peggio».
Come si traduce questa disponibilità?
«Ci siamo già sentiti con Conte e i nostri sul territorio stanno parlando con tutti. Abbiamo persone in gamba, in Veneto. È una regione dove siamo radicati, c’è gente come Carlo Pasqualetto, che è uno sveglio ed è consigliere a Padova».
È un progetto locale o si può andare oltre?
«Può essere un’operazione interessante se ci si sgancia dalla destra e da Salvini. In questo modo, si può anche costruire una sponda nazionale. Salvini è inamovibile dalla Lega, ha fatto le cose più becere, come comprarsi i loghi del partito».
Lei lo conosce il Nord Est?
«È stata la mia prima candidatura, alle europee. È una terra particolare, molto identitaria. La conosco bene, l’ho studiata da molti punti di vista a partire dall’Industria 4.0. Ho preso 280 mila voti e abbiamo fatto un ottimo risultato come terzo polo».
Ci sono margini per nuovo assetto politico?
«Si, lo spazio c’è. Ci vuole coraggio, pragmatismo e visione».
Lei crede che Zaia romperà con la Lega?
«Dico che non lo dovesse fare, resterebbe legato a doppio filo alla pericolosa parabola di Salvini che, a lui, non corrisponde per nulla».
Cosa pensa del terzo mandato?
«È una discussione demenziale. È chiaro che verrà confermato che non è praticabile. Non serve parlarne in termini di “sì” o “no”, è autolesionista per politica. Bisogna andare avanti e valutare cosa si può fare».
Zaia dichiara di non voler discutere di limiti con chi è in politica da una vita. Salvini si è candidato sempre dal 2004 e Meloni dal 2006. Fa più di tre mandati.
«Il punto non è quello. È più opportuno ragionare sulla differenza fra l’amministrazione e la politica parlamentare. La prima è quella che deve far accadere le cose difficili. La seconda oggi è schiacciata fra governo e potere amministrativo. È una situazione pericolosa».
Perché?
«Mi preoccupa il rischio democratico legato all’astensionismo. È una minaccia reale. Il modo per scongiurarlo è proprio un’area politica che punti a far accadere cose di buon senso in questo Paese. Giorgia Meloni va in giro per il mondo, è anche brava a farlo, tuttavia nel Paese non accade nulla. Nulla sulla scuola, sulla politica industriale, sulla sanità, sull’energia. Non sta succedendo nulla, su qualunque cosa. La linea della Meloni è “io vado fuori, lo faccio anche bene, ne ottengo un vantaggio interno”. Ne consegue però che la gente non crede più che si possano risolvere i problemi con la politica. È molto pericoloso».
Cosa teme?
«Può succedere che arrivi qualcuno disposto a dire che il Parlamento non serve e va chiuso. L’unico antidoto è governare bene, far accadere le cose. Zaia rientra in questa categoria, come Mario Conte e Massimiliano Fedriga. Salvini è l’esatto opposto».
Chiamerà Zaia?
«Prima ho un congresso da condurre sino alla fine di febbraio. Poi metteremo la testa sulle regionali. Noi pensiamo che pragmatismo liberale e spirito riformista debbano essere questioni portanti. Su questa base, sono pronto a vedere dove si va».
Lei invoca un centro che si richiami a valori repubblicani. In pratica?
«È quello l’obiettivo. Fondarsi sui valori esposti da De Gasperi alla Conferenza di Pace (Parigi, 1946, ndr), ai principi che uniscono il pensiero di Mazzini, quello popolare e liberale, il riformismo socialista. Oggi c’è un buco nella vita pubblica, mancano questi grandi orientamenti. È un vuoto che va colmato».
Una cosa personale. Lei fa parte di un gruppo di lettura, un libro al mese. La premier Meloni ha detto di non avere tempo per leggere.
«Leggo parecchio. Nella reading list a cui partecipo, consumiamo libri e ne discutiamo. Gli ultimi due sono stati il saggio di Anne Appelbaum sull’Autocrazia e Martin Wolf sulla crisi del capitalismo democratico. Sul comodino ho Imperium di Giovanni Brizzi: capire il potere di Roma è una delle mie passioni».
Dunque è umano, per citare Giorgia Meloni.
«Non lo so. Ma gli umani leggono i libri».
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