Il premio Nobel Krugman: «Quella di Trump è una politica distruttiva, ha deciso i dazi in due ore»
Il premio Nobel per l’economia nel 2008 ha tenuto una lectio magistralis all’università di Padova: «Nessun motivo per coltivare ottimismo, il governo italiano non riuscirà ad aprire una trattativa»

«Crazy». Il Liberation day di Donald Trump, che ha scatenato il panico nelle borse mondiali, dimostra che «siamo diventati pazzi. O meglio il nostro presidente è diventato completamente pazzo perché sta distruggendo il mercato internazionale di libero scambio costruito negli ultimi novant’anni. Siamo di fronte a una politica distruttiva e impopolare, che farà aumentare l’inflazione ma Trump non vuole cambiare idea».
Paul Krugman, premio Nobel per l’economia nel 2008 per le sue teorie neokeynesiane sul commercio e le barriere protezionistiche, sta parlando davanti alla cattedra di Galileo all’Università di Padova. E insiste su un concetto: chi pensa di risolvere problemi complessi con soluzioni improvvisate si sbaglia perché spalanca le porte ai disastri. Il professor Krugman è arrivato da New York, invitato dall’Ordine nazionale degli architetti, per spiegare come si concilia il benessere delle nazioni, tema caro alla dottrina di Adam Smith a fine Settecento, con le moderne strategie urbanistiche nelle società multietniche. Il primo obiettivo è abbattere i ghetti e costruire città inclusive a misura d’uomo.
Ma il giro di vite agli immigrati e agli studenti stranieri negli Stati Uniti rischia di sconvolgere il mercato del lavoro e nessuno sa dire quali saranno gli effetti del terremoto di Trump: il braccio di ferro sui dazi con la Cina con il “botta e risposta” al 34% è appena iniziato. Krugman lancia un allarme profondo: «Nel mio Paese oggi la libertà di opinione è messa fortemente in pericolo e se fossimo nel XVI secolo sono convinto che gli oppositori del governo verrebbero messi al rogo, come le streghe e gli eretici. È il capovolgimento dell’idea di libertà e democrazia, ciò che preoccupa è il metodo scelto da Trump con il Liberation day». Cosa non convince? La tabella dei dazi mostrata nella conferenza stampa nel Giardino delle rose alla Casa Bianca «è stata decisa nel giro di due ore martedì pomeriggio. Senza consultare gli economisti e lo staff giuridico. I parametri introdotti pare siano stati decisi con l’intelligenza artificiale, utilizzando ChatGpt», spiega Krugman.
E così la formula matematica ha fatto scattare tariffe del 10% solo per la Gran Bretagna, l’Australia, Cile, Brasile, Colombia e Perù mentre sono schizzate al 46% per il Vietnam, al 49 per la Cambogia, al 24 per il Giappone, al 31 per la Svizzera e al 20 per l’Europa.
Come finirà? Se Ursula von der Leyen da Bruxelles parla di un colpo durissimo all’economia mondiale con lo spettro della povertà per le fasce sociali più deboli, assai più cauta si è dimostrata a Roma la premier Giorgia Meloni, convinta che questa «non sia una catastrofe». Un’analisi che non convince Krugman: «Non c’è nessun motivo per coltivare l’ottimismo, penso che il governo italiano non riuscirà ad aprire una trattativa con Trump, che non cambia mai idea».
Quale scenario ci aspetta? Impossibile prevederlo perché il presidente Usa ha «smantellato il contesto giuridico e diplomatico costruito negli anni Trenta sul commercio internazionale. In due ore ha buttato per aria un sistema di regole condiviso, i trattati sono finiti nel cestino e sarà molto difficile ricostruire il dialogo. Per la prima volta l’America ha cambiato paradigma e si prepara ad uno scontro economico durissimo con la Cina mentre la sfida con l’Europa si gioca sul terreno culturale: a difendere la democrazia liberale restate solo voi». Raffica di applausi dal pubblico.
L’ultimo affondo riguarda la Congestion charge di 9 dollari per le auto che entrano a Manhattan: Trump la vuole togliere, Krugman la difende. Un’auto che inquina provoca danni sociali per 100 dollari tra malattie e congestione, meglio andare al lavoro a piedi o in metrò. E con la cura antismog a New York si vive 6 anni in più rispetto alla media Usa. Un dazio che il Nobel apprezza.
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