Il Pd si divide sul piano di riarmo Ue: Gentiloni boccia il “no” di Schlein

L’ex premier ed ex commissario europeo agli antipodi rispetto alla segretaria del suo partito: «La proposta di von der Leyen è migliorabile, ma va nella direzione giusta»

Carlo BertiniCarlo Bertini
Paolo Gentiloni, ex Commissario ed ex premier
Paolo Gentiloni, ex Commissario ed ex premier

«Cara Elly, così non va», sembra dire l’ex premier Paolo Gentiloni quando mette i puntini sulle “i” riguardo la posizione da assumere con il Pd sul riarmo dell’Europa.

«Il piano di von der Leyen penso che sia un primo passo, che vada nella direzione giusta». Tutto il contrario delle parole scolpite da Elly Schlein, «questa non è la strada giusta».

Beh, si era capito, all’ultima seduta della Direzione del Partito democratico, che quel “no” tondo alla proposta della presidente della commissione Ue per un urgente riarmo europeo, non andava giù a molti. Solo che pochi sono usciti allo scoperto.

E quindi era nell’aria che qualcuno rispondesse alla segretaria, provando a raddrizzare un vaso che si stava inclinando troppo, rischiando di rompersi.

La notizia è che quel qualcuno risponde al nome dell’ex premier ed ex commissario Ue Gentiloni, la figura più autorevole in campo internazionale – insieme a Romano Prodi – di cui al momento dispone il partito. Che si è schierato senza lasciare nulla di indefinito, con una dichiarazione limpida, proprio mentre nel Pd tutti corrono a posizionarsi sul tema dei temi: da Dario Franceschini al sindaco Roberto Gualtieri, da Andrea Orlando al governatore emiliano Michele de Pascale, tutti allineati alla segretaria, pur con accenti diversi.

Invece lui, Gentiloni, si fa interprete dell’area moderata e riformista del partito, posizionandosi sulla linea dei socialisti europei.

Comprende le ragioni del “no” a un piano che aumenta le spese per le armi dei singoli Paesi, dunque premette che «è chiaro che può essere migliorato»; ma sposta l’accento sul punto più politico e quindi a suo giudizio superiore, ovvero che «nelle ore difficili che stiamo attraversando, il piano von der Leyen è un segnale che va nella direzione giusta».

E questo perché «l’Occidente non è mai stato così malato: non direi che è morto, ma la crisi è senza precedenti, non vederlo è da sonnambuli, ed è uno dei motivi per cui è giusto che l'Europa punti a difendersi. Per difendere la pace e la libertà, sapendo che gli americani non possono essere delegati a fare questo come è successo da 80 anni».

Evidente che questa uscita ribalta il piano del Pd, finora liscio come un tavolo da biliardo, senza asperità, se non nella separata sede degli organismi dirigenti. Ora il campo diventa minato, se un big come Gentiloni si mette di traverso e invita Schlein a raddrizzare il tiro, diventa più difficile lo sforzo della segretaria di tenere il partito unito nel momento più complicato: dove la posizione di politica estera, specie sull’Ucraina, disegna la fisionomia di un partito e quella del Pd fino a questo momento non è chiara.

Non a caso, un altro esponente di punta dell’area riformista e meno vicina a Schlein, come Lorenzo Guerini, presidente del Copasir ed ex ministro della Difesa, ha già detto la sua sul piano ReArmEu di Ursula.

«Stiamo andando verso un nuovo ordine mondiale e, se l’Europa non diventa più forte, rischia di diventare residuale se non vittima di questa riscrittura delle relazioni internazionali», ha spiegato in una intervista al Quotidiano Nazionale. Con una chiosa che la dice lunga sulle tensioni tra diverse aree interne al Pd: «Il finanziamento delle spese militari è un elemento ineludibile di rafforzamento dell’autonomia strategica europea, che la fase della Storia ci impone».

Che alla segretaria bruci dover navigare controcorrente rispetto ai socialisti europei è evidente quando nel pomeriggio esce una nota del gruppo S&D, cui aderiscono gli europarlamentari Pd a Bruxelles.

«Il piano è un punto di partenza, non un traguardo. La sicurezza dell'Europa richiede investimenti immediati e congiunti». Per questo Schlein si affretta a dire «noi insisteremo per cambiare quelle proposte e naturalmente speriamo di farlo con le altre forze socialiste». Ma potrebbe essere un vicolo cieco se è vero che la presidente della Commissione Ue intenda scavalcare il voto del Parlamento europeo facendo approvare il piano dal Consiglio europeo.

Il risultato è che nel bivio storico più importante, il Pd è diviso e i progressisti italiani pure.

Giuseppe Conte fa il pacifista convinto e gongola per la spaccatura del Pd, «si mettano d’accordo tra loro»; Verdi e Sinistra dicono “no” al RearmEu, ma Carlo Calenda e Matteo Renzi benedicono invece la scelta Ue di battere un colpo.

Se si dovesse votare nel Parlamento italiano il piano di riarmo europeo, i voti a favore di Fratelli d’Italia, Forza Italia, Azione e Iv sarebbero solo 182 su 400 alla Camera e 92 su 205 al Senato. Bocciato.

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