Se il Partito democratico si allontana dal Colle

Per la prima volta un segretario Pd si discosta dal Colle in politica estera e per la prima volta il Pd non mantiene canali di collegamento con il Presidente

Carlo BertiniCarlo Bertini

Che succede se il Pd divorzia idealmente da Sergio Mattarella? Una domanda che si trascina diversi altri interrogativi sul profilo di "partito di governo" ormai appannato da molteplici fattori, in parte voluti dalla sua segretaria. Ma tra questi, l'attestarsi su un'orbita sempre più distante dal Sole del Quirinale di certo indebolisce le difese immunitarie dem dal rischio di velleitarismo ed estremismo pacifista che grava ormai sul suo onorato simbolo: finito ai margini dell'universo socialista europeo dopo la scelta di astenersi dal voto di mercoledì a Strasburgo sul piano di riarmo europeo.

Ora, per capire lo stato dei rapporti (praticamente inesistenti da quando Elly Schlein è al timone), tra il Colle e largo del Nazareno, sede del Pd, è bene illuminare la scena con un fulmineo tuffo nel passato: nel 2007 Mattarella partecipò alla stesura del Manifesto fondativo dei valori del Partito democratico, che sancì l'ingresso del soggetto politico guidato da Walter Veltroni nel firmamento della politica italiana. E quel documento, redatto da fior di intellettuali, al punto 7, intitolato "La speranza della pace", fissava questo paletto: «Il ripudio della guerra va coniugato con l'attiva partecipazione dell'Italia alle responsabilità della comunità internazionale nell'assicurare un giusto ordine mondiale». Piuttosto esaustivo e per certi versi preveggente. E che ruolo ebbe prima di allora il capo dello Stato?

Titolare del ministero della Difesa nei governi D'Alema e Amato fino al 2001, seguendo la partecipazione dell'Italia con la Nato nella guerra del Kosovo; e siglando nel 2000 per l'Italia con altri Paesi europei l'accordo per la progressiva integrazione dell'industria europea della difesa.

Quindi, se il Presidente è il principale bersaglio occidentale della propaganda russa è segno che le sue parole e influenza danno fastidio al Cremlino. E non sarebbe azzardato ipotizzare che dopo la "Trump-exit", un atlantista convinto come il capo dello Stato non dissenta con il piano di riarmo proposto dalla Commissione Ue: quando dal Giappone Mattarella dice che «in Europa esistono delle preoccupazioni per cui si pensa che è necessario rafforzare la Difesa europea» sembra chiaro a cosa pensi.

Passiamo a Elly Schlein: la leader dem batte sul tasto di una difesa comune europea, negando però che serva il primo passo del riarmo degli Stati indicato dall'Europa, approvato da tutti i partiti socialisti, tranne il Pd, planato su una poco onorevole astensione. Al punto che la segretaria è sotto la scure di un congresso di chiarimento, richiesto da più parti.

Concludendo: per la prima volta un segretario Pd si discosta dal Colle in politica estera e per la prima volta il Pd non mantiene canali di collegamento con il Presidente, consuetudine mai abbandonata finora, pur tra conflitti e dissensi: come quelli tra Giorgio Napolitano e Pier Luigi Bersani "non vincitore" per un soffio nelle urne, cui fu negato l'incarico a formare un governo. Detto ciò, è facile immaginare quanto poco farà piacere a Mattarella assistere la prossima settimana allo spettacolo di un Pd che si contorce sulle risoluzioni da votare in aula dopo i discorsi di Giorgia Meloni, alla vigilia del Consiglio europeo sul nodo della Difesa. Ma di questo Schlein non sembra farsene cruccio

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