Il limite dei mandati è una garanzia democratica

Zaia, Fedriga, De Luca: contesti diversi, stesso ragionamento di fondo. Il costituzionalista De Nardi: «Ciò che piaceva al principe diventava legge. È necessario favorire il ricambio delle classi dirigenti»

Laura Berlinghieri
Sandro De Nardi, costituzionalista
Sandro De Nardi, costituzionalista

Sandro De Nardi, docente di Diritto costituzionale all’Università di Padova, alla luce dello scontro tra Governo e Regione Campania sul terzo mandato, con possibili ricadute sul Veneto, è giusto che a normare il tetto dei mandati dei presidenti sia il Parlamento e non le Regioni?

«Bene che il governo abbia impugnato la legge: non era scontato, essendo una decisione politica, osteggiata dalla Lega. Per la Corte sarà l’occasione per fare chiarezza su questioni tecniche incerte, a cominciare da quella se il tetto dei mandati previsto dalla legge statale n. 165 del 2004 operi o meno a prescindere dal suo recepimento con legge della Regione, e se quest’ultima sia legittimata a renderlo furbescamente operante dal momento del recepimento, se non dopo».

Ma la Consulta potrebbe anche sancire l’incostituzionalità della legge dello Stato che fissa il limite?

«È un’evenienza remota: la Corte potrebbe demandare allo statuto regionale il compito di fissare un eventuale limite. Quando in Parlamento si discusse la proposta di legge, l’allora governo di centrodestra sostenne che la questione del limite afferisse alla forma di governo, per Costituzione riservata all’autonomia statutaria. Ciononostante il Parlamento l’ha inserita nella legge statale come principio fondamentale in materia elettorale. La Corte ha avallato la scelta con la sentenza 2/2004, ma quegli argomenti non hanno convinto autorevoli studiosi, che auspicano un ripensamento del giudice, che potrebbe concretizzarsi grazie al ricorso contro la legge campana».

Qual è il quadro in Veneto?

«Sul punto, lo statuto regionale rinvia alla legge elettorale veneta, che all’articolo 6 fissa l’incandidabilità a presidente oltre due volte di seguito».

Legge elettorale facilmente modificabile...

«Sì».

La presenza di un tetto è una garanzia di democrazia?

«Certo. In base all’articolo 51 della Costituzione, tutti i cittadini hanno diritto di accedere alle cariche elettive, ma occorre garantire «condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge». La legge deve prevedere un tetto ai mandati per cariche elettive monocratiche nelle quali si concentra molto potere, come quella di un presidente di Regione. Questo favorisce il ricambio delle classi dirigenti, garantisce la libera e genuina espressione del voto popolare, la par condicio tra candidati e l’autenticità della competizione elettorale. Il tetto dev’essere ragionevole, e quello attuale, con firma del ministro Bossi, rispetta questa esigenza».

Tra chi osteggia il limite, un argomento è la dispersione dell’esperienza...

«Consentire a una persona di restare in carica per dieci anni consecutivi realizza un equo contemperamento tra pretesa di non disperdere l’esperienza, realizzare buona parte degli obiettivi da campagna elettorale, evitare i rischi di un esercizio troppo prolungato del potere, non blindare il ceto politico agevolando il ricambio che è essenziale in democrazia. Anche la riforma del premierato prevede un tetto di due mandati per il Presidente del Consiglio».

Ritiene ci sia stata una personalizzazione del tema?

«Il ricorso contribuisce a spoliticizzare la questione, sottraendola alla girandola di opinioni prive di fondamento o errate espresse da mesi, soprattutto da persone interessate. Come quella secondo cui il limite contrasterebbe con democrazia e sovranità popolare: affermazione che, fatta da uno studente di giurisprudenza, ne comporterebbe la bocciatura. In una democrazia costituzionale le regole non vanno mai concepite né ad, né contra personam: la Costituzione vincola tutti. È finito il tempo in cui ciò che piaceva al principe diventava legge».

Sul numero dei mandati le Regioni a statuto speciale hanno margini differenti?

«Sì, perché i loro statuti hanno rango costituzionale».

Voto nel 2026, per dare a Zaia altri 6 mesi di governo?

«Da costituzionalista, ho apprezzato le parole del ministro Ciriani, che si è interrogato sulle basi giuridiche della richiesta. Non mi risulta vi siano condizioni straordinarie per motivare il rinvio, che sarebbe dunque incostituzionale». 

Riproduzione riservata © il Nord Est