Salvini detta la linea alla Lega: «Autonomisti in Italia, sovranisti in Europa»
La Lega si ricompatta, duemila in platea. Il segretario: «Con me, avanti granitici. Obiettivo tornare primo partito in Veneto». E invita Vance alle Olimpiadi di Cortina

«Autonomia è sovranismo». Con questa equazione, dal palco di una città del Veneto, la Lega di Matteo Salvini chiude il cerchio e cambia definitivamente pelle.
Addio al celodurismo di Umberto Bossi, alla Padania e all’antifascismo, porte aperte a Orban e Trump.
E c’è già un invito a Cortina per Jd Vance, lo stesso che ha definito l’Europa un parassita.
Salvini è riuscito a completare la metamorfosi. Non è stato semplice il percorso, ci hanno provato in tanti a contrastarlo in questi anni.
Il timone è ben saldo nelle sue mani mentre dal palco della Fiera di Padova enuncia il manifesto della nuova Lega, quella che andrà a congresso la settimana prossima e che lo vedrà confermato per acclamazione.
Poche e semplici regole, e per chi non è d’accordo quella è la porta. Primo: in Europa si va con i sovranisti. Secondo: Putin non rappresenta un pericolo. Terzo: il pericolo è sempre l’Islam.
Quarto, ma non per importanza, fine del dissenso interno. «Mi metterò a disposizione del partito ma poi dovremo andare avanti granitici, basta con i se e con i ma», ha ribadito dal palco, con i giovani leghisti alle spalle, tutti i colonnelli in prima fila e oltre 2 mila militanti a battere le mani.
Il tassello dorato di questa trasformazione sarà il tesseramento dell’ex generale della Folgore Roberto Vannacci, con la sua istantanea promozione a vice del partito. «Dobbiamo aprirci anche ai migliori», ha sottolineato il Capitano. Che però dovrà aggiornare il grado sulle mostrine, se non vorrà finire sotto il generale.
Sfuma il concetto di partito come sindacato del territorio, antropologia veneta in purezza.
Si va verso le ideologie destroidi, il complottismo, la ricerca spasmodica di un nemico, da Ursula von der Leyen a Macron.
Salvini ha capito qual è lo Zeitgeist dell’Europa lacerata dalle guerre e ha scelto di posizionarsi ancora una volta lì, nel ventre molle dello scontento.
Non è più la Bestia dei primi anni, è un soggetto politico nuovo che svolta a livello ideologico ma si presenta al grande pubblico lodando i fasti del passato.
Dal palco Matteo Salvini cita totem del calibro di Bossi e Maroni, abbraccia Gian Paolo Gobbo seduto in prima fila ma va dritto per la sua strada. «La nostra emergenza non è l’invasione dei carri armati dall’Est, ma dall’immigrazione clandestina dal Sud», dice, e si solleva un boato dal pubblico.
«Siamo e rimarremo in democrazia ma dovremo rileggerci i libri di una donna libera come Oriana Fallaci, che scriveva “Europa è Eurabia” e che il Corano è incompatibile con la democrazia».
Poi va ancora addosso all’Europa, da tempo uno dei suoi bersagli preferiti. «Se si è autonomisti e federalisti a Padova, Milano e Roma, non si può che essere sovranisti a livello europeo. Si rischia di portare competenze qui in Italia mentre a Bruxelles qualcuno le svuota».
Contro la Fornero, contro la Magistratura. Di nuovo la dottrina del nemico, condita però da una buona dose di leghismo d’antan.
La bandiera di San Marco, i gazebo, la militanza. E poi la buona amministrazione. Salvini dispone di una squadra di amministratori che i sondaggi incoronano come i più amati d’Italia: Zaia e Fedriga, innanzitutto ma anche Attilio Fontana in Lombardia e Maurizio Fugatti a Trento. In vista delle Regionali del Veneto, dice Salvini, «l'obiettivo è di essere il primo partito e di continuare con il buon governo». In attesa della sentenza della Consulta su De Luca, «Zaia sarà comunque della partita».
C’è sempre l’autonomia a fare da cornice. Anche se spuntata rispetto al federalismo è pur sempre la battaglia identitaria per eccellenza della Lega. «Se non ci fosse stata la Padania oggi non saremmo qui a parlare di autonomia», ha ricordato Roberto Calderoli sul palco, un altro dei totem del movimento, oggi ministro sulle cui spalle pesa l’avanzamento della riforma “madre” di tutte le riforme.
«Stiamo predisponendo la legge sui Lep come richiesto dalla Corte Costituzionale», ha raccontato.
«Ho invitato tutti i colleghi ministri a rispondermi ma l’hanno fatto solo Difesa e Mit. Mi sono dovuto arrabbiare. E allora, piano piano, stanno arrivando tutti.
Già 15 colleghi mi hanno risposto. Penso che la settimana prossima concluderemo con tutte le loro indicazioni, e quindi in tempi brevi la legge potrà andare in Cdm». Ma anche lui vuole ricordare a tutti che nonostante lo scranno, la patina è ancora quella ruvida di un tempo. Contro Roma, contro la ministra Kyenge, contro il Sud.
Oggi il meridione non si può più toccare, perché è diventato territorio di pesca per Salvini. Ma Roma va sempre bene. «L’atteggiamento negativo lo trovo da parte dell’apparato burocratico: quando si tratta di mettere in discussione una parte del loro potere, alcuni nello Stato si mettono di traverso: ogni tanto una sgridatina fa bene».
Lo Stato come nemico, contrapposto alla virtù degli oppositori. Governare raccontando di stare anche un po’ dall’altra parte della barricata. Tanto basta per scatenare una marea di applausi.
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