Ma così aboliamo il Senato

Il commento. Il capogruppo di FdI si è dimesso da relatore alla legge di bilancio in polemica. Si riapre così il dibattito sul monocameralismo con un Senato federale, sul modello tedesco

Carlo Bertini
Giorgia Meloni e con il ministro Giancarlo Giorgetti
Giorgia Meloni e con il ministro Giancarlo Giorgetti

Beau geste, quello del capogruppo di Fratelli d'Italia, di dimettersi da relatore alla legge di bilancio in polemica con la strozzatura della discussione solo alla Camera, senza che il Senato possa metterci bocca.

Una mossa un filo ipocrita, visto che è il suo partito a menare le danze in Parlamento, ma meglio di niente, se serve a sollevare un problema altrimenti sottaciuto. Quello del monocameralismo di fatto, per cui ogni legge viene discussa in una delle due Camere, modificata e poi approvata con la fiducia, per poi essere timbrata con un altro voto di fiducia nell'altra Camera, senza possibilità di toccarla.

Fatto ancora più grave quando si tratta della manovra finanziaria. Che si potrebbe definire una legge di bilancio "incostituzionale", visto che l'articolo 73 della Carta dispone che ogni disegno di legge sia approvato dai due rami del Parlamento, prima in commissione e poi in aula, «articolo per articolo e con votazione finale».

Andiamo però alla sostanza: forse è il caso di chiedersi, passati otto anni dalla bocciatura della riforma Renzi che aboliva il Senato, se gli elettori voterebbero ancora una volta, «no, grazie, lasciamo le due Camere al loro posto». Forse gli italiani sono maturi per accettare quel monocameralismo (con un Senato federale) che fu proposto prima da Nilde Iotti nel 1979, poi da numerosi esponenti di sinistra e di destra nei decenni successivi, fino alla sua bocciatura al referendum del 2016.

Ma se solo tre anni dopo, dal 2019 fino a oggi, governi di diverso colore bypassano senza scrupoli uno dei rami del Parlamento per la legge più importante che ci sia, la legge di bilancio, allora vuol dire che non temono di essere criticati oppure di perdere consenso: casomai il contrario, vista la disaffezione imperante riguardo ai luoghi della democrazia rappresentativa.

Quindi la linea predominante ormai è: meglio non toccare un granello del castello di sabbia, altrimenti vien giù tutto, perciò, finite le laceranti liti sulla manovra finanziaria, ogni governo preferisce blindarla senza riaprire i giochi. Ma se è così, meglio prenderne atto. Vuol dire che questo andazzo è consolidato nella cosiddetta "Costituzione di fatto", quella in cui le regole della Carta sono superate dalla prassi, come nel caso del nome del candidato premier sotto il simbolo dei partiti sulle schede elettorali.

E dunque forse sarebbe il caso di trasferire questa situazione di fatto in una norma di rango costituzionale. Magari infilandola nella riforma Meloni che introduce il premierato, cogliendo l'occasione per correggere le numerose storture della prima versione; e per chiarire pure a quale legge elettorale andrebbe collegato il nuovo assetto istituzionale. Un nuovo articolo che affidi il potere legislativo a una sola Camera deliberante e trasformi il Senato in Camera delle Regioni, sul modello tedesco.

Se si vuole che gli italiani votino un candidato premier e non un partito politico, allora si abbia pure il coraggio di chiamarli a votare sull'abolizione di una delle Camere. E se proprio si vuole copiare dai tedeschi, si faccia come loro, che cominciano a predisporre la legge di bilancio tredici mesi prima della sua approvazione. Così da evitare scuse per tirarla troppo per le lunghe. 

Riproduzione riservata © il Nord Est