L’idea di Trump per rilanciare gli Usa: protezionismo per tagliare il debito
Nei salotti della finanza si parla del Mar-a-Lago Accord, il piano per ristrutturare il maxi passivo. Ispirato dal giovane economista Miran, ecco l rischioso percorso punta alla svalutazione del dollaro


Il titolo dell’opera buffa, ufficioso, è “Mar-a-Lago Accord” (Mala), “accord” come quello con cui all’Hotel Plaza di New York, nel 1985, si decise di fermare la corsa del dollaro che si riteneva stesse minando gli equilibri dell’economia mondiale. Adesso, presupponendo che il luogo dell’intesa sia la sontuosa residenza dei fine settimana in Florida di Donald Trump, lo schema di cui si parla nei salotti della finanza, nelle cancelliere e sui giornali globali, traccia un percorso insidioso per giungere alla ristrutturazione del maxi debito americano e a una svalutazione del biglietto verde.
L’obiettivo, necessario per “rendere l’America nuovamente grande”, dovrebbe essere ottenuto con le buone - la persuasione politica - o con le cattive - introducendo dazi pesanti e poi usando la leva della loro eliminazione come incentivo ad accogliere il Piano. In entrambi i casi, gli effetti potenziali possono rivelarsi negativi, sino a trasformare il sogno proibito americano in un incubo diffuso per tutti.
Il “Mala”, nome che non promette bene, potrebbe essere uno dei tanti “boatos” che insidiano le nostre giornate, una diceria o una falsa indiscrezione. Però, a furia di vederla emergere e sparire come un rivo carsico sulla stampa internazionale, il sospetto che sia più di una brezza calunniosa è divenuto concreto. Lo aiuta il fatto di avere una fondatezza che spiega l’iperattivismo di Trump e anche un suo senso compiuto, per quanto disputabile, almeno secondo Stephen Miran, presidente del Consiglio degli advisor economici di Trump, un economista di 41 anni convinto che un incremento generalizzato delle tasse doganali sia un beneficio per una grande economia come quella americana.
Questo, perché crede che il liberismo possa funzionare solo in un sistema di concorrenza perfetta quale non è quello in cui viviamo. Pertanto, si fa portavoce di un protezionismo che – giura - può spingere che gli Stati Uniti a ottenere più frutti che danni.
In un testo diffuso in novembre, Miran sostiene che il deficit commerciale Usa è originato dal dollaro forte, sostenuto dalla inelastica domanda di titoli di stato americani, e dall’incapacità dell’Europa di imporre la propria valuta come riferimento internazionale. La situazione, argomenta, va corretta. Il Mala, se possibile definito anzitutto con Europa, Cina e Giappone, dovrebbe condurre a una vendita massiccia, a prezzi calmierati e inferiori al corso di mercato, di dollari presi dalle principali riserve valutarie della Terra.
Parallelamente, i firmatari dell’Accord, dovrebbero impegnarsi “in amicizia” a trasformare i loro bond americani in certificati secolari a rendimento ridotto o azzerato. In cambio otterrebbero un abbassamento delle barriere tariffarie e il maggior commercio che ne deriverebbe dovrebbe compensare le perdite connesse alla riduzione degli interessi per un periodo sino a cento anni. Snelliti, e nuovamente dinamici, gli States tornerebbero a essere la locomotiva del pianeta. Questo, ovviamente, secondo l’apocalittico e integrato Miran, economista laureato a Harvard.
A suo avviso, il mostruoso passivo americano potrebbe essere ristrutturato con una modalità presunta gentile, secondo la formula, “non cancelliamo il debito ma ti paghiamo meno”. I soliti ben informati dicono che a Trump l’idea (pericolosa) piace. Del resto, combina i quattro fattori che lo ossessionano e sui quali ha incardinato la politica economica: moneta, conti pubblici, dazi e bilancia commerciale. E può risolvere multilateralmente due questioni centrali.
La prima è il deficit statunitense sugli scambi (273 miliardi con la Cina, 236 con l’Ue, 44 con l’Italia) costruito sul dollaro forte, mossa vantaggiosa sinché l’industria del resto del mondo non ha cominciato a minacciare il “made in Usa”. La seconda è l’immensa voragine nei conti pubblici, che a inizio anno valeva 36 mila miliardi di dollari (novemila in mani straniere), tre volte il passivo di tutta l’Eurozona, comportando una spesa per interessi che, nell’anno fiscale 2024, ha raggiunto gli 882 miliardi, più del doppio rispetto a quattro anni prima. Insostenibile, alla lunga.
È in tale ambito di instabilità che si è affermato quello che, a Bruxelles, un economista francese definisce con un sorriso amaro il “dazifascismo”. Dice che Il Mala risolve solo in apparenza i problemi di Trump. Brandendo le “tariffe” come clava del (suo) risanamento, diminuisce lo scoperto verso l’estero, indebolisce il dollaro, incrementa le esportazioni, taglia le importazioni, costringe gli ex alleati a comprare più armi e tecnologie americane.
Ma poi che succede?
Il ragionamento degli economisti europei è che gli Usa - debitori del Mondo, ma garanti del dollaro quale moneta di riserva – potrebbero immaginare un’operazione del genere a piccoli passi e offrendo una buona remunerazione, cosa che non si possono permettere e non è prevista da Miran. Se forzassero la mano, correrebbero il rischio di invertire i flussi di capitale e colpire il fragile equilibrio di Wall Street dove le Tech sono sovra quotate.
“Il castello di carta può crollare anche solo a parlarne”, ammette il professore parigino. Oltretutto, la svalutazione richiede un calo dei tassi Usa, impraticabile se gli americani tornassero a comprare con entusiasmo, perché ripartirebbe l’inflazione. A quel punto la bilancia commerciale non potrebbe che peggiorare.
Agli analisti dell’olandese Ing sembra tanto un “giocare con il fuoco”, se non altro perché un dollaro forte è necessario in tempi di alti dazi che non facilitano le importazioni e la crescita americana è trainata dai consumi. La frenata della congiuntura planetaria avrebbe un ritorno pure sugli States, ci sarebbe inflazione, volatilità in Borsa e il rischio di uno stop al sistema globale. A parte gli adepti di Trump, nessuno sembra credere allo schema di “Mar-a-lago” che, per ora resta solo un coacervo di indiscrezioni. Se realizzato, potrebbe però condurre a dei “Mala” tempora. Pessimi, ammettono gli esperti europei. Brutti come il debito americano che, così grande, non si vedeva dagli anni Quaranta. E allora c’era la guerra.
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