Con il professor Corbetta nella rete del cervello: «Così ridurremo gli effetti dell’ictus»

Azienda Ospedale Università di Padova all’avanguardia con la sua Clinica neurologica. Tra i progetti, una piattaforma europea di intelligenza artificiale sulle neuroscienze

Simonetta Zanetti
Due medici analizzano i risultati di un esame sul cervello
Due medici analizzano i risultati di un esame sul cervello

Padova punta a diventare la nemesi – la vendicatrice – dell’ictus. È questo l’emblematico nome di uno degli studi europei guidati dalla Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedale Università di Padova diretta dal professor Maurizio Corbetta con l’obiettivo di “migliorare” gli effetti dell’ictus.

Non solo: Padova è anche in prima linea nella realizzazione di una piattaforma digitale di intelligenza artificiale per le neuroscienze.

La finestra della cura si apre invece sulla possibilità di operare pazienti con epilessia farmaco-resistente dopo registrazioni dirette del cervello, mentre, sul fronte dell’Alzheimer – grazie alla recentissima approvazione di un nuovo farmaco – punta a spingere l’acceleratore sulla diagnostica precoce.

Ma andiamo con ordine.

Il professor Maurizio Corbetta
Il professor Maurizio Corbetta

Ictus e tumori nella rete cerebrale

Si parte da un assunto: il cervello è un network «come una rete ferroviaria con degli snodi, su cui scorre il traffico, ovvero l’attività del cervello» spiega il professor Corbetta, neuroscienziato di fama mondiale «questo rappresenta il connettoma, ovvero la mappa di tutte le connessioni del nostro cervello, fondamentale per capire i meccanismi delle patologie neurologiche.

A Padova, del resto, abbiamo scoperto che lesioni come l’ictus o il tumore non creano danni solo dove si verificano ma anche in altre parti del cervello connesse con l’area lesionata. Abbiamo verificato che anche piccole lesioni ischemiche possono mettere fuori combattimento fino al 30-40% delle connessioni cerebrali anche nelle regioni che appaiono normali su una Tac o a una risonanza. Se una lesione si verifica in una zona con tante connessioni, finisce per avere un effetto vasto come quello di un incidente che avviene in autostrada».

Questo vale anche per i tumori cerebrali: «Insieme ai ricercatori Salvalaggio e Pini abbiamo scoperto che se un glioma nasce in una zona ad alta connettività i pazienti sopravvivono meno» prosegue «l’anno scorso abbiamo brevettato un indice che, attraverso una risonanza, ci permette di diagnosticare con una precisione dell’87% se il paziente sopravviverà più o meno di 20 mesi».

Ma il connettoma è fondamentale anche per guidare le terapie: «Dallo scorso anno coordiniamo il progetto europeo Nemesis» spiega «uno studio da 10 milioni che ha come obiettivo quello di arrivare a creare, tra 5-6 anni, un protocollo per stimolare le connessioni cerebrali nelle aree funzionalmente alterate dopo l’ictus per normalizzarle. Questo permetterebbe di dare risposte a quel 60% di pazienti che resta affetto deficit neurologici cronici dopo una lesione».

Le connessioni hanno un ruolo fondamentale anche nel glioma: «Oggi sappiamo che se i tumori sono in zone di alta connettività i pazienti sopravvivono di meno. Attraverso le connessioni, infatti, le cellule del tumore si diffondono in altre aree del cervello, anche lontane, dove appaiono come recidive» chiarisce «stiamo pianificando protocolli di radioterapia per andare a colpire fin da subito le zone in cui presumibilmente le cellule si dirigeranno. Non solo, potremmo anche mapparle, indicando al chirurgo dove aumentare la resezione.

Infine, recenti studi hanno mostrato che le cellule dei gliomi sviluppano strette connessioni con le cellule normali e che l’attività normale può facilitare la crescita del tumore. Stiamo quindi pianificando studi per modulare l’attività cerebrale e inibire la crescita tumorale: questo potrebbe avvenire con protocolli di stimolazione elettromagnetica o nuovi farmaci. Siamo all’inizio e ci vorranno anni di ricerca per portarli al trial clinico».

L’intelligenza artificiale

Sul fronte dell’intelligenza artificiale, Padova è impegnata nel progetto europeo Ebrains che ha come obiettivo la creazione di una piattaforma tecnologica digitale per le neuroscienze: «Stiamo collezionando migliaia di risonanze dai più grandi ospedali d’Europa per allenare modelli di intelligenza artificiale» rivela Corbetta «nel caso dell’ictus, ad esempio, questo ci consentirà di predire chi riuscirà ad avere un buon recupero, mentre per il Parkinson potremmo scoprire sottotipi di malattia che non conosciamo. Il problema principale ora è il tema della tutela della privacy dei pazienti, ma ci stiamo lavorando».

La cura dell’epilessia

In due stanze della nuova Stroke Unit ci sono sistemi di registrazione che consentiranno l’upgrade nel trattamento dell’epilessia: «Vorremmo sviluppare, grazie alla collaborazione fra il dottor Dainese e il professor Landi della Neurochirurgia Pediatrica e Funzionale, la stereo-Eeg una procedura che ancora non è disponibile nel Triveneto e che, attraverso l’impianto di una serie di aghi nel cervello, ci consentirà un monitoraggio delle zone elettricamente anormali con una sensibilità molto più alta, intervenendo in modo più efficace» spiega «questo ci aiuterà a dare risposte migliori al 30% di pazienti epilettici farmaco-resistenti, migliaia di persone che continuano ad avere crisi nonostante la terapia massimizzata. Per loro, la prospettiva è smettere le terapie farmacologiche o arrivare a ridurle in maniera consistente».

Sfida all’Alzheimer e Parkinson

La recente approvazione del primo anticorpo monoclonale per l’Alzheimer apre a un grande sviluppo dell’offensiva alla malattia: «L’Alzheimer è molto comune e sappiamo che l’accumulo nel cervello di proteine anomale responsabili della patologia inizia 10-20 anni prima delle manifestazioni cliniche. Questo rende una diagnosi precoce indispensabile» sostiene Corbetta «il grande lavoro da fare nel prossimo anno sarà quindi lo screening di molti pazienti per selezionare coloro che riceveranno i migliori benefici dalla terapia, non solo per il costo, circa 35 mila euro, ma perché l’efficacia si pensa sia maggiore in fase precoce. Forse, una delle sfide nei prossimi due anni a livello nazionale invece, sarà organizzare uno screening di massa per l’identificazione precoce di pazienti a rischio».

Un grande sforzo è in corso anche sul fronte del Parkinson – per cui Padova è al primo posto in Italia per trial clinici – con la realizzazione di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali ad hoc, lo studio di biomarkers specifici e di nuove terapie anche in collaborazione con il centro nazionale mRna diretto dal professor Rizzuto.

Ancora, la Clinica dell’Azienda Ospedale Università di Padova ha tre centri regionali – cefalee, Sla e sclerosi multipla – con un day-hospital e Centro per le terapie avanzate in cui vengono fatte 10.000 prestazioni l’anno ed è Centro di riferimento per le malattie neuromuscolari e per le neuropatie del Triveneto.

Trial clinici, infine, sono in corso sulla Sla, laddove l’unico farmaco efficace riguarda una mutazione genetica rara che interessa il 2% dei malati: «Purtroppo è una patologia con meccanismi multifattoriali tra cui predisposizione genetica, ambientale ed esposizione a tossine, ma anche qui sono in corso degli studi» conclude.

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