Così il laboratorio di genetica forense di Padova smaschera gli assassini

La dottoressa Luciana Caenazzo guida il team dell’università che – armato di tamponi, provette e determinazione – contribuisce a smascherare la mano armata dietro a tanti omicidi, grazie alle analisi sul Dna

Simonetta Zanetti
La dottoressa Luciana Caenazzo responsabile del laboratorio di Genetica forense
La dottoressa Luciana Caenazzo responsabile del laboratorio di Genetica forense

«Dare voce a chi non ce l’ha». È questo l’obiettivo che guida Luciana Caenazzo, associato di Medicina Legale all’Università di Padova, nonché responsabile del laboratorio di Genetica forense e consulente per il Tribunale.

Da una trentina d’anni, questa scienziata armata di tamponi, provette e determinazione grazie alle analisi sul Dna contribuisce a smascherare la mano armata dietro a tanti degli orrori che hanno fatto rabbrividire l’Italia: dal delitto di Iole Tassitani a Castelfranco, al suicidio della prof transgender di Marcon, Cloe Blanco, avvenuto nei boschi del Bellunese, passando per Irina Bakal uccisa al settimo mese di gravidanza dall’ex nel Trevigiano e ancora Lidia Pamio, l’anziana ammazzata dalla vicina a Mestre, fino alla padovana Isabella Noventa, per cui ci sono tre colpevoli in carcere e nessun corpo.

Così diamo voce a chi non ce l’ha. E tante donne muoiono restando solo numeri

Ma nel suo laboratorio è stato indagato anche il Dna della Mala del Brenta e quello di Sebastiano Nirta, tra i sicari della strage di Duisburg: «Con la ’ndrangheta credevo che sarei finita in un pilone di cemento» rivela. Oggi può riderci su.

Né è stata l’unica volta che ha temuto che il lavoro mettesse in pericolo lei e la sua famiglia: «Un giorno è arrivato un pacco per me» prosegue «era il periodo in cui partecipavo alle indagini sulla Mala del Brenta. Mi ricordo che ho chiamato Marco Calì, al tempo capo della Mobile e lui mi fa: “massì buttalo nel cassonetto”. Allora gli ho chiesto “e se esplode?”. Allora mi ha mandato l’artificiere che l’ha aperto e mi ha detto “guardi che è una persona che voleva ringraziarla» prosegue mostrando un angioletto «era di una donna per cui avevo fatto un esame di paternità» sorride.

Il caso di Isabella Noventa

Tra le memorie scolpite nella mente della dottoressa Caenazzo c’è l’omicidio di Isabella Noventa, un tarlo che si alimenta della mancanza di un corpo: «La gente che conosco mi ferma ancora per chiedermi dov’è. Se solo lo sapessimo» commenta con una punta di amarezza ricordando i lunghi sopralluoghi «Il pm Falcone mi rimprovera ancora che quello è l’unico Dna che non ho trovato, ma se ci fosse stato non mi sarebbe scappato. Semplicemente, o l’omicidio non è stato consumato lì o hanno avuto tempo di pulire».

Come in televisione

Del resto le serie crime alla Csi sono state un’ottima scuola per i malintenzionati, al punto da essere oggetto di riflessione già diversi anni fa negli Usa: «Uno degli interventi al convegno dell’American Academy Forensics era stato proprio l’effetto di Csi sulla medicina legale» racconta «ormai tutti sanno che la candeggina cancella il Dna. Ecco perché le scienze forensi vanno usate tutte, dal tracciamento dei telefoni alla psicologia.

Dopodiché, quando troviamo il Dna di una persona su una scena del crimine, pur dovendolo contestualizzare, siamo in fronte a una tecnica scientifica che è in grado di dare certezze poiché riesce a fornirci le caratteristiche uniche di un soggetto. Quando i numeri combaciano c’è poco da fare».

Così è stato nel caso di Antonio Floris, in cui il Dna fu una prova dirimente: per l’omicidio dell’ex detenuto ospite nell’Oasi dei padri Mercedari, è stato condannato a trent’anni Santino Macaluso, “incastrato” da un capello contenuto nel cappello ritrovato sul luogo del delitto.

Tra tecnologie e sfide

Intanto la tecnologia ha fatto passi da gigante anche grazie alla Pcr, tecnica di biologia molecolare che replica ripetutamente un tratto definito di Dna: «Siamo in grado di fotocopiare i pezzetti di Dna in nostro possesso con l’effetto di potenziare moltissimo la sensibilità» spiega «se prima mi serviva una traccia con un diametro di 1 centimetro, adesso posso trovarlo strofinando una superficie su cui immagino ci possa essere, anche se non la vedo».

Tipizzazione genetica di un individuo (fotoservizio agenzia Bianchi)
Tipizzazione genetica di un individuo (fotoservizio agenzia Bianchi)

Il Dna si trova all’interno delle cellule che hanno il nucleo e quindi può essere qualunque materiale biologico, dal sangue alla saliva, fino alle “toccature” quali le impronte.

«Le tracce si conservano bene sul vetro, molto meno sulla carta che assorbe» aggiunge «ma bisogna stare attenti al Dna di trasferimento secondario, ovvero la traccia di un’altra persona che posso lasciare ad esempio dopo averle stretto la mano. E talvolta dobbiamo scegliere cosa prelevare perché se strofino una superficie cercando il Dna rischio di danneggiare l’impronta che, ad oggi, conta su una banca dati molto più grande».

Al di fuori dal corpo questo “testimone biologico” si degrada velocemente «ma a Natale siamo riusciti a rintracciarlo su una macchia di sangue rimasta sull’asfalto per un mese. Non ci credevamo neanche noi».

Con le nuove tecniche ci sono risposte che possono toccare una precisione del 99,9% «non si dà il 100% solo perché stiamo parlando di una probabilità, ma un test con una corrispondenza così alta non apre ad altre possibilità perché offre una combinazione di caratteristiche genetiche uniche» chiarisce.

Per questo, sempre più spesso, non potendo attaccare il risultato della prova, gli avvocati della difesa cercano di attaccare la catena di custodia, puntando sulla contaminazione.

Tra i casi più difficili, gli omicidi delle prostitute «per cui diventa complesso capire quale possa essere stato il suo ultimo cliente» aggiunge «uno lo abbiamo individuato perché alla fine si era lavato le mani», mentre a volte la beffa è data da condizioni opposte «quando troviamo un Dna a cui non riusciamo ad associare un nome».

 Femminicidi e violenza

 Per un caso famoso, ce ne sono decine di sommersi uniti tutti da un comune denominatore: la presenza di una vittima. «Il caso di Giulia Cecchettin ha riportato un po’ l’attenzione sul tema, ma nel frattempo io sono stata chiamata a occuparmi di altri due femminicidi» conclude quindi la dottoressa Caenazzo «ancora oggi mi inquieta molto la sorte di queste donne che non riescono ad avere giustizia come si vorrebbe: sono numeri, persone che scompaiono, letteralmente. Sono i casi in cui mi dico che devo assolutamente fare qualcosa. Ricordo la vicenda di una donna soffocata con un cuscino. Abbiamo lavorato tantissimo per cercare di trovare il Dna dell’omicida sul cuscino proprio perché volevamo darle un po’ di giustizia. Di queste come di altre non si sa nulla, allora diventa necessario far parlare le lesioni, con tenacia: prima di arrendersi bisogna provarle tutte».

Tre sole ore per scovare un profilo genetico

Il laboratorio di Genetica forense diretto dalla dottoressa Luciana Caenazzo, nella sede di Medicina Legale a Padova è un luogo sacro e blindato: poche e molto fidate le persone che vengono ammesse. «Qui c’è il segreto istruttorio, non posso permettermi che arrivino degli studenti che poi vanno a dire agli amici cose come “sai che stiamo lavorando su Isabella?» chiarisce.

Qui, oltre a consulenze per il Tribunale nei casi di cronaca nera, si occupano delle attribuzioni di paternità e della valutazione dei trapianti di midollo per l’Ematologia pediatrica dell’Azienda Ospedale Università.

Al mattino con “le ragazze” – affidabili giovani colleghe – la dottoressa ha fatto il punto su come procedere su alcuni casi e sui risultati ottenuti in altri.

Quindi ci conduce tra i segreti del suo lavoro che inizia dalla scena del crimine: «Per trovare il Dna di chi ha commesso un reato si comincia con il sopralluogo» spiega la dottoressa Caenazzo dal suo laboratorio «una volta ricevuto l’incarico dal magistrato ci rechiamo sul posto per il prelievo dei campioni e in quei momenti siamo vestiti proprio come si vede in Csi, bardati per proteggere la scena dalla propria biologicità».

A quel punto le tracce vengono portate in laboratorio dove comincia un iter che avviene per tre macro fasi, in compartimenti stagni per evitare il rischio di contaminazioni. Oggi ci vogliono tre ore per ottenere un profilo genetico, laddove una volta ce ne volevano tra otto e dieci.

Il primo step è l’estrazione del Dna dal campione prelevato, ad esempio di sangue o di saliva: «La tecnologia oggi ci consente di lavorare con poche quantità mentre in passato dovevo fare un prelievo da 10 millilitri di sangue per fare un’estrazione» sostiene la genetista.

Una volta arrivato in laboratorio, il tampone forense viene inserito in una provetta per essere trattato con soluzioni di vario tipo depositate con l’utilizzo di micropipette dotate di filtri che rendono impossibile la contaminazione. Quindi seguono altri processi come centrifughe o bagni a temperatura controllata per arrivare ad avere la soluzione di un campione di Dna.

Il passo successivo è l’amplificazione: le provette vengono inserite nei termociclatori che fotocopiano il Dna «in questa condizione la contaminazione è ancora più rischiosa» ammonisce Caenazzo.

Infine avviene l’analisi degli elettroferogrammi, ovvero la rappresentazione grafica di un profilo genetico. «Il bello del Dna è che se c’è lo trovo» conclude «può essere parziale o poco indicativo, ma non può essere altro da sé. E se c’è lo vedo».

I passaggi per l’identificazione del Dna

Estrazione

Il primo passaggio per l’identificazione del Dna (l’acido nucleico che contiene le informazioni geniche) inizia in laboratorio con l’estrazione da un tampone forense del campione che, ad esempio, può essere di sangue o di saliva.

Amplificazione

Il secondo passaggio consiste nell’amplificazione: in questa fase le provette ricavate nel primo step vengono inserite nei termociclatori, strumenti di laboratorio in grado di condurre automaticamente determinate variazioni cicliche di temperatura necessarie all'amplificazione enzimatica di sequenze di Dna.

Lettura

L’ultimo step è quello dell’analisi degli elettroferogrammi, ovvero una serie di tracce che forniscono la rappresentazione grafica, pur al grezzo, di un profilo genetico ottenuto grazie al sequenziamento del Dna.

Profilo

Un profilo genetico ottenuto nel laboratorio di Genetica forense dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Padova: dal momento dell’arrivo in laboratorio del campione alla lettura ci vogliono circa tre ore.

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