Cure palliative in Italia: un lungo documento per sollecitare la politica

Un diritto negato: le cure palliative in Italia esistono sulla carta, ma non nella realtà. Il Comitato di Bioetica evidenzia lacune nell'accesso, disparità territoriali e mancanza di risorse

Francesco JoriFrancesco Jori

Un primato di carta. In tema di fine vita, l’Italia ha varato una legge tra le più avanzate d’Europa per garantire il ricorso alle cure palliative. Peccato che a quindici anni dalla sua approvazione rimanga in larga misura inapplicata, e dia risposta solo a una minoranza dei pazienti che ne avrebbero bisogno.

Una forte sottolineatura in tal senso viene da un ampio documento del Comitato nazionale di bioetica, il primo ad affrontare il problema in modo sistematico: con il ricorso ad esempi eloquenti, come quello che riesce ad usufruirne solo un bambino su dieci dei 35mila coinvolti.

Sì, perché come sottolinea il documento la possibilità di ricorrere a una terapia del dolore non riguarda solo gli anziani nella fase terminale dell’esistenza, ma l’intera popolazione a qualsiasi età: i malati, e i loro familiari.

È uno snodo cruciale nello strategico percorso del fine vita, quello delle cure palliative. Proprio per questo il Comitato di bioetica rivolge un pressante richiamo a farle passare dalla teoria alla pratica: messaggio rivolto in primis alla politica (inadempiente da anni a emanare una legge organica sul fine vita, come segnalato dalla Corte Costituzionale), ma poi anche alle istituzioni sanitarie, a loro volta in deficit di attenzione. Il punto più critico è che tuttora le cure palliative non compaiono nel novero delle discipline ospedaliere, lasciando campo a pesanti diversità di trattamento nelle singole realtà.

Ma c’è anche una clamorosa carenza di organico, con appena un terzo di medici e infermieri specializzati in materia rispetto al fabbisogno. E continua a permanere una formazione lacunosa e inadeguata, sia a livello di pre che di post laurea.

L’effetto globale di queste criticità è un sistema di cure palliative caratterizzato da vistose disparità tra territori, specie tra nord e sud del Paese.

A quest’ultimo aspetto il documento del Comitato di bioetica dedica una specifica sottolineatura, segnalando che a distanza di anni dalla legge del 2010, «permangono disuguaglianze regionali in termini di accesso e standard di assistenza», e invocando «una distribuzione equilibrata delle risorse per assicurare cure palliative di qualità in tutte le regioni del territorio nazionale». Più in generale, occorre anche puntare su un’estensione della pratica, oggi concentrata sulle malattie oncologiche ma in realtà fondamentale nell’approccio ad ogni patologia.

E non manca l’ennesima denuncia dei vincoli burocratici, autentico Covid amministrativo dell’intera macchina pubblica all’italiana: il documento punta il dito contro «la complessità dei processi amministrativi per i riconoscimenti degli interventi palliativi simultanei, aggravati dall’assenza di protocolli chiari e da una comunicazione non sempre efficace tra servizi e dipartimenti».

Altra sottolineatura forte del Comitato chiama in causa il rapporto con i pazienti e i loro familiari, troppo spesso lasciati a se stessi, con informazioni scarse se non nulle: occorre ispirarsi al concetto che «il tempo della comunicazione costituisce tempo di cura», il che comporta «il dovere di fornire informazioni complete, accurate e comprensibili sulla prognosi e sulle opzioni terapeutiche disponibili».

In linea generale, il documento mette in evidenza il fatto che «l’attivazione delle cure palliative nei vari contesti sanitari incontra una serie di barriere che ne limitano l’efficacia e la diffusione, soprattutto in quelle aree dove avviene la maggior parte delle morti e in quelle nelle quali prevale l’orientamento agli obiettivi intensivi»; al riguardo vengono citati soprattutto i reparti ospedalieri di geriatria, le RSA (residenze sanitarie assistenziali) e le case di riposo.

Tutti contesti caratterizzati dalla presenza di anziani che «presentano frequentemente dolore e sintomi fisici non adeguatamente trattati», e in cui «molti di essi esprimono elevati livelli di solitudine, depressione, carenza di assistenza in ordine a particolari bisogni, come quelli spirituali».

Un richiamo forte, quello del Comitato, specie in una fase in cui gli interventi di singole Regioni (Veneto in testa) per normare il fine vita vengono contestati invocando in alternativa le cure palliative.

Concetto sacrosanto, se solo fossero messe in atto davvero.

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