Disturbi alimentari, la storia di Viola: «Il cibo era diventata la mia ossessione, contavo sempre le calorie»

In Italia oltre 3 milioni di persone soffrono di disturbi legati al cibo. Tra i più noti ci sono anoressia e bulimia ma sono molti di più. E la storia di Viola, 17 anni nome di fantasia, ci aiuta a capirli meglio: «Chiedete aiuto, non abbiate paura»

Daniela Larocca
Tra i più noti ci sono anoressia e bulimia ma i disturbi alimentari in realtà sono molti di più. Parlarne significa creare consapevolezza e prevenzione
Tra i più noti ci sono anoressia e bulimia ma i disturbi alimentari in realtà sono molti di più. Parlarne significa creare consapevolezza e prevenzione

Se il polso si riesce a stringere tra due dita, va bene. Se il braccio è piccolo tanto da sembrare una linea sottile, ancora meglio. Poi ci sono le costole, da toccare e accarezzare. Si vedono? Benissimo. Le anche sporgono? Che bello.

Sono questi i pensieri di chi ha vissuto o vive un disturbo alimentare. A qualcuno potrà sembrare un’esagerazione: mangiale due cose, su, non fare così, dicono i più. Ma per chi c’è dentro, per chi ha vissuto questi fantasmi, quelle parole e sensazioni le ricorderà come un momento di gioia, di beatitudine. Un traguardo tagliato di una maratona dove si perde, però. Non si vince nulla.

In Italia ci sono 3 milioni e mezzo di persone che convivono con un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione. Sono anoressia, bulimia quelle più famose. Ma c’è anche l’ortoressia, il controllo spasmodico delle calorie. Tutto ruota attorno a una cosa: il cibo. Il cibo quando è tanto, il cibo quando è poco, il cibo quando va nascosto o quando va buttato via fuori dal corpo. 

Lo sa bene anche Viola, nome di fantasia necessario per tutelare la sua sfera privata, 17 anni. Lei che si è spezzata e ricostruita, lei che più volte si è misurata quel polso sempre più piccolo e che ha voluto raccontare la sua storia affinché «le altre ragazze e gli altri ragazzi non si sentano mai soli». 

Il suo disagio, come capita molto spesso agli adolescenti, nasce a scuola, alle medie. «Una compagna di classe una volta mi ha fatto un commento un po’ sgradevole e lì mi sono guardata e analizzata. Eh si, mi piaceva mangiare, sono sempre stata una buona forchetta», ricorda ridendo. Peccato che quel commento, trascurato e lasciato in un angolo, sia diventato un piccolo tarlo. «Vedevo le altre, le trovavo più carine e io ero strana. Non ero al mio posto». 

Una compagna di classe una volta mi ha fatto un commento un po’ sgradevole e lì mi sono guardata e analizzata

Poi sono arrivate le superiori e poco dopo il Covid. La stragrande maggioranza di ragazzi con disturbi alimentari ha raccontato come la pandemia abbia acuito i disagi fisici ed emotivi. «Ho iniziato ad allenarmi, in maniera soft. E ho iniziato a perdere peso. Ho avuto la certezza che qualcosa fosse cambiato quando, una volta rientrati in classe, hanno iniziato a trattarmi diversamente, a guardarmi diversamente». Sì, le persone sono più gentili quando si perde peso: «Esatto. Mi sentivo per la prima volta contenta e felice. E quella gioia cresceva sempre di più man mano che perdevo peso». 

Le persone sono più gentili quando si perde peso

E da lì inizia il loop: allenamento, meno cibo, meno calorie, più sforzo, più fame, più nervosismo. Cosi, sempre più veloce, sempre più ansiogeno: «Ho iniziato a diminuire gli ingredienti dei miei pranzi durante il Pcto, fingevo di avere mal di pancia per non mangiare. Addirittura aspettavo che i miei facessero colazione per farla io, anzi non farla, o dicevo loro che mi sarei preparata la cena da sola per il gusto di cucinare».

In realtà il solo piacere era quello di limitare gli ingredienti: via dolci, via zucchero, via pane, grissini, il tanto amato gelato. «Avevo il terrore dell’olio. Ed ero ossessionata dalle salse: dovevo vedere quanto ne mettevano e scegliere quelle che avevano meno calorie». Ed era tutto cosi: un conteggio continuo di calorie, sempre meno, fino a saltare i pasti: «C’erano giorni che non mangiavo fino alle cinque. Mi allenavo tre volte al giorno e prima degli allenamenti “ufficiali” dovevo fare esercizio a casa. Ed ero felice, ero cosi soddisfatta dei miei risultati». 

Ed era tutto cosi: un conteggio continuo di calorie, sempre meno, fino a saltare i pasti

Qualcosa poi è cambiato. I genitori di Viola si sono presto accorti dei cambiamenti della figlia: stanchezza e nervosismo prima di tutto, ma anche il freddo. «Avevo sempre i brividi, il freddo fino alle ossa anche a giugno. Mi sentivo congelata dentro». A quel punto l’intervento della mamma e la visita dal medico di base: «C’è voluto tempo prima che capissi, che aprissi gli occhi». Tutto bene alla fine? «Macchè. c’è stato il risvolto della medaglia. Ho iniziato a mangiare tanto e malissimo». E riecco il loop del cibo, solo cibo, sempre cibo. 

Si guarisce da un disturbo alimentare? «Sì, ma serve tanta accettazione. A volte ho pensato anche di avere il potere di farlo e rifarlo quando volevo. Mi ero imposta questa regola del lunedì. Mangiavo dolci e schifezze il fine settimana, convinta che il lunedì potessi ricominciare ad avere una sana alimentazione. Ma cosi non è stato. La situazione mi stava sfuggendo di mano ancora».

Giorno dopo giorno, tanto sostegno e aiuto dalle persone amate, Viola si è rialzata: «Ho imparato ad ascoltarmi, a volermi bene, ad accettare che posso mangiare tutto con moderazione e con intelligenza. Ho deciso di abbinare cibo sano a qualche concessione. E non me ne faccio una colpa». 

Non ha aiutato il continuo bombardamento di nuovi alimenti, tutti che puntano sui “zero zuccheri”, “zero calorie”, proteico, altamente proteico: «Il mio cibo preferito era diventato il budino al caramello, proteico ovviamente. Come se questa cosa mi permettesse lo “sgarro lecito”. E invece era come ingerire quattro bistecche. Allora ho detto: sai cosa? Invece di quattro bistecche mi mangio un piatto di pasta. Perché è migliore? Forse si. Ma sicuramente perché ne ho voglia». 

Ad aiutarla un libro comprato durante un viaggio in Scozia: «You Are Not a Before Picture mi ha fatto sentire compresa. Così come ho seguito anche alcune youtuber che avevano vissuto la stessa cosa e hanno avuto la forza di raccontarla. Ecco i social possono tirarti giù nel baratro con i loro modelli sbagliati o possono aiutare e farti sentire parte di qualcosa di più sano». 

Quello su cui punta poi l’attenzione Viola è il sostegno e il dialogo: «A chi vive questa situazione dico: parlatene, fatevi aiutare, lasciate che gli altri vi ascoltino davvero. Che sia a scuola, dove spesso ci sono punti di ascolto, in famiglia o tra amici. Trovate chi rispetta il vostro vissuto e parlatene con loro. A volte diranno cose che vi faranno arrabbiare, altre volte vi ameranno e vi aiuteranno. Ma parlarne è il primo passo per stare meglio». 

Quel libro scelto da Viola ha proprio ragione: noi non siamo l’immagine di prima

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