Il lungo cammino verso la maternità con la fecondazione assistita
Dopo anni di tentativi, visite fallite e costi elevati per la fecondazione assistita in Italia, una coppia si rivolge alla Spagna per ottenere il tanto desiderato bambino: «Percorsi del genere ti sfiancano, noi volevamo mollare»

Il desiderio di diventare madre, più forte di ogni cosa. Delle tante, troppe, visite andate male, degli esami da ripetere, della freddezza dei medici e della difficoltà a reperire le informazioni giuste. Più forte dei tanti ostacoli che, spesso, chi affronta la fecondazione assistita si trova a dover affrontare. La storia di M., del suo compagno e della loro bambina inizia nel 2016, ma il parto avverrà solo a metà del 2023.
Quando avete deciso di diventare genitori?
«Abbiamo pensato ai figli tardi, io avevo 35 anni e lui 39, prima d’altronde non potevamo. Una volta iniziato a provarci, la gravidanza non arrivava ed è partito l’iter delle visite».
Ed è arrivata la diagnosi?
«No, dagli esami sono emersi problemi da entrambe le parti, ma una diagnosi vera e propria di infertilità non è mai arrivata, parlavano solo di “difficoltà”. È stato frustrante, i medici ci continuavano a dire di provarci, come se fosse colpa nostra se non riuscivamo ad avere un figlio».
Nel Veneziano, per la Pma bisogna affidarsi al centro regionale di Padova, anche voi siete passati di lì?
«Sì, era il 2018 quando abbiamo fatto la prima visita e per noi è stata una pessima esperienza. Dai referti erano emerse delle anomalie, bisognava fare la diagnosi pre impianto. Noi avevamo chiesto di poter iniziare il percorso a Padova solo con la garanzia di poter fare anche quel test genetico e ci avevano detto che non c’era nessun problema, tant’è che avevo già in mano la carta per farlo. Peccato che, al momento di iniziare il ciclo di stimolazione ci dicono che lì quell’esame non veniva effettuato, allora la primaria chiama il collega di Arco di Trento per mandarci da lui».
Com’è andata?
«Ci guardavano male, eravamo i raccomandati che erano passati davanti agli altri e ce lo facevano pesare. Stavamo aspettando la chiamata per iniziare la stimolazione ovarica quando è arrivata la pandemia e quell’ospedale era Covid center e quindi abbiamo dovuto aspettare altro tempo».
In tutto ciò avete sostenuto dei costi?
«Solo per le prime visite e gli esami se ne sono andati duemila euro».
Torniamo alla pandemia, quando siete potuti tornare a Trento?
«Tra la prima e la seconda ondata. Purtroppo la stimolazione non va bene e ci dicono subito di provare l’eterologa. Così, senza altre chances, senza darci altri tentativi. È stato uno schiaffo».
Avete ascoltato il loro suggerimento?
«Ci siamo dovuti fermare un attimo per riprenderci psicologicamente. Non è facile quando ti senti dire che per te non c’è più speranza. Qualche mese dopo siamo andati all’Arcster di Mestre, perché ci avevano detto che erano i migliori».
Com’è proseguito il vostro percorso?
«Mi hanno fatto la stimolazione ovarica con un protocollo diverso rispetto a quello di Trento ed è andato a buon fine. Dei sei ovociti prelevati, quattro vengono fecondati ma ne sopravvivono solo due, che vengono sottoposti alla diagnosi pre impianto e risultano essere aneuploidi, cioè con un numero di cromosomi sbagliato e quindi esposti ad arresti nella maturazione».
Una notizia difficile da digerire.
«È stato il colpo di grazia, eravamo a terra. Anche perché ci è stato comunicato al telefono, frettolosamente. Non abbiamo ricevuto nessun supporto, la clinica ci ha detto che eventualmente tra i loro specialisti c’era anche uno psicologo, ma era solo un tentativo di tamponare la situazione, nel momento in cui avevo fatto presente che i modi usati erano stati poco umani».
Avete mai pensato di abbandonare l’idea di diventare genitori?
«Assolutamente. Anche perché percorsi del genere ti sfiancano, sia come persona che come coppia, si creano tensioni. Ci sono voluti un paio di anni per elaborare il tutto».
Il desiderio, però, era più forte delle difficoltà.
«Sì, tant’è che nel 2022 ho detto a mio marito che non potevamo arrenderci, altrimenti ci sarebbe rimasto il rimorso di non aver fatto abbastanza. Allora abbiamo scelto di lasciar perdere l’Italia e di puntare sulla Spagna».
Ed è arrivata la vostra bambina, finalmente.
«In tre mesi abbiamo fatto tutte le prime visite, e abbiamo scelto l’embriodonazione: è stata fissata la data per l’impianto e poi siamo diventati genitori. Se tutto fosse andato bene, nostra figlia ora starebbe finendo le elementari».
Quanto costa la Pma?
«In Spagna costa un quarto rispetto all’Italia dove, senza arrivare al transfer, si aggira sui 7mila euro. Certo, ci sono i rimborsi della Regione, ma sono briciole e, anche in questo caso, mancano informazioni».
Dopo tanti anni di tentativi, cosa resta?
«Molta rabbia. Avere un figlio a 42 anni non è una passeggiata, ma qui non c’è la volontà di rendere facile il percorso. Ci vuole una grande forza di volontà per sopportare tutto».
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