Le donne che subiscono violenza sono più a rischio di sviluppare gravi patologie
Emicrania, dolore pelvico, disturbi d’ansia, depressione, insonnia, ulcera e malattie cardiovascolari: il progetto Wish dell’Università di Padova analizza le conseguenze impensate della violenza di genere
In Italia, secondo i dati Istat, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenze fisiche o sessuali nell’arco della propria vita e 652.000 di esse sono state stuprate, reato commesso nel 62,7% dei casi dal partner.
Oltre alle lesioni traumatiche inflitte dalla brutalità fisica, la violenza (anche “solo” psicologica) da parte del partner (Intimate Partner Violence, IPV) può portare allo sviluppo di molte patologie, come disturbi d’ansia, depressione, insonnia, ulcera, emicrania e dolore pelvico. Ancora più sorprendete e meno risaputo è il fatto che IPV è un fattore di rischio a lungo termine per le malattie cardiovascolari, l'aumentata incidenza del cancro e dei disturbi neurodegenerativi.
Mancano ricerche mirate
«Nonostante i dati siano allarmanti, sono ancora troppo pochi gli studi scientifici sul tema – spiega il professor Nazareno Paolocci del dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova -. Infatti, a dispetto del gran numero di indagini sulla prevalenza, le ragioni sociali ed i danni fisici prodotti dalla violenza maschile inflitta alle donne, sono praticamente assenti ricerche che si concentrino sul comprendere che cosa accada alla biologia e alla fisiologia femminile, quando sottoposte a questo terribile tipo di stress. Proprio per questo abbiamo scelto di avviare un’innovativa attività di ricerca medica con il progetto “WISH – Women Intimate Shelter” che ci permetterà di analizzare le conseguenze fisiopatologiche sul corpo della donna a seguito di comportamenti violenti del partner».
Capire i meccanismi biologici
«Il nostro team si propone di indagare i meccanismi biologici in grado di spiegare l’aumentato rischio di sviluppare disturbi psichiatrici e neurologici a carico delle donne vittime di violenza, ma anche l’aumentata incidenza di malattie cardiovascolari e cancro – dice il dottor Jacopo Agrimi, del dipartimento di Scienze biomediche e coordinatore dello studio – non solo, vogliamo anche comprendere quale sia il tratto patologico comune, il meccanismo biologico, che spieghi le malattie indotte da IPV in più parti del corpo, e testare nuovi trattamenti farmacologici specifici, basati su un approccio di genere e più efficaci sul lungo periodo.
La ricerca è cominciata quasi tre anni orsono presso la Johns Hopkins University, negli Stati Uniti: «Da alcuni anni, in quella sede, ci occupavamo degli effetti dello stress psicologico sulla salute del cuore e del cervello. Come accade nella maggior parte dei casi, in ambito di ricerca biomedica, i nostri sforzi si concentravano solo sulla fisiologia maschile, ma proprio in quel contesto abbiamo deciso di rompere gli schemi: provare ad esplorare e comprendere quale fosse l’impatto dello stress fisico e psicologico imposto da un maschio all’organismo femminile.
I risultati preliminari
«I risultati preliminari ottenuti in questi tre anni (in fase di pubblicazione) – spiega sempre Agrimi – ci hanno profondamente sorpreso. Essi ci indicano infatti che IPV induce gravissimi danni a lungo termine insistendo proprio su ormoni, come gli estrogeni, che influenzano potentemente la fisiologia femminile. Nel dettaglio, abbiamo osservato che IPV prolungato induce morte neuronale (vera e propria perdita di neuroni) causata da una tempesta di molecole legate allo stress, ma soprattutto riducendo i livelli di un recettore degli estrogeni fondamentale per moltissimi processi protettivi nel corpo femminile. Le implicazioni di queste osservazioni sono importanti e molteplici, infatti se fossimo finalmente in grado di comprendere attraverso quali meccanismi IPV conduce le donne a sviluppare una lunga lista di malattie, sarebbe possibile immaginare terapie di genere (che tengano finalmente in conto le specificità della fisiologia femminile), mirate e più efficaci. I nostri risultati hanno poi un’altra importante implicazione, che suona quasi come un monito: la violenza da parte del partner, anche quella di natura psicologica, miete vittime in maniera subdola, ed i danni sul corpo delle donne, così come i femminicidi, sono molto più numerosi di quelli che derivano dalle sole lesioni fisiche immediate».
Progetto ambizioso e costoso
Con WISH l’Università di Padova dà il via a un progetto ambizioso che richiede un grande impegno anche economico. Per questo, insieme all’impegno dell’Ateneo, è fondamentale l’aiuto da parte di ciascuno, per fare sì che la ricerca proceda in maniera spedita e possa trasformarsi in cura, fornendo un aiuto concreto per milioni di donne in Italia e nel mondo.
«Fare cultura sugli effetti biologici e molecolari della violenza contro le donne ci permette di analizzare questo atroce fenomeno da un altro punto di vista e creare così letteratura scientifica che possa permetterci di gestire meglio queste pazienti e gli effetti a lungo termine della violenza subita dal partner – spiega Gaya Spolverato, medico chirurgo e delegata alle politiche per le pari opportunità dell’Università di Padova -. Il progetto WISH analizza le conseguenze fisiologiche e patologiche che le violenze subite da parte del partner hanno sul corpo della donna, fornendo dati scientifici in grado di caratterizzare gli effetti propri di questo tipo di violenza, permettendo anche al personale sanitario di riconoscere determinati fenomeni e agire anche in termini di prevenzione».
WISH affronta poi un altro affascinante scenario, finora praticamente inesplorato: come e attraverso quali meccanismi IPV aumenta nelle donne il rischio di sviluppare cancro? Una maggiore incidenza di alcuni tipi di cancro nelle donne in post-menopausa suggerisce un ruolo protettivo degli estrogeni nei confronti dei tumori. I dati preliminari testimoniamo come sia proprio un recettore degli estrogeni, ERβ, ad essere fortemente ridotto da questo tipo di stress. A partire da questa osservazione, ed approfondendone i meccanismi, cercheremo di gettare luce sul ruolo della violenza da parte del partner nell’aumentare il rischio di sviluppare cancro per le donne.»
Come sostenere il progetto
Si può sostenere il Progetto di ricerca WISH e aiutare l’Università a combattere efficacemente la violenza contro le donne facendo una donazione che permetterà di rafforzare il gruppo di ricerca con il reclutamento di nuovi ricercatori e ricercatrici con competenze multidisciplinari e di sostenere le ingenti spese per l’acquisto di attrezzature innovative e reagenti per i test in laboratorio.
Link per contribuire alla ricerca: https://sostieni.unipd.it/wish/~mia-donazione
Riproduzione riservata © il Nord Est