Mutazione dei geni, l’ultima frontiera contro il problema del colesterolo alto

L’introduzione di una serie di nuovi farmaci a Rna sta ora promettendo di cambiare in maniera radicale lo scenario terapeutico per chi ha il colesterolo alto

Mauro Giacca
Mauro Giacca
Mauro Giacca

Sono otto i fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, prima causa di morte al mondo. C’è poco da fare per tre di questi: l’età, il sesso (i maschi hanno un rischio generale considerabilmente più alto) e la familiarità genetica sono di fatto non modificabili.

Due altri fattori (fumo e obesità) sono invece controllabili cambiando lo stile di vita. L’obesità, poi, si può affrontare non solo con dieta e movimento, ma anche con la chirurgia bariatrica e, da un paio d’anni, anche con i farmaci che mimano l’effetto dell’ormone Glp-1. Negli Stati Uniti 1 individuo su 8, ovvero il 12% della popolazione generale, ormai fa uso di questi farmaci.

Gli ultimi tre fattori di rischio (diabete, ipertensione e livelli di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità - Ldl) sono tutti e tre controllabili con la terapia farmacologica. Per il colesterolo, in particolare, l’introduzione di una serie di nuovi farmaci a Rna sta ora promettendo di cambiare in maniera radicale lo scenario terapeutico.

Se avete il colesterolo-Ldl alto, probabilmente avete anche sperimentato come sia frustrante sperare nella dieta soltanto: anche affannandosi a mangiare cibi che contengono pochi grassi, la riduzione nei livelli di colesterolo non riesce a superare il 10%, solitamente troppo poco per scendere al di sotto del livello di rischio. Dalla fine degli anni ’80 abbiamo a disposizione le statine, farmaci dall’effetto straordinario: andando ad agire su un enzima (la Hmg-CoA riduttasi) che regola la sintesi del colesterolo, le statine hanno letteralmente rivoluzionato la terapia dell’ipercolesterolemia.

Un’analisi di oltre 275 studi clinici condotti negli ultimi 30 anni ha mostrato come la terapia preventiva con una statina riduca sia la mortalità generale sia l’incidenza d’infarto o ictus cerebrale.

Ma ci sono casi in cui le statine non sono sufficienti. Questo è particolarmente vero per i pazienti che hanno delle mutazioni nei geni che regolano il metabolismo del colesterolo. Circa un individuo su 250 ha mutazioni nel gene che codifica per il recettore dell’Ldl, che nel fegato è indispensabile per rimuovere il colesterolo-Ldl dalla circolazione, o nel gene che serve a sintetizzare la proteina ApoB, che si associa al colesterolo-Ldl nel sangue e contribuisce al suo smaltimento.

Per questi pazienti, a metà degli anni 2000, sono stati sviluppati degli anticorpi monoclonali (evolocumab e alirocumab) che hanno come bersaglio un enzima, chiamato Pcsk9, che all’interno delle cellule del fegato accelera la distruzione del recettore delle Ldl. Inibendo Pcsk9, si aumentano i livelli di questo recettore e quindi la rimozione del colesterolo dalla circolazione.

Ora, l’introduzione delle nuove terapie a Rna sta fornendo in tempi rapidi tutta una nuova serie di possibilità terapeutiche. Nel 2021, le autorità regolatorie hanno approvato inclisiran, un piccolo Rna inibitorio (siRna) che abbassa i livelli dell’Rna messaggero di Pcsk9 nel fegato. Mentre gli anticorpi monoclonali inibiscono Pcsk9 nel sangue e debbono essere somministrati una volta al mese, l’effetto di una singola iniezione sottocutanea di inclisiran dura per almeno sei mesi (le statine devono essere assunte, per via orale, ogni giorno). Sulla base di questo successo, diverse aziende farmaceutiche stanno ora sviluppando nuovi farmaci a Rna che hanno come bersaglio altre proteine che si legano ai lipidi, in particolare la lipoproteina(a). Tra questi, pelecarsen, un piccolo Rna somministrato una volta al mese, sarà disponibile alla fine di quest’anno, mentre la sperimentazione per olpasiran, un siRna da iniettare ogni tre mesi, terminerà nel 2027.

L’ultima frontiera, quella più controversa, è basata su un approccio estremo: se inibire queste proteine del fegato ha un effetto positivo sulla riduzione del colesterolo, perché non inattivarne in modo permanente i geni che le codificano per risolvere il problema una volta per tutte? È questo il concetto che sta perseguendo una biotech americana, Verve Therapeutics, che sta utilizzando le tecnologie dell’editing genetico per introdurre mutazioni permanenti nei geni del fegato. Secondo Verve, ci sono almeno 8 geni che regolano i livelli del colesterolo le cui distruzione non causerebbe nessuna patologia ma abbasserebbe in maniera efficace i livelli di colesterolo-Ldl. Una di queste terapie, che ha come bersaglio il gene che codifica per Pcsk9, ha già iniziato la sperimentazione clinica alla fine del 2023.

L’approccio, tuttavia, non è scevro di critiche. Una cosa è inibire in maniera duratura ma comunque transitoria una proteina, un’altra è modificare in maniera permanente il gene che la codifica. A parere di molti, compreso chi vi scrive, le modificazioni genetiche devono essere riservate alla correzione delle mutazioni, non alla distruzione di geni normali per prevenire un fattore di rischio. Se l’evoluzione ci ha dotato di questi geni è ben probabile che servano a qualche funzione importante, e distruggerli in maniera permanente semplicemente per la comodità di non dover assumere una terapia con regolarità non sembra proprio un’idea saggia.

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