Prima mondiale a Padova, intervento a cuore battente salva la vita a un paziente di 81 anni
L’équipe di cardiochirurgia dell’Ospedale di Padova, guidata dal professor Gino Gerosa, ha realizzato il primo intervento al mondo di rimozione di una vegetazione endocarditica a cuore battente: ecco come è stato possibile

Hanno “aspirato” l’infezione da un cuore stanco e malato, in un paziente che diversamente non sarebbe sopravvissuto, come mai era stato fatto prima al mondo.
È l’ennesimo record messo a segno dall’equipe del professor Gino Gerosa, direttore della Cardiochirurgia dell’Azienda Ospedale Università che per la prima volta in presenza di una endocardite infettiva in un paziente altrimenti inoperabile, è intervenuta con una tecnica micro-invasiva rimuovendo la “vegetazione” – ovvero gli effetti dell’infezione batterica – venutisi a creare nell’aorta ascendente senza fermare il cuore né utilizzare la circolazione extracorporea, ma facendo un’incisione di 4 centimetri all’altezza della clavicola.
Il caso
«Esperienza, creatività e coraggio, con etica a servizio del benessere del paziente» è la formula che guida il professor Gerosa ogni volta che va alzata l’asticella per curare un malato.
In questo caso un 81enne padovano con endocardite già sottoposto alla sostituzione della valvola aortica nel 2018 – tra i fattori di rischio per questo tipo di infezioni –, con una serie di problemi cardiovascolari, tra cui ipertensione, diabete e fibrillazione atriale.
Un quadro molto complesso accompagnato da infarto e insufficienza renale acuti e ischemia. Il paziente, colpito da embolia cerebrale era anche ad alto rischio di emorragia: l’intervento cardiochirurgico tradizionale era quindi molto pericoloso.
Il paziente era stato ricoverato con febbre, tosse e dolore addominale: le indagini avevano confermato l’infezione proliferata sulla bioprotesi, una specie di “palline” cresciute nel tempo fino a 23X6 millimetri, che rischiavano di staccare la protesi stessa. «Siamo tra le popolazioni più anziane al mondo e quindi dobbiamo farci carico di trovare strategie nuove per ridurre l’invasività degli interventi e garantire una migliore ripresa e qualità della vita in queste persone» sostiene Gerosa.
La tecnica
L’endocardite infettiva non trattata è sempre fatale, mentre il tasso di mortalità ospedaliera è del 15-20% con una percentuale a un anno che si avvicina al 40%.
Da qui la necessità di trovare una strategia diversa da quella tradizionale per salvare la vita al paziente: «L’intervento è stato realizzato in sala ibrida a cuore battente senza l’uso della circolazione extracorporea e senza fermare il cuore, attraverso una piccola incisione sottoclaveare» spiega il cardiochirurgo «l’approccio micro invasivo ha permesso il minimo accesso con supporto emodinamico in “Ecmo like configuration” e bassa dose di eparinizzazione limitando il sanguinamento. Attraverso l’accesso creato sotto la clavicola abbiamo introdotto quindi l’AngioVac che è una sorta di piccolo “aspirapolvere” che abbiamo immesso attraverso l’arteria ascendente risucchiando la massa. Un intervento tradizionale, sarebbe stato estremamente invasivo per il paziente e le sue condizioni».
L’intervento è stato eseguito meno di un mese fa e il paziente è stato estubato già nella prima giornata post operatoria con una degenza complessiva in Terapia Intensiva di cinque giorni – essenzialmente dovuta alle condizioni di salute complesse – e un completo recupero neurologico: adesso sta facendo riabilitazione. Il follow-up non evidenzia infezioni residue. «Registriamo un aumento delle infezioni al cuore» prosegue Gerosa «quando sono al suo interno, come in questo caso, sono legate ad esempio all’installazione di valvole o di altri apparati, ma anche a interventi odontoiatrici che non sono stati accompagnati da una profilassi adeguata o dall’immissione di batteri immessi nel circolo sanguigno per altre problematiche».
L’attività
La Cardiochirurgia dell’Azienda nel 2024 ha eseguito 1.066 ricoveri, 1.417 interventi, 47 trapianti e 7.465 prestazioni ambulatoriali.
«Padova è da sempre all’avanguardia in questo ambito, ricordiamo il primo trapianto in Italia effettuato qui dal professor Gallucci e i successivi traguardi del professor Gerosa che ci portano fino a quest’ultimo risultato» commenta il direttore generale dell’Azienda Ospedale Università Giuseppe Dal Ben «queste eccellenze consentono di studiare nuove modalità di intervento garantendo assistenza e vita di qualità a persone che un tempo non erano curabili poiché il rapporto tra rischi e benefici era a favore dei primi. Oggi siamo in grado di intervenire anche su persone fragili come i grandi anziani migliorando la loro esistenza».
Tra le sfide da affrontare, la cura dei pazienti affetti da scompenso cardiaco avanzato: «I cuori non solo non sono sufficienti, ma il profilo del donatore è passato dai 18 ai 60-65anni e questo impatta» conclude il professor Gerosa «per questo dobbiamo trovare altre strategie come sistemi di assistenza meccanica e cuori artificiali, ma c’è ancora molto da fare».
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