Le nuove frontiere della sanità: «Così l’Ai può aiutarci a predire il decorso delle malattie»
Il professor Paolo Simioni, nuovo direttore del Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Azienda. «Gruppi di lavoro per costruire modelli da utilizzare nel contesto di cura»
Dalla medicina di precisione a quella di previsione. È questa la sfida lanciata dall’Azienda Ospedale Università in cui il professor Paolo Simioni è il nuovo direttore del Didas di Medicina dei Sistemi di Padova, ovvero a capo di tutte le medicine.
Professore, come si tiene tutto insieme?
«Oggi si parla di medicina dei sistemi perché è cambiata la visione della malattia: una volta si studiava la singola patologia oggi si tende invece a vedere la malattia come entità complessa in un’interazione di sistemi biologici in cui la malattia interessa più apparati e quindi è necessario avere una visione globale del paziente per costruire le terapie più appropriate e prevenire le malattie. È una visione più ampia, un cambiamento culturale. Un dipartimento deve quindi essere in grado di affrontare le malattie da varie prospettive per adattare sempre più la cura al singolo».
Si parla molto di terapia sartoriale in cosa consiste?
«Oggi sappiamo che lo stesso farmaco che serve per curare, ad esempio la trombosi, non può essere utilizzato in tutti i soggetti, ad esempio in presenza di un’insufficienza renale. Aver chiaro l’individuo nella sua complessità fa sì che si possa adattare la terapia migliore per quel determinato individuo mentre l’idea un tempo era di trovare la terapia universale facilmente applicabile a tutti. Ma abbiamo visto che non funziona e che ci sono proprio degli adattamenti che consentono di essere molto più precisi rispetto a una volta».
Dovendo spostare l’asticella più in alto, qual è il prossimo passo?
«Questo tipo di medicina ci porta ad acquisire una tale quantità di informazioni ormai difficili da gestire. La sfida che è che è in atto è l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale per integrare tutte queste informazioni. Come Dipartimento abbiamo progettualità avanzatissime: ci sono gruppi che si occupano praticamente solo dell’applicazione dell’intelligenza artificiale alla medicina dei sistemi proprio per poter sviluppare modelli predittivi attraverso l’acquisizione dei dati – pressione, glicemia, dislipidemia – per poter prevedere l’insorgenza di malattie e l’eventuale evoluzione. Prima lo facevamo con poche informazioni, il grande cambiamento è nella grande quantità di informazioni che potremo mettere assieme e vedere se esistono associazioni che ci permettono di essere ancora più puntuali».
A che punto siete?
«L’ostacolo più grande è il tema della privacy di cui si stanno occupando scienziati ed eticisti, perché c’è in ballo il rispetto della persona e le macchine non possono farlo quindi dobbiamo darci delle regole, è un aspetto molto importante».
I tempi per la messa a terra?
«È già in atto: stiamo lavorando molto all’interno del Dipartimento ma anche relazionandoci con altri dipartimenti per costruire questi modelli matematici da poter utilizzare nel contesto della cura del paziente».
Come si colloca l’intelligenza artificiale nella sanità delle risorse finite?
«La medicina dei sistemi punta all’ottimizzazione delle risorse. Rendendole più specifiche per il singolo individuo si va verso una riduzione dei costi perché non si dà tutto a tutti ma quello che serve a ciascuno. Questo processo ha un costo che inevitabilmente va sostenuto ma il fatto di non disperdere energie permette di evitare sperperi. La sanità sta andando verso questa ottimizzazione cioè non avere eccesso e non avere lo scarto».
È difficile farlo capire alla comunità?
«Credo che una medicina che dà tutto quello che serve quando serve a chiunque sia una cosa apprezzata e anche molto utile come stabilizzatore sociale. Qui in Veneto c’è un’attenzione particolare, in questo senso. Altrove, anche restando in Italia, non è sempre così».
Per arrivare al risultato servono risorse aggiuntive?
«No, servono investimenti mirati, un ribilanciamento che permetta questa evoluzione, ma alla fine il ritorno c’è sicuramente perché l’appropriatezza restituisce risorse. Ed è un cambiamento che si fa assieme, il cittadino secondo me deve essere coinvolto. Oggi siamo alla frontiera come all’alba di Internet: trent’anni fa avevamo un po’ paura, non sapevamo dove ci avrebbe portato. Dentro c’è ovviamente di tutto e noi dobbiamo gestire questo momento di cambiamento».
Cosa c’è da migliorare nella quotidianità?
«Credo serva accordare in maniera ottimale la medicina nell’ambito ospedaliero e territoriale. La medicina ha permesso un incremento importante della sopravvivenza, oggi curiamo malattie impensabili con la terapia genica. Ora però dobbiamo riuscire a migliorare la qualità di vita delle persone in una società profondamente cambiata».
Sta parlando di rivedere il modello?
«No il modello c’è, abbiamo necessità di personale, di qualificarlo bene, di creare le strutture previste per poter garantire che il paziente possa restare sul territorio dove viene gestito nella quotidianità il malato pluripatologico».
Se le dico nuovo ospedale?
«Pensarci mi provoca un bel sorriso perché vuol dire investimento sulla salute, benessere. In questi anni è stato fatto di tutto per mantenere l’Azienda all’altezza delle migliori strutture d’Italia».
Se fosse stato fatto prima si sarebbero risparmiate un po’ di risorse.
«Sono abituato a guardare presente e futuro, il passato mi serve per non commettere errori. È stato fatto un gran lavoro e adesso abbiamo una bellissima sfida con un ospedale da costruire e far funzionare in un orizzonte temporale vicino: questo è il momento di essere contenti».
Cosa avrà in più la nuova struttura?
«Accoglierà l’evoluzione della medicina, che corre velocissima, il percorso che riusciremo a fare da oggi al momento in cui sarà operativo. Racchiuderà tutta la conoscenza che riusciremo ad accumulare con lo sviluppo dei sistemi di gestione dei grandi dati».
Riproduzione riservata © il Nord Est