Social Freezing, aumento del 10% in Veneto: le giovani scelgono di congelare gli ovociti

La procedura, rivolta principalmente a donne tra i 35 e i 40 anni, costa circa 3.500 euro e non è rimborsata dal Ssn. 

Maria Ducoli
Gli ovatociti congelati
Gli ovatociti congelati

Congelare gli ovociti da giovani, per diventare madri più tardi, quando lavoro e stabilità economica - e partner - sono in qualche modo raggiunti.

Si chiama social freezing, per distinguerlo dai congelamenti per preservare la fertilità per motivazioni mediche, prima di una terapia che la comprometterebbe, ed è una pratica in crescita anche al centro privato accreditato Arc Ster di via Antonio da Mestre, la prima struttura per la Procreazione medica assistita (Pma) nata in Veneto nel 1987.

Se nel 2019 erano state solo tre le donne che avevano scelto di sottoporsi alla crioconservazione, nel 2024 sono state 32. Donne che, spesso, decidono di congelare gli ovuli per dedicarsi alla carriera.

Social freezing: come funziona

A scegliere questa pratica sono soprattutto donne dai 35 ai 40 anni - anche se la raccomandazione degli esperti è quella di congelare gli ovociti molto prima, dai 25 ai 35, in quanto è il momento di maggior fertilità - solitamente in carriera e, spesso, hanno appena concluso una relazione duratura, e sperano di poter diventare madri, un giorno.

La stanza dove vengono custoditi gli ovatociti
La stanza dove vengono custoditi gli ovatociti

«Prima era una pratica usata solo dalle pazienti oncologiche, oggi lo fanno anche quelle sane perché sanno che gli ovociti hanno una durata e li conservano per preservare la loro fertilità» spiega il dottor Federico Favero, responsabile del laboratorio di embriologia. Il problema è che il social freezing è piuttosto costoso, non essendo rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale: “parcheggiare” gli ovuli costa circa 3.500 euro.

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Si apre, quindi, la voragine del privilegio: a parità di decisione e volontà, una donna con meno risorse dovrà fare più sacrifici per ottenere quello che a tutti gli effetti dovrebbe esserle riconosciuto come un diritto, quello alla riproduzione, ad oggi non sempre garantito. Tant’è che il direttore sanitario di Arc Ster, Fabio Rizzo, fa sapere che ci sono coppie che si indebitano, pur di riuscire a diventare genitori.

Come funziona questa pratica? Quali sono i passaggi? A rispondere è, ancora una volta, il dottor Favero: «Innanzitutto si fa l’ecografia e gli esami ormonali per capire se la conservazione della fertilità si può fare o meno, alcune pazienti arrivano già compromesse e non è possibile procedere.

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Se va tutto bene, si passa alla terapia per far crescere gli ovociti, con un monitoraggio periodico per capire se stia andando bene. Se è così, si fa il prelievo tramite un intervento che dura quindici minuti, con sedazione ambulatoriale e, infine, si congelano nell’azoto liquido, che consente di mantenere le strutture inalterate, anche per decenni, così non invecchiano con la donna, come invece succede agli ovuli».

Il consiglio degli esperti è quello di mettere via tredici ovociti, per avere le stesse probabilità di gravidanza che si hanno in un anno di rapporti non protetti.

La fecondazione assistita

Non è solo il social freezing ad essere sempre più diffuso, ma anche la stessa fecondazione assistita: nel 2019 gli scongelamenti degli embrioni erano stati 254, nel 2024 sono lievitati a 380. Mentre le ovodonazioni, ovvero le inseminazioni degli ovociti provenienti da una donatrice, sono passati da 53 nel 2019 a 81 nel 2024.

Lavoro in laboratorio
Lavoro in laboratorio

Ma quante chances ci sono di diventare mamma dopo una crioconservazione? «Nelle donne che hanno meno di 34 anni» spiega Favero, «c’è il 60% di probabilità di avere il bimbo in braccio, mentre quando si superano i 40 anni scende al 20%».

«Ancora troppo spesso» aggiunge Rizzo, «purtroppo, i ginecologi fanno perdere del tempo prezioso alle coppie, dicendo loro di avere pazienza, mentre le linee guida dell’Oms sono chiare. Servirebbe più formazione in tal senso». Tuttavia, nonostante alcuni aspetti siano da perfezionare, come quello formativo, la Pma a livello culturale da tabù è diventata una pratica accettata e molto più conosciuta dalla comunità.

Anche perché, va detto, in Italia i bambini nati con fecondazione assistita sono circa il 4% e negli ultimi 20 anni se ne contano 217mila.

«Credo» prosegue Favero, «che il discorso normativo molto travagliato di questi anni abbia confuso i pazienti, soprattutto quelli poco esperti dell’ambito, tant’è che molti sono andati in Spagna per fare procedure di fecondazione assistita. In verità, oggi possiamo fare le stesse cose degli altri Paesi europei, tranne la parte di Pma per persone single e coppie gay».

 

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