Stretta sulle aggressioni ai sanitari, arriva l’arresto in flagranza. Veneto terzo nella classifica nera, meglio in Fvg
Approvata in via definitiva la nuova legge per contrastare il fenomeno. Si rischia la reclusione fino a 5 anni e una multa fino a 10 mila euro. Le associazioni e i sindacati dei medici: «Bene la norma, ma non si può solo punire»
Arresto in flagranza di reato anche differita per gli aggressori e reclusione fino a 5 anni per danneggiamento di beni destinati al Servizio sanitario nazionale. È stata approvata in via definitiva la nuova legge contro le aggressioni a medici e infermieri. L’ultimo via libera me alla Camera con 144 voti a favore e 92 astenuti. Una «buona notizia» per il ministro della Salute Orazio Schillaci, che sottolinea come il provvedimento dia «risposte concrete e maggiori tutele al personale sanitario». Le aggressioni, afferma, non devono più restare impunite.
Arriva dunque un giro di vite contro le aggressioni ai camici bianchi ed ai sanitari anche se, rileva Schillaci, è al contempo necessario «continuare a lavorare per portare avanti un cambiamento culturale e recuperare il senso dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente». Il decreto convertito in legge prevede dunque l’arresto obbligatorio in flagranza e, a determinate condizioni, l’arresto in flagranza differita per i delitti di lesioni personali commessi nei confronti di professionisti sanitari, sociosanitari e dei loro ausiliari.
Si prevede anche la reclusione da uno a cinque anni e una multa fino a 10 mila euro in caso di danneggiamento, distruzione, dispersione o deterioramento di materiali destinati al Ssn. La misura prende atto della recrudescenza di gravi episodi di violenza a danno dei professionisti e delle strutture sanitarie pubbliche, in particolare nei reparti di Pronto soccorso, che rischiano anche di depauperare il patrimonio sanitario. Le polemiche, però, non sono mancate e riguardano essenzialmente l’articolo 3 delle legge, che contiene la clausola d’invarianza finanziaria.
Le critiche
Critiche le opposizioni (che si sono astenute) da Azione al M5s fino al Pd. «Vi accanite sul codice penale e rispondete solo mediaticamente all’escalation di aggressioni: pene più aspre e zero euro. Da domani non cambierà nulla», ha affermato Marco La Carra dei Dem. Per il Pd, inoltre, si tratta di una norma «solo punitiva e non preventiva» , mentre l’obiettivo «non è punire di più ma evitare che le aggressioni accadano».
E ancora: «Con una legge del 2020 il Pd varò una norma che prevedeva protocolli tra ospedali e forze dell’ordine per aumentare i presidi di sicurezza. A distanza di quattro anni perché il governo non ha finanziato quelle misure né garantito agli ospedali risorse per la videosorveglianza? Questo decreto è uno specchietto per le allodole». Fdi ha invece difeso il provvedimento e puntato il dito contro il centrosinistra che quando era al governo «non si è occupato delle reali necessità del nostro sistema sanitario. Oggi dobbiamo correre ai ripari con misure urgenti».
L’approvazione dei sanitari
La nuova legge incassa comunque l’approvazione del mondo medico e soddisfatto si dice il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici Filippo Anelli, invitando però ad approvare ora ulteriori misure «per rendere la legge ancora più efficace, con il finanziamento delle videocamere che consentirebbero di filmare episodi di violenza e di poter così rendere operativa la misura introdotta».
È un grande passo avanti secondo il sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed, ma ora «occorre restituire dignità ai professionisti della salute» e anche per questo, afferma il segretario Pierino Di Silverio, «saremo tutti in piazza a Roma il 20 novembre». Bene la legge, commenta il sindacato medico Cimo-Fesmed, ma «servono risorse per la formazione e l’organizzazione delle aziende». Parla di «segnale importante, ma non risolutivo» anche il sindacato degli infermieri Nursind: «C’è solo un modo per fermare le violenze contro infermieri e medici ed è – rileva il segretario Andrea Bottega – investire sul personale sanitario».
Veneto terzo nella classifica nera, pochi casi in Fvg
La Federazione degli ordini dei medici e degli odontoiatri ha fatto da collettore per la raccolta dei dati. Il numero degli iscritti a livello nazionale è di circa 480.000 professionisti, afferenti a 106 ordini provinciali. Il numero totale degli aggrediti nel 2023 è stato pari a 2.897. L’elaborazione, per quanto sommaria, aiuta a comprendere come sia diffuso su tutto il territorio nazionale il fenomeno delle aggressioni.
In questo contesto il Veneto si colloca al terzo posto a livello nazionale, dietro a Campania e Lombardia. E con molta probabilità, come evidenzia la Federazione degli Ordini, vengono ancora sottostimate le forme di violenza non fisica, come l’abuso verbale, la minaccia, il bullismo, la molestia sessuale e razziale.
«Occorre sottolineare che la segnalazione delle aggressioni è volontaria, pertanto è doveroso specificare che ad un maggior numero di segnalazioni non corrisponde necessariamente una più alta incidenza di aggressioni in quel determinato contesto territoriale, ma piuttosto una specifica attenzione al monitoraggio del fenomeno. I confronti regionali, perciò, vanno contestualizzati in quest’ottica», avverte il Ministero della Salute nel report. Questo potrebbe spiegare anche i dati molto bassi del Friuli Venezia Giulia (solo 14 casi segnalati).
I dati dimostrano che tra il personale medico sono le donne quelle più colpite, con 1.541 casi contro 1.340. Quanto all’ambito in cui maturano queste situazioni, è senza ombra di dubbio il servizio pubblico quello più bersagliato, con 1.951 casi contro i 946 complessivi del privato.
La professione più colpita è quella degli infermieri (il dato però va rapportato alle consistenze nell’intero personale, in cui gli infermieri rappresentano i professionisti più numerosi), seguita da medici e operatori socio-sanitari. I reparti più a rischio sono risultati essere i Pronto Soccorso e le Aree di Degenza.
«Il monitoraggio effettuato ha un ambito ben più ampio di quelli già esistenti essendo state considerate non soltanto le aggressioni fisiche, ma anche quelle verbali e quelle contro la proprietà», specifica il Ministero. «Questo risultato permette, per la prima volta su base nazionale, di contrastare la sottostima del fenomeno dovuta al fatto che le altre fonti dati raccolgono solo gli eventi di maggiore gravità».
Ordini e sindacati: «Bene la legge, ma serve più prevenzione»
Un coro quasi unitario di applausi, ma anche la sollecitazione a prevenire il fenomeno, a recuperare il senso dell’alleanza tra medico e paziente. Associazioni e sindacati della sanità del Friuli Venezia Giulia chiedevano da tempo misure di difesa degli operatori e dicono «finalmente» a commento del via libera della Camera al Dl per contrastare la violenza in corsia e negli ambulatori.
«Un passo avanti importante per frenare le aggressioni, piaga incontrollabile anche nel nostro territorio – dice Massimiliano Tosto, segretario Anaao Assomed del Fvg –. Quello che però andrebbe aggiunto in questo percorso è una campagna informativa sulla popolazione. Bisogna educare e prevenire perché non è accettabile che, per difendere noi sanitari, si debba ricorrere allo stato di guerra».
Lo stesso concetto è di Stefano Bressan, segretario regionale di Uil Fpl: «Di fronte alla crescita di episodi gravissimi, ben venga un provvedimento che può servire da deterrente. Ma non si può solo punire. Serve instillare nelle giovani generazioni il rispetto per il lavoro di persone che tutelano costantemente la salute dei cittadini. E ancora – prosegue Bressan – sarà opportuno inserire nei luoghi “caldi” la sorveglianza privata, così come fatto a Monfalcone, o prevedere posti fissi di polizia che possano disincentivare ogni forma di violenza».
Per Guido Lucchini, presidente del coordinamento degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri del Fvg, «il legislatore ha compreso che la situazione stava diventando sempre più critica e, come da sollecitazione della nostra Federazione nazionale, ha individuato gli strumenti per intervenire in tempi stretti a tutela dei sanitari». La legge 113 del 2020, ricorda Lucchini, «non ha contribuito alla riduzione delle violenze. Sono convinto che il nuovo Dl produrrà maggiori risultati». Sul fronte infermieristico, il presidente del Coordinamento degli Ordini infermieri del Fvg Luciano Clarizia trasmette «grande soddisfazione per un intervento a tutela dei lavoratori che speriamo possa spegnere la grande tensione all’interno delle strutture sanitarie, soprattutto nei Pronto soccorso. Comprendiamo i momenti di difficoltà, i tempi lunghi, le criticità del sistema, ma tutto questo non può portare ad aggredire chi quotidianamente si impegna per dare risposte alle persone».
Tornando ai sindacati, per Giorgio Iurkic della Cisl Fp giuliana, «vediamo un primo passo verso una vera tutela del personale sanitario che continua a essere bersaglio di vili aggressioni, ma non ci possiamo fermare qui. Vanno incrementati gli organici e l’attrattività delle professioni sanitarie, a partire da quelle infermieristiche, e nel contempo si deve dare risposte più celeri all’utenza, fermo restando che far lavorare di più chi è già pesantemente caricato non può essere una soluzione a lungo termine». «Vista l’escalation di violenza sugli operatori sanitari ogni iniziativa messa in atto dal governo atta a tutelare chi sta lavorando per curare e assistere è positiva – aggiunge il segretario della Fials Fvg Fabio Pototschnig –. Le sanzioni della 113 non sono bastate, ora l’obbligo dell’arresto in flagranza richiederebbe la presenza delle forze dell’ordine, per cui, come abbiamo chiesto più volte, servono posti di polizia negli ospedali attivi 24 ore».
Orietta Olivo, segretaria regionale della Cgil Fp, è invece critica: «Non ci convince l’impostazione securitaria di tante azioni del governo e non crediamo che la soluzione sia l’inasprimento delle pene. Quello che serve davvero in sanità è soddisfare i bisogni dei cittadini, far sì che i servizi funzionino. Le aggressioni vanno ovviamente condannate, ma la rabbia delle persone dipende anche dalla mancata garanzia di un diritto riconosciuto dalla Costituzione».
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