Sulle famiglie il peso dell’assistenza
L’offerta di strutture assistenziali nel nostro Paese copre appena l’1,5 per cento della popolazione interessata. Un vuoto cui supplisce un esercito di 1 milione 800mila badanti, tra regolari e in nero, nella stragrande maggioranza immigrate, che tamponano al buio le assenze statali
Un tesoretto per le casse pubbliche, finanziato da quelle private. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio Domina sulle badanti spiega con assoluta chiarezza come grazie ad esse lo Stato risparmi ogni anno una cifra di 10 miliardi: che grava peraltro sui bilanci delle famiglie. Le quali li spendono ogni anno per poter garantire l’assistenza in casa di anziani e disabili, anche a causa della manifesta carenza di servizi: l’offerta di strutture assistenziali nel nostro Paese copre appena l’uno e mezzo per cento della popolazione interessata, a fronte di una media europea del cinque.
Un vuoto cui supplisce un esercito di 1 milione 800mila persone, tra regolari e in nero, nella stragrande maggioranza immigrate, che tamponano al buio le assenze statali.
In questa anagrafe delle badanti, il Nord Est è nettamente in testa con il 35 per cento delle presenze, oltre una su tre; seguito dal Nord Ovest con il 27 e dal Centro con il 25.
In Veneto, e limitandosi ai regolari, si tratta di 64mila persone, 20mila in Friuli Venezia Giulia; in entrambi i casi provenienti per oltre la metà dai Paesi dell’Est europeo. Con un conto decisamente salato per le famiglie: 600 milioni, con un valore aggiunto di 1,2 miliardi, nel caso veneto; 200, per un valore aggiunto di 400, in quello friulano.
Voci non indifferenti in bilanci già falcidiati di loro dalla crisi economica e dagli aumenti del costo della vita; ma resi pressoché obbligati dall’impossibilità di assistere da soli anziani e disabili a domicilio. Sono due categorie che già oggi incidono in misura rilevante sull’anagrafe, specie per quanto riguarda la terza età: a Nord Est, una persona su quattro ha più di 65 anni, e tutti gli indicatori segnalano un netto aumento nel breve-medio termine.
Lo scarto tra la potenziale domanda privata e la risposta pubblica effettiva è abissale: solo una ristretta quota di anziani può usufruire di un ricovero in Rsa o dei servizi di assistenza domiciliare integrata; tutto il resto è a completo carico delle famiglie. E mentre la maggior parte delle nazioni europee privilegiano nei loro interventi la domiciliarità, l’Italia sposta la priorità sulle strutture di ricovero; per giunta con forti carenze tra territori, ma anche nelle aree dove i servizi sono più presenti: basti citare il caso del Veneto, con 10mila persone in lista d’attesa per un posto-letto in Rsa. Sono carenze vistose, in un contesto in cui al progressivo invecchiamento della popolazione (e l’Italia in questo è seconda al mondo dietro il solo Giappone) corrisponde l’incremento di patologie degenerative, multicroniche in un anziano su quattro.
Nel nostro Paese, le persone non autosufficienti sono sei milioni e mezzo: un problema che investe due milioni di famiglie, tre quarti delle quali si trovano a dover sostenere per intero i costi dell’assistenza, senza il minimo aiuto pubblico.
Da oltre trent’anni si discute della necessità di una riforma complessiva del sistema per creare una rete di servizi efficiente e integrata; ma la legge delega finalmente varata dal governo si è subito impaludata nella mancanza dei fondi necessari per cominciare a realizzarli. Scaricando così sulle famiglie l’onere, non solo economico, di far fronte a una vera e propria emergenza sociale. Costrette a diventare badanti di se stesse.
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