Cucinelli dottore in bellezza: «Guardare le stelle ci salverà ancora»

Riconoscimento honoris causa per l’imprenditore che si rivolge al futuro. «Arriva una rivoluzione umanistica. Scriviamo un contratto sociale col Creato»

Jacopo Guerriero
Brunello Cucinelli alla proclamazione
Brunello Cucinelli alla proclamazione

Brunello Cucinelli ama guardare lontano. E non solo la notte. Non solo verso le stelle – attività che pratica fin da bambino. Di lui si conosce molto: l’amore per la sostenibilità in economia, la passione per i libri, l’amore per le biblioteche e la spiritualità, il mecenatismo, una certa idea di famiglia.

Il 3 aprile il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli gli ha conferito un dottorato di ricerca honoris causa in «design per il Made in Italy: Identità, Innovazione e Sostenibilità».

Le ragioni della scelta sono chiare: il riconoscimento è per le sue «abilità imprenditoriali ed il suo indubbio valore umano e spirituale», ha precisato il magnifico rettore professor Gianfranco Nicoletti. Fine conoscitore della regola benedettina e poi alla sequela del francescanesimo, Cucinelli ha riferimenti antichi, ma a un imprenditore si chiede di guardare più in là.

Allora come immagina la vita sulla Terra tra 100 anni? Assistiamo, in questo periodo, a una torsione, a una violenza su quella che è la più profonda natura dell’uomo, la situazione pare peggiorare.

«Io penso il contrario. Noi andremo incontro a una rinascita dei grandi valori. O, meglio ancora, a una umanistica rivoluzione. Lo sento: i giovani -spesso vituperati, attaccati- vanno alla ricerca di qualcosa».

Qualcosa di nuovo?

«Magari non si riesce neppure a definire bene quale sia l’obiettivo di questa ricerca. Ma qualcosa di nuovo, sì, è nel loro mirino. Verso la terra, verso il creato sta arrivando un cambio forte. Pensi questo: più di 800 anni fa, prima di morire, San Francesco scrive Le Lodi al Signore. Tutti pensavano fosse matto quando cantava fratello sole, sorella luna. C’è qualcosa di più contemporaneo, invece? Possiamo vederla anche in modo diverso: di quella enorme costruzione che è il contratto sociale, in realtà, comincia a parlarne Platone nel ‘400 avanti Cristo. E il tema, poi, attraversa la filosofia di molti. Da Aristotele giù giù fino a Jean-Jacques Rousseau, naturalmente. Ma il centro di quella ricerca era un contratto sociale tra gli uomini.

Noi, ai nostri giorni invece, stiamo andando incontro a un contratto sociale con il Creato, lo stiamo già facendo anche se la strada da percorrere è ancora lunga. In definitiva: assistiamo, oggi, a una grande presa di coscienza. La terra, tra cento anni, sarà migliore di adesso. L’uomo sarà migliore».

È pure palpabile la preoccupazione per la velocità del progresso tecnologico.

«Pensi a che progressi straordinari ha compiuto la scienza medica negli ultimi trent’anni. Abbiamo fatto un tratto di strada, in questo campo del sapere, assolutamente strepitoso. Siamo andati più veloci negli ultimi decenni che negli ultimi cinquecento anni. Ma, certo, abbiamo anche pensato di potere governare l’umanità solo con la scienza e questo no, non è possibile. Quella non è la sola koiné. La durezza che si è raggiunta nell’ultimo periodo farà scaturire, ripeto, una umanistica rivoluzione. E poi, comunque, la tecnologia è veloce in ascesa ma anche in discesa. Noi dobbiamo recuperare l’anima che abbiamo abbandonato. Vitruvio, come Pericle, come Fidia, sostiene che ogni costruzione deve essere solida, utile e bella ed aggraziata. Per metafora: quest’ultimo punto è quello che dobbiamo riattivare. Il bello e le grazia sono imprescindibili per l’anima. Non dobbiamo pure temere il nostro tempo. L’intelligenza artificiale è una faglia che dobbiamo attraversare. Ci conviveremo. Forse sarà la più grande innovazione di sempre. Dobbiamo fare come Annibale, il grande condottiero cartaginese, che ai tempi della guerra con i romani, qui sul Trasimeno, a pochi chilometri da dove lavoro io, si trovò nella necessità di trovare a tutti i costi una strada per la sopravvivenza. E’ quello che tocca fare a noi adesso. Se abbiamo vissuto un’espropriazione, dobbiamo tendere a un ideale di rinascita e c’è fermento nell’umanità».

Lei è uomo di moda, un ambasciatore del gusto e della misura. Posso chiederle che cos’è per lei il lusso in un tempo che sembra avere perduto il senso della sobrietà in nome dell’ostentazione?

«Io mi sono sempre ispirato a Kant: il lusso è simbolo del bene morale».

Le danzatrici, le statue d’oro, la riviera di Gaza, c’entrano qualcosa con il bene morale?

«Spinoza nel 1600 dice di non essere venuto al mondo per giudicare ma per conoscere. Giovanni XXIII, nel “Giornale dell’anima”, dice di non giudicare le persone, le cose, gli avvenimenti. Io, allora, senza giudicare, penso che tutto questo conduca poi a una rivolta spirituale. Non a una rivoluzione contro, ma a un percorso di cambiamento senz’altro. Siamo caduti troppo in basso. L’hanno capito in molti. L’hanno capito le discipline e i campi del sapere. C’è bisogno di un nuovo umanesimo. Di un recupero della dimensione spirituale, senz’altro».

A proposito: lei ha voluto in consiglio d’amministrazione un monaco benedettino, padre Cassian.

«Ho chiesto a padre Cassian di essere il garante che, nelle mie aziende, non si arrechi danno all’uomo. La regola benedettina è sfidante. Benedetto dice che l’abate deve essere rigoroso, dolce, esigente, amabile padre. Non è un impegno di poco conto convivere con questi principi e con l’applicazione di questi principi».

Del lusso abbiamo detto. Parliamo di povertà. C’è equivalenza con il concetto di miseria? Oggi i due terzi del mondo virano verso una netta pauperizzazione. Senza l’ethos dei nostri vecchi, però.

«Io vengo da una famiglia di contadini. E non sono mai stato convinto di essere povero. Vivevamo in campagna. Ma non ci mancava nulla. Eravamo in un naturale rapporto con il creato. No, la povertà non è miseria. La situazione non si regge se perdiamo il rapporto con la nostra interiorità. Se invece, come diceva don Bosco, continueremo a guardare le stelle, sovvertiremo gli ultimi trent’anni in cui abbiamo camminato a testa bassa. E i contadini lo sanno, l’hanno sempre saputo. Guardare le stelle è il tesoro dei contadini».

Peraltro sembrano prosperare, nel comparto dell’alta moda, i marchi con una forte impronta familiare e meno le holding. Penso a lei, a Zegna, ad Armani.

«Non è vero in assoluto. Pensi al successo di Vuitton e di Dior. Poi, certo, noi italiani abbiamo una cultura differente. E non è vero che non facciamo rete. Noi siamo industriali e consideriamo le fabbriche come figli. Non siamo finanzieri. Non c’è disprezzo nei confronti di nessuno ma è chiaro che si hanno visioni assolutamente diverse. Gli industriali veri si legano al territorio e alle loro radici».

E immagino conti anche un’idea di lavoro sganciata dallo sfruttamento ed improntata al rispetto. Lei redistribuisce ai suoi lavoratori una parte degli utili. Perché lo fa?

«Perché se vivi bene, lavori bene. Se tu lavori bene, è come se non avessi mai lavorato. Dalla stima, dalla responsabilità, si genera la creatività. Questo è il sistema di cui abbiamo bisogno». 

 Chi è 

Brunello Cucinelli - si legge sul suo sito - è un imprenditore che «ha il sogno di un lavoro rispettoso della dignità morale ed economica delle persone». Il suo percorso di vita è eccentrico: se da una parte è stilista, famoso nel mondo per la sua produzione in cashmere, dall’altra ha da sempre amore per le lettere classiche, la filosofia e la teologia. Dal 3 aprile è dottore in ricerca in “Design per il Made in Italy: Identità, Innovazione e Sostenibilità”. Molteplici le sue iniziative nel mondo della cultura. La più importante: a Solomeo ha realizzato una biblioteca con migliaia di volumi di filosofi, letterati, artisti. —

 

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