I fratelli Luxardo fucilati a Zara dai titini: la vera storia
A 80 anni dalla tragedia, ecco la ricostruzione degli ultimi attimi di vita di Nicolò e Pietro Luxardo. Il capostipite Franco: «Un piccolo risarcimento morale, ma manca la verità su Bianca Ronzoni»
Ferite che non si rimarginano, ferite che continuano a bruciare, ferite che nemmeno il tempo riesce a sanare. Perché, talvolta, anche la verità non basta. Tuttavia, la verità storica ha il potere di restituire dignità e coerenza ai ricordi, liberandoli dalle ombre e dalle ambiguità.
È questo il caso della tragica vicenda di Nicolò e Pietro Luxardo, un dramma che, dopo quasi ottant’anni – oggi una messa ricorderà l’imminente anniversario –, rimane impresso nella memoria di una famiglia e di una comunità. Grazie alla tenacia dei discendenti, oggi conosciamo la verità: i due fratelli non morirono per un annegamento, come si era a lungo creduto, ma furono fucilati il 16 dicembre 1944 dall’Ozna, la polizia politica di Tito.
Il periodo storico
Era un periodo segnato da violente persecuzioni contro gli italiani di Zara, con lo scopo di compiere una “bonifica etnica” e cancellare la presenza italiana in una città che per secoli aveva mantenuto legami profondi con Venezia. Zara, poi, divenne un simbolo delle sofferenze legate all’esodo istriano-dalmata.
A confermare questa drammatica verità è stato un documento, consegnato da uno storico croato a Franco Luxardo, oggi 88enne, e alla cugina Andina, 99 anni, residente a Trieste.
Entrambi sono gli ultimi Luxardo nati a Zara e i custodi della memoria familiare. Il documento ha finalmente chiarito il destino di Nicolò e Pietro, ma non ha fatto luce sulla sorte di Bianca Ronzoni, moglie di Nicolò, scomparsa anch’essa in quei giorni tragici. Bianca, legata al marito da un amore profondo, fu catturata dai partigiani jugoslavi e da allora il suo destino rimane un mistero. Un’assenza che aggiunge ulteriore dolore a una vicenda già segnata dalla violenza e dall’ingiustizia.
Franco Luxardo non nasconde la sua emozione quando parla di quei momenti: «Le cose sono andate come sono andate, ma almeno siamo riusciti a riportare Nicolò e Pietro a Zara, seppur solo simbolicamente. I loro nomi, insieme a quello di Bianca, oggi sono incisi nel marmo della vecchia tomba di famiglia nel cimitero italiano di Zara. È un piccolo risarcimento morale: la verità è stata fatta».
La storia dei fratelli Luxardo
Nicolò Luxardo, nato nel 1886, era il maggiore dei fratelli e una figura di grande rilievo nella comunità zaratina. Co-proprietario della storica azienda di liquori fondata nel 1821, fu decorato con due medaglie d’argento al valore durante la Prima guerra mondiale, presidente della Camera di commercio di Zara e deputato della città.
Anche durante la devastazione della Seconda guerra mondiale, Nicolò rimase un punto di riferimento per gli abitanti di Zara. Quando la città fu ridotta a un cumulo di macerie dai bombardamenti, si trasferì con la moglie Bianca sull’isola di Selve, dove sperava di trovare rifugio. Ma il 30 settembre 1944, Nicolò fu prelevato dai partigiani titini e scomparve. Per anni si credette che fosse stato ucciso gettandolo in mare e colpendolo con remi, ma oggi sappiamo che la sua fine fu un’esecuzione ordinata dall’Ozna.
Pietro, nato nel 1892, era invece il direttore di produzione della Luxardo, una figura instancabile e dedita al lavoro. Dopo i 54 devastanti bombardamenti alleati che distrussero lo stabilimento, Pietro si prodigò per liquidare personalmente i dipendenti italiani e slavi rimasti senza lavoro, spostandosi in bicicletta tra le rovine di Zara.
Fu arrestato dai partigiani il 2 novembre 1944, durante le prime fasi dell’occupazione jugoslava della città, e pochi giorni dopo fu fucilato.
Il documento che svela la verità
Il documento recentemente scoperto conferma che anche la sua morte, come quella di Nicolò, fu una sentenza sommaria. Non esiste una tomba per i fratelli né per Bianca: i loro resti giacciono probabilmente in una fossa comune, insieme a quelli di oltre 200 italiani giustiziati nello stesso periodo.
Per la famiglia, però, il dolore non si fermò con la loro morte. I fratelli furono processati in contumacia dopo la guerra e condannati a morte per presunti “crimini contro il popolo”. Nicolò fu processato nel 1945, mentre Pietro subì la stessa sorte l’anno seguente.
Queste sentenze, pur basate su accuse pretestuose, permisero al regime di confiscare i beni della famiglia, inclusa la loro celebre azienda.
Franco Luxardo, simbolo degli esuli istriani, non ha mai smesso di lottare per restituire dignità alla memoria della sua famiglia. A soli sette anni, fu separato dai suoi cari e mandato in Italia, scampando così al destino dei suoi zii.
«Mia madre non è mai più tornata nella sua città natale», racconta commosso, «e io stesso ho impiegato anni prima di riuscire a farlo. Ogni visita a Zara è un tuffo nel passato, un viaggio tra le rovine di una città distrutta dalla storia e dall’odio etnico».
L’unico superstite
Dopo la guerra, l’unico fratello superstite, Giorgio Luxardo, trovò la forza di ricominciare. Nel 1947 rifondò l’azienda a Torreglia, vicino Padova, portando con sé i segreti del Maraschino e la volontà di riscatto.
Oggi la Luxardo, guidata dalla settima generazione, è una delle poche distillerie europee ancora gestite dalla famiglia fondatrice. Il Maraschino, simbolo di Zara, rimane un’eccellenza mondiale, un prodotto che racchiude resilienza e innovazione.
Tuttavia, il dolore ha colpito nuovamente i Luxardo. Italia Salvagnini Luxardo, detta Pupa, è recentemente scomparsa in circostanze tragiche: il suo corpo è stato ritrovato nella piscina di un hotel termale a Teolo.
Un’altra perdita che si aggiunge al lungo elenco di lutti e sacrifici vissuti dalla famiglia. Gli eventi dei Luxardo si intrecciano con la storia più ampia dell’esodo istriano-dalmata. Come migliaia di altri italiani, subirono l’abbandono delle terre natie, l’odio etnico e la necessità di ricostruire una vita lontano da casa.
Convivere con il dolore
Franco Luxardo lo sottolinea con forza: «La nostra vicenda personale è solo una delle tante che hanno segnato l’esodo. Ma è importante ricordare, affinché tutto ciò non sia dimenticato».
La storia della famiglia non è solo dramma privato: rappresenta un simbolo della brutalità del Novecento, delle sofferenze e delle ingiustizie che hanno travolto intere comunità.
Franco, oggi quasi novantenne, continua a battersi perché la memoria di Zara e dei suoi abitanti riceva il giusto riconoscimento.
«I morti di Zara meritano di essere ricordati per il sacrificio affrontato», afferma. Una richiesta di giustizia che, dopo quasi ottant’anni, rappresenterebbe un gesto tardivo ma significativo verso chi ha perso tutto per amore della propria identità e delle proprie radici.
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