I nuovi disturbi alimentari: ortoressia, vigoressia e diete iperproteiche, quando tutto diventa “troppo”

Si celebra il 15 marzo la Giornata nazionale del fiocchetto lilla dedicata ai disturbi della nutrizione e dell'alimentazione. Sono 3 milioni gli italiani afflitti da queste malattie, a cui purtroppo se ne aggiungono altre

Daniela Larocca

Sei troppo magra. Sei troppo grassa. Mangi troppa verdura. Mangi troppe schifezze. Ma mangi? Ma perché non la smetti di mangiare? Tutte queste non sono domande, sono il suono di una goccia continua, tum tum tum, che diventa pioggia battente nella testa di chi soffre di disturbi del comportamento alimentare. Una volta erano associati all’anoressia o alla bulimia, ora sono un groviglio di situazioni talmente complesse che si fa fatica ad individuare il bandolo della matassa. 

In Italia, secondo il ministero della Salute, 3,5 milioni di persone soffrono di anoressia nervosa, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata o da uno degli altri disturbi alimentari. Numeri che emergono con la ricorrenza del 15 marzo, la “Giornata nazionale del fiocchetto lilla dedicata ai disturbi del comportamento alimentare”.

I nuovi disturbi

Ma cosa sono oggi i disturbi alimentari? Nell’immaginario collettivo associamo i Dca (disturbo del comportamento dell’alimentazione) o Dna (disturbi della nutrizione e dell’alimentazione) a quella foto di ragazza che si guarda allo specchio, si vede grassa e invece ha il profilo delle ossa che bucano la pelle. L’anoressia, appunto. O la bulimia, lo sfogo arrabbiato sul cibo che porta ad abbuffate e poi all’autopunizione con l’espulsione volontaria di quanto ingerito. Ma non esiste solo questo.

L’immagine si è trasformata in decine di diapositive. Chi mangia solo proteico e chi beve strani bibitoni, chi non mangia proprio un certo tipo di alimento, chi si abbuffa di notte, chi invece conta spasmodicamente le calorie. L’elenco si fa sempre più lungo e dettagliato: anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating disorder) ma anche disturbo evitante o restrittivo dell’assunzione di cibo, pica e disturbo da ruminazione. Per non parlare dei nuovi dettami dell’alimentazione che performa e della “diet culture”, la cultura della dieta che, invece di spingere verso un’alimentazione consapevole volta a prendersi cura del proprio corpo, sfocia spesso in una ossessione disfunzionale. Basti pensare al mondo dell’assolutismo proteico (tutto ormai è protein, anche dove non serve), il calcolo delle calorie e la fobia del carboidrato (l’ortoressia) e l’ansia del corpo sagomato su uno specifico modello (bigoressia o vigoressia). E, sempre più diffuse, già in adolescenza, anche altre forme di comportamenti alimentari disfunzionali come il night eating syndrome e tutte le forme di sovrappeso e obesità alla cui base è presente un disagio psichico più o meno marcato.

Tra le meno note c’è l’Arfid, l’evitamento di specifiche categorie di nutrienti, inserito nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) solo nel 2013. È molto spesso difficile da inquadrare a livello diagnostico perché i suoi sintomi possono essere riconducibili a diverse patologie: problemi di gestione dell’ansia, altri disturbi alimentari, disturbi dello spettro autistico. Non presenta una distorsione dell’immagine corporea o il timore di ingrassare, piuttosto viene spesso sviluppata con problemi ossessivo compulsivi, rigidità sociali e neofobia (rifiuto di mangiare cibi nuovi o non familiari). Problema noto ma che ha assunto altri aspetti è quello della drunkoressia, quando il paziente limita l’assunzione di cibo per prevenire qualsiasi eccesso calorico. Crede così, bevendo soprattutto alcolici, di rimanere dentro i fabbisogni calorici senza consumare granchè cibo.

 

Sempre più giovani

La Sinpia, Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, ha tracciato un po’ il profilo di chi soffre di disturbi dell'alimentazione (qui il report 2024). Sono le donne a esserne maggiormente interessate, con una proporzione fino a 9 volte più alta rispetto agli uomini. Si anticipa, inoltre, l'età di insorgenza: le prime diagnosi arrivano già a 8-9 anni, fascia di età in cui, secondo alcuni studi, si arriva a 1 nuova diagnosi ogni 100 mila bambini. «Negli ultimi anni queste patologie colpiscono sempre di più, con un aumento preoccupante negli anni successivi alla pandemia da Covid-19, e presto, soprattutto le ragazze, con esordio sempre più precoce, anche prima della preadolescenza», spiega Renato Borgatti, direttore Sc Neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza della Fondazione Mondino Irccs di Pavia, università di Pavia e membro Sinpia.

Dal 2019 al 2023 viene registrato un abbassamento dell'età di insorgenza dei disturbi alimentari: il 20% della popolazione ammalata lo scorso anno era sotto i 14 anni. E l'altro dato che emerge ci dice che non c'è più una netta prevalenza femminile. Anche guardando i dati sui ricoveri ospedalieri si nota un picco sui 17 anni che corrisponde anche a una riduzione dei ricoveri in età adulta. Questi trend, nazionali e internazionali, sono confermati anche dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, i cui dati mostrano, non solo un aumento delle diagnosi, ma anche un aumento della gravità dei disturbi, specie nei pazienti più giovani.

I dati pubblicati dal portale Serenis su studio del Sole24Ore
I dati pubblicati dal portale Serenis su studio del Sole24Ore

Nel complesso, dal 2020, l'Unità operativa semplice di Anoressia e disturbi alimentari del Bambino Gesù ha registrato un incremento del 38% nell'attività clinica: i day hospital sono passati da 1.820 a 2.420 del 2024. Di pari passo, le nuove diagnosi di disturbi della nutrizione e dell'alimentazione sono aumentate del 64%, passando dalle 138 del 2019 alle 226 del 2024. I dati, inoltre, mostrano una crescita dei nuovi accessi tra le fasce d'età più giovani (meno di 10 anni e 11-13 anni) che sono cresciute del 50% tra il 2019 e il 2020, passando da 59 a 89. Non solo.

Il peso del Covid

Il Covid è stato sicuramente un acceleratore e anche qui a fare il punto è il report Sinpia. Negli ultimi tre anni, la pandemia ha avuto un forte impatto sull’incidenza dei disturbi legati all’alimentazione, sul tasso di ospedalizzazione e sulla gravità della sintomatologia. È stato riscontrato, infatti, un peggioramento dei sintomi tipici dei disturbi dell’alimentazione, di ansia e depressione: secondo un recente studio sugli adolescenti italiani, nel 51% dei casi sono stati registrati sintomi riferibili alla sfera alimentare nel periodo post Covid (terzo lockdown). Questo deterioramento generale potrebbe essere attribuito al ridotto accesso alle cure, ai cambiamenti nella routine quotidiana e all’isolamento sociale. 

I dati riportati sono in crescita: la pandemia di Covid-19, che ha comportato un incremento del 30-35% nei casi di disturbi alimentari e un abbassamento dell'età di esordio. Il motivo? Non esiste una spiegazione universale, ma le cause potrebbero essere collegate all'abbassamento dell'età puberale nei ragazzi che si sentono troppo “piccoli” in corpi maturi e che la società e i suoi canoni vorrebbero subito pronti e performanti. Non hanno aiutato, durante il periodo di pandemia, anche l'isolamento sociale, il deterioramento delle relazioni interpersonali e le difficoltà economiche hanno contribuito a peggiorare la situazione, in particolare tra le fasce più giovani della popolazione.

La mappa dell’Iss

Ora il punto vero: come aiutare chi soffre di tali disturbi? O a chi rivolgersi? I disturbi alimentari sono patologie complesse che richiedono cure specialistiche fornite da equipe multidisciplinari (formate da: psicologo, psichiatra, pediatra, internista, nutrizionista, dietista, infermiere, tecnico della riabilitazione psichiatrica e motoria, assistente sociale) e basate su diversi livelli di assistenza, a seconda delle esigenze di salute del paziente: dall’ambulatorio al Centro diurno, alla residenza riabilitativa, ai ricoveri in ospedale per le emergenze. 

Il ministero della Salute ha approvato il rinnovo del fondo nazionale per i disturbi alimentari da 10 milioni di euro, che era stato tagliato nell’ultima legge di bilancio e che servirà a coprire le spese dei centri per il 2025.

E qui entra in gioco la mappa dell’Iss che censisce per la prima volta anche le associazioni di volontariato che offrono supporto e orientamento alle famiglie. L’obiettivo è quello di «offrire ai cittadini affetti da tali patologie e alle loro famiglie uno strumento pratico per agevolare l'accesso alle cure e agli interventi più appropriati». 

Giornata del Fiocchetto Lilla: la storia

Come si arriva alla data del 15 marzo? La Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla ha date variabili nel mondo: in Italia è stata ufficialmente riconosciuta il 19 giugno 2018, anche se nasce nel 2012. L’associazione che ha creato il fiocchetto lilla è Mi Nutro di Vita. Il suo presidente, Stefano Tavilla, è padre di una giovane donna che, a causa della bulimia, muore proprio il 15 marzo. La volontà di agire concretamente lo spinge a dare vita a diversi eventi curati dall’associazione: «Non può, non deve capitare ad altri. La morte di mia figlia deve servire a tutte le persone e le famiglie che vivono un dramma di questo genere»

Il dramma di vedere chi ami che piano piano si spegne, non ride più, non mangia o vomita. Non accetta di farsi curare e a te resta la sensazione di non aver fatto abbastanza. Lei non ce l’ha fatta, ma non ci devono essere altri figli che muoiono quando potevano essere salvati

 

L’associazione Mi nutro di vita, insieme alle associazioni Perle Onlus e Così Come Sei, ha dato vita alla Fondazione Fiocchetto Lilla che, come si legge nella propria mission:“Si pone l’obiettivo di sensibilizzare sulla realtà di questa malattia in Italia, promuovere e incentivare la certificazione di percorsi di prevenzione e sostegno su tutto il territorio nazionale, finanziare la ricerca e far arrivare risorse concrete a chi si trova o si potrebbe trovare ad affrontare queste malattie.”‍

Perché il fiocchetto lilla?

L'origine esatta del fiocchetto lilla come simbolo per la sensibilizzazione sui disturbi alimentari non è attribuibile a una singola associazione in modo univoco, poiché diversi gruppi e organizzazioni in vari paesi hanno adottato questo simbolo nel corso degli anni per rappresentare la lotta contro i disturbi del comportamento alimentare.

Il fiocchetto lilla è diventato un simbolo internazionale utilizzato per aumentare la consapevolezza su queste condizioni, promuovere l'educazione e sostenere coloro che ne sono affetti.

La scelta del lilla non è casuale: questo colore, che unisce il calmo blu al vibrante rosso, rappresenta la dualità dei DCA, che celano sofferenza interiore dietro apparente tranquillità. È un richiamo alla complessità di queste condizioni, invitando a un approccio empatico e informato.

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