Stampa 3D e cibo per cani e gatti: così l’Università di Padova ricicla il granchio blu

Nasce al Bo la prima filiera italiana che valorizza lo scarto ittico della specie aliena. L’impianto è attivo in un consorzio del Polesine. Disidrata polpa e carapace dell’animale, facendone derivare una farina riutilizzabile

Costanza Francesconi
Una cesta di granchi blu
Una cesta di granchi blu

Se nell’ecosistema lagunare è un totale pericolo pubblico, il granchio blu liofilizzato può diventare mangime per cani e gatti, materiale adatto alla stampa tridimensionale, sostanza appetibile per l’industria farmaceutica. Ridotto a una polvere granulosa simile a farina, previa disidratazione dell’acqua che trattiene nel carapace e polpa.

A questa trasformazione pionieristica lavora il dipartimento di Biomedicina comparata e Alimentazione dell’Università di Padova, autore del progetto pilota “RiPesca” sviluppato e coordinato dalla ricercatrice Marta Castrica in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e il ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Masaf.

La ricercatrice Marta Castrica
La ricercatrice Marta Castrica

Perché una cosa è certa: dalla primavera del 2023 è già costata troppo cara a pesca e acquacoltura venete (e non solo) l’invasione di questa specie predatoria originaria degli Stati Uniti. Una soluzione virtuosa e inedita al problema diventato presto endemico arriva dal protocollo steso da Castrica per sperimentare la prima filiera italiana di valorizzazione degli scarti ittici presso l’impianto.

La stazione appaltante scelta come partner di progetto ( e appena finanziata dall’ateneo patavino con 40 mila euro) è il Consorzio delle cooperative pescatori del Polesine organizzazione produttori. Si trova a Porto Tolle, Rovigo, e ha visto il suo fatturato annuo precipitare da 60 milioni a 13 tra il prima e dopo granchio blu.

La sperimentazione

Il polo produttivo è, o meglio era, la patria dell’unica cozza con denominazione di origine protetta in Italia, terra natìa della vongola del Polesine, di lupini, fasolari, tartufi, cannelli e ostriche: il ben di dio della Sacca di Scardovari, oggi in ginocchio perché a secco delle sue specie autoctone.

Come funziona il macchinario

Da gennaio l’impianto di trasformazione ed essiccazione brevettato dalla start-up Feed From Food srl e installato in loco prova a dare una svolta. È un cassone mobile, controllabile da remoto, per dimensioni e forma simile a un frigorifero.

Rende il granchio blu un prodotto o ingrediente valorizzabile in canali diversi dal canonico mercato del pesce, «una piazza che ad oggi assorbe solo il 30% del totale pescato», fa presente la ricercatrice Castrica.

Nella macchina entra tutto l’invenduto che i pescatori portano al consorzio - per dare un’idea, da dieci chili di granchio ne deriva uno di farina - e, se mai qualcuno se lo fosse già domandato, no, l’animale non viene processato vivo bensì stordito preventivamente secondo una prassi certificata sanitariamente.

L’emergenza granchio blu

«Siamo partiti dal calcolare la quantità di granchio blu pescata in un anno dal consorzio», racconta Castrica, «da che gli operatori, i pochi rimasti attivi, sono stati costretti a riconvertire la loro attività a una pesca massiva della specie aliena nel tentativo di smaltirla».

I numeri sono spaventosi. Nonostante l’azione intrapresa, mille tonnellate raccolte nel 2023 sono salite a 1.700 nel 2024. «Delle 14 cooperative consorziate fino al 2023 (1.500 pescatori di cui circa 700 donne) gli associati oggi sono poco più di mille», riporta Emanuele Rossetti, responsabile sanitario della qualità negli impianti del consorzio, «Dal pescare circa seimila tonnellate di vongole veraci l’anno siamo passati a 200 tonnellate, da circa 3.000 cozze dop di Scardovari a un migliaio e lo stesso per quanto riguarda le circa 3. 000 tonnellate di cozze di mare. Ma la cosa più grave in un’area non ricco com’è il Basso Polesine», evidenzia, «è la perdita di lavoro di tanti pescatori, a cui se ne aggiungeranno ancora molti altri».

I possibili riutilizzi

«Il pet food per animali da compagnia è la prima opportunità di riuso che portiamo avanti insieme a un mangimificio veneto», spiega Castrica, «La polvere di granchio blu viene usata anche per la stampa 3D e, in campo farmaceutico, è fonte di chitina, una sostanza scarsamente reperibile e perciò molto costosa».

Ma è blasfemo immaginarlo servito a tavola come un dado da minestra? «In assoluto no», chiarisce la ricercatrice, «Servirebbe un protocollo specifico ad ora inesistente ma in linea di principio la stessa tecnologia può essere adattata a quel tipo di elaborazione».

“RiPesca” chiude a gennaio. In un’ipotetica fase 2, qualora fosse rifinanziata, il progetto permetterebbe al consorzio l’installazione definitiva della macchina, agli studi in materia di progredire e a chi è rimasto d’emblée a casa dal lavoro di sperare in un’opportunità. Non ultimo, alla fauna lagunare di riavere il suo habitat.

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