Jody Cecchetto: «Il successo di Lucio Corsi? Ai giovani piacciono anche le frasi delicate»

A Parole Ostili Jody Cecchetto riflette sulla musica ascoltata dalla generazione Z: «Ci sono bei segnali, ma preoccupa la violenza dei trapper e rapper»

Giulia Basso
Jody Cecchetto e Rosy Russo sul palco a Trieste (SIlvano)
Jody Cecchetto e Rosy Russo sul palco a Trieste (SIlvano)

«In un’epoca in cui molti testi musicali sembrano rincorrere la provocazione a tutti i costi, il successo di Lucio Corsi a Sanremo 2025 dimostra che si può comunicare anche in modo diverso. Le sue canzoni non hanno la pretesa di parlare dei massimi sistemi: sono piccoli pacchetti regalo che lui dà alle persone, pillole di felicità o di disagio che rappresentano tante vite».

Jody Cecchetto, 30 anni, conduttore radiofonico e televisivo, figlio d’arte, vede nel secondo posto del cantautore toscano un segnale importante per il futuro della comunicazione musicale. Lo incontriamo al Festival della Comunicazione Non Ostile, che ha condotto a Trieste per la prima volta: «È un festival che parla di come le parole possano costruire ponti invece che muri. In questo senso, il successo di artisti come Corsi dimostra che il pubblico, anche quello giovane, è pronto ad accogliere un linguaggio diverso, più delicato ma non per questo meno incisivo».

Social, hate speech e comunicazione non ostile, che esperienze ha in merito?

«Sono attivo sui social dal 2010, ho sempre cercato di mantenere un atteggiamento rispettoso e, forse anche per questo, non ho mai avuto troppi haters. Credo che il problema vero sia per i giovanissimi, che si ritrovano a dover gestire un’esposizione enorme senza gli strumenti giusti. Il bullismo c’è sempre stato, ma oggi è moltiplicato dal web, ed è fondamentale parlarne per sensibilizzare sia gli adulti che le nuove generazioni».

Ha un pubblico trasversale, dalla Generazione Z ai boomer. Come gestisce questa diversità?
«Ho avuto il privilegio di lavorare sia sui media tradizionali che su quelli nuovi, e ho assorbito molto dai miei genitori, soprattutto sul loro modo di approcciarsi al mondo. La chiave è trovare un linguaggio che unisca, non che divida».

Porta un cognome impegnativo. È stato un aiuto o un ostacolo?

«Non mi ha aperto porte in senso diretto, ma mi ha offerto un’esperienza unica. Ho imparato molto da mio padre Claudio Cecchetto: le chiacchierate a cena, il tempo passato in studio di registrazione con artisti come gli 883 o Jovanotti. E non ho mai subito pressioni particolari, anche se c’è stato un episodio curioso: a 27 anni ho condotto il PrimaFestival a Sanremo, mentre mio padre alla stessa età ha condotto proprio il festival. Ci scherziamo su, ma il punto è che il nostro approccio alla comunicazione è lo stesso: entusiasmo e passione».

Parlando di musica e linguaggio, vede segnali positivi nell’attuale panorama musicale?

«Forse sono troppo ottimista, ma direi di sì. Spero che avere accesso a tantissima musica ci aiuti a ricordare che le parole sono importanti. Ma per quanto io preferisca chi racconta spaccati di vita vissuta rispetto a chi parla, magari scimmiottando, di soldi, armi e status symbol, ogni genere va contestualizzato. La musica cambia e testi che oggi sembrano inaccettabili vanno collocati nel flusso della storia. Anche se non nego che un po’ mi preoccupo quando vedo che tanti trapper e rapper, seguiti da un pubblico molto giovane, utilizzano un linguaggio aggressivo».

Lucio Corsi e Olly a Sanremo sono stati un bel segnale, quindi?

«Assolutamente sì. Ho sempre creduto in Olly, lo seguo da quando faceva concerti davanti a 50 persone. E Corsi è riuscito a portare sul palco un cantautorato che parla con semplicità e immediatezza. Il fatto che il pubblico lo abbia premiato mi fa sperare che stiamo tornando a un apprezzamento più profondo dei testi e della musica con un messaggio vero».—

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