Basta assistenzialismo: la montagna investa in lavoro e servizi
Esce il “Libro bianco sulla montagna” realizzato da Unimont sulle caratteristiche dei territori montani. Giorgi: «Le poche risorse disponibili non vanno sprecate in nuovi skilift, ma nella formazione al lavoro, nella promozione di attività lavorativa e soprattutto nei servizi essenziali»

«Basta con l’assistenzialismo, anche in montagna. Le poche risorse disponibili non vanno sprecate in nuovi skilift dove non nevica più o in nuove piste ciclabili, ma nella formazione al lavoro, nella promozione di attività lavorativa e soprattutto nei servizi essenziali».
Il tema è particolarmente complesso e delicato, ma è convinta di quel che dice la professoressa Anna Giorgi, responsabile di Unimont, il polo montano dell’Università Statale di Milano. E parla sulla scorta di uno studio puntuale sulle caratteristiche ambientali e territoriali, socioeconomiche e di governo dei territori montani italiani: è il “Libro bianco sulla montagna”, realizzato da Unimont su incarico del dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie della presidenza del Consiglio dei ministri.
Partendo dalle “visioni” e dagli interventi per il riscatto dalla marginalità delle montagne nello scenario globale ed europeo e in tempi di grandi cambiamenti ambientali e socioeconomici, si focalizza sulla dimensione nazionale, esaminando gli ambienti caratteristici e le risorse, il territorio e la società, l’economia e l’impresa, la legislazione e la governance delle montagne italiane, per arrivare, infine, ad evidenziare le principali sfide e suggerire interventi prioritari.
Non solo turismo e agricoltura
La montagna veneta, quella bellunese in particolare, si lamenta perché il fondo Fosmit mette a disposizione solo 200 milioni in ambito nazionale e non più di 10 milioni in regione. Sono davvero pochi? Anzitutto, evidenzia Giorgi, è necessario selezionare i Comuni veramente montani.
«Non è possibile che il 60% del territorio italiano sia da considerarsi di montagna, perfino una parte di Roma, quindi occorre restringere il cerchio d’azione (tutte le rilevazioni e le analisi fatte nello studio si riferiscono alla delimitazione statistica di montagna, e dunque ai 2.487 “comuni montani” e al corrispondente 35,2% della superficie nazionale definiti dalla classificazione di Zona Altimetrica di Istat, ndr)» sostiene Giorgi, «ma è anche vero che non si può pretendere che venga finanziato ogni progetto, dalla pista ciclabile al parco, fino allo skilift. Basta con la mano tesa. È vero, senza soldi non si fa niente o si fa poco, ma immaginare che ti arrivino solo perché sei in montagna, non va bene».
Troppo assistenzialismo?
«Certo che sì» risponde Giorgi, «sento alcuni contadini che minacciano di chiudere le stalle in montagna se non disporranno dell’indennità compensativa. Ma non può essere l’incentivo che motiva un allevamento. Vuol dire fare un lavoro che non si riconosce degno. In montagna è stato sprecato un sacco di denaro».
Quindi, secondo lei, soldi ne arrivano?
«Sì, a volte succede che c’è un fondo a disposizione e si tira fuori dal cassetto l’ultimo progetto, purchessia, per approfittarne. Ma senza una visione, senza una progettualità di futuro chiara. E con la consapevolezza di perseguire questa visione di futuro in maniera continuativa».
C’è la tendenza ad individuare le terre alte come turismo ed agricoltura, ma «è un errore strategico» dice la docente. «L’impresa dove la mettiamo? E poi, il commercio, il terziario avanzato».
In sostanza, c’è bisogno di attenzione in un quadro strategico non di assistenzialismo perché, nota Giorgi, «date le opportunità oggi di creare valore, le montagne possono essere una piattaforma di grandi utilità per mettere a terra nuove modalità di erogazione di servizi, di produzione di valore. E quindi di circuiti economici che consentano alle persone di rimanere sui territori».
Due questioni dirimenti
Secondo la docente di Unimont, bisogna partire da due cose: lavoro qualificato, quello cercato dai giovani; e servizi, anzitutto quelli primari, cioè la salute, l’istruzione, mobilità e connessione. «Quindi un bel piano strategico sulla telemedicina piuttosto che sulla formazione e l’aggiornamento professionale» spiega Giorgi, «sono le chiavi di successo nel lavoro: tutte queste cose dovrebbero essere oggetto di una strategia specifica per le aree montane. Quindi occorrono investimenti, basta col fare carità, che oggi, tra l’altro, non ci possiamo più permettere. Metto un euro per portarne a casa 5, come faccio? Questo il ragionamento. Le energie devono arrivare anzitutto dal contesto, dalle persone che stanno in montagna e intendono restarci». Senza per questo chiudersi nel loro recinto.
«Con l’Università constatiamo che ci sono tanti giovani pronti ad intraprendere, a fare impresa, ma trovano difficoltà a mettere a terra il loro sogno imprenditoriale. La cosa drammatica è che noi, nel terzo millennio, abbiamo l’Intelligenza Artificiale e non siamo capaci di mettere ordine nelle cose banali».
Le principali sfide della montagna
Nel libro si analizzano le principali sfide della montagna. A partire da quella ambientale, dominata dal cambiamento climatico (si pensi solo che i ghiacciai italiani in mezzo secolo hanno perso 157 chilometri quadrati di superficie), l’abbandono, l’eccessiva antropizzazione e l’impatto delle attività umane.
Non è da meno la sfida sociale: spopolamento, invecchiamento della popolazione e la concomitante riduzione dei servizi di base per i cittadini, nonché l’effetto “calamita” dei capoluoghi che crea divari socioeconomici importanti entro le stesse regioni. L’analisi demografica evidenzia infatti che la popolazione dei comuni montani cala (-5% in dieci anni) ed è sempre più anziana, con una condizione allarmante di squilibrio generazionale. Per non parlare di sanità, istruzione e mobilità, dove si evidenziano differenze tra comuni montani e non montani. A esempio, nella disponibilità posti letto nelle strutture ospedaliere ogni mille abitanti, nel numero di alunni per scuola, nell’accessibilità delle stazioni ferroviarie.
C’è poi un’altra sfida importante, quella economica. Si rende necessario attrarre e gestire con efficienza finanziamenti per progetti di sviluppo per contrastare il calo delle imprese attive in montagna e incrementare la redditività media del lavoro.
Per finire, la sfida della governance. La situazione locale mostra una notevole eterogeneità, con una varietà di enti coinvolti, come Comunità montane, Unioni dei Comuni e altre istituzioni, che riflettono le diverse strategie regionali nella gestione di questi territori. Questa diversità può adattare la governance alle esigenze locali, ma può anche generare frammentazione e complessità, rendendo più difficile la definizione di politiche coordinate. Dunque, il panorama diversificato dei territori montani italiani sottolinea l'importanza dei livelli di governo locale, sovralocale e regionale per formulare e attuare politiche integrate e strategie specifiche.
Proposte per il futuro
Nel lavoro di Unimont non mancano però proposte di intervento per il futuro. Necessaria la definizione di politiche integrate e strategie specifiche per i territori montani, la costituzione di un tavolo di coordinamento permanente per lo sviluppo dei territori montani così come quella di un osservatorio permanente per il monitoraggio dei settori strategici per lo sviluppo dei territori montani. Ancora: la promozione della costituzione dell’ecosistema dell’innovazione della montagna. Ma per finire, neanche a dirlo, serve sensibilizzare i cittadini, puntare su formazione e ricerca.
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