Media e libertà, nuovo Rapporto Censis sulla comunicazione: social, TV e algoritmo
Dalla centralità della TV al dominio degli algoritmi, passando per la crisi della carta stampata e il ruolo crescente dei social network nell’informazione: ecco i risultati dell’ultimo rapporto Censis

I media e la libertà. Il XX Rapporto sulla comunicazione del Censis (ed. Franco Angeli) mette in primo piano questo delicato binomio.
Siamo passati dalla spinta alla disintermediazione, epoca in cui ognuno ha cominciato a creare il suo palinsesto, all’era biomediatica, in cui l’individuo ha cominciato a mettere la faccia e le proprie idee sul web passando da fruitore ad attore dell’informazione.
Questo mutamento ha fatto da premessa alla successiva esplosione degli influencer, abili creatori di mode, seguendo un percorso che arriva alla più stretta attualità, segnata dallo strapotere dell’algoritmo, che sceglie i contenuti informativi per noi, confacendosi ai nostri gusti, in un gioco di specchi difficile da arrestare.
Televisione
La televisione resta regina, guardata dal 94 per cento degli italiani, la sua non è una sovranità immobile, per reggere il confronto con l’universo cross mediale in costante espansione è divenuta multipolare, ibridata dalle “finestre web” con cui vive ormai in simbiosi, si è aperta a meccanismi nuovi di fruizione. Lo spettatore segue trasmissioni e serie tv sempre più “in differita”, è più solo di fronte al teleschermo.
Social network
Appare conclusa la grande stagione dei programmi cult (pensiamo all’epopea dei quiz di Bongiorno o alla “messa cantata del telegiornale delle 20.00) che raccontavano il Paese e che eravamo pronti a condividere in un costante processo di costruzione dell’identità collettiva.
Quel mondo si è frammentato il pubblico di oggi colloca al secondo posto dell’ecosistema dell’informazione un social netwok, come facebook, che viene percepito come un mezzo molto semplice e rapido di conoscenza di quello che accade.
Istruzioni: Qui sotto, il XX Rapporto Censis. Usa la barra a destra per spostarti lungo il testo.
La flessione molto grave della carta stampata testimonia una diffusa scarsa propensione all’approfondimento e alla lettura analitica dei fatti, cui fa da contraltare la progressiva affermazione di quella che i ricercatori definiscono “platform society”, territorio virtulae da cui traggono origine consumi culturali e comportamenti. Competenza, verifica rigorosa delle fonti, deontologia, metodo, la “cassetta degli attrezzi” del giornalismo sembra sia divenuta un superfluo, si assiste perciò al paradosso di un giornalismo senza informazione, e di una informazione confezionata senza obbedire ai criteri del giornalismo.
Internet
I motori di ricerca la fanno da padrone, alimentati dagli algoritmi soddisfano una fame bulimica di curiosità, gonfiando una sorta di ipernozionismo da Google, intriso di alta emotività e da un flebile apporto cognitivo.
E’ evidente che l’incrocio di questi fattori mal si concilia con il diritto all’informazione e con il pluralismo delle fonti, principi fondanti dello stato di diritto. Gli italiani sanno di vivere in uno condizione di dipendenza da Internet, si sentono controllati e trascinati in una “giostra” multimediale di cui non riescono a controllare movimenti ed esiti, tuttavia non reagiscono, finendo con l’accettare lo stato di subordinazione rispetto a un potere computazionale oscuro, illeggibile.
L’analisi
«In questi ultimi venti anni – spiega Giuseppe de Rita – c’è stato un doppio reciproco appiattimento tra sistema sociale e sistema della comunicazione. Mancano dei soggetti verticali di rottura, che sappiano spezzare l’andazzo, lo si vede moto bene se personaggi enormi come Papa Francesco e Donald Trump, il primo messaggiando a Sanremo, il secondo trasformando la Casa Bianca in un sito di streaming, hanno deciso di adottare la logica orizzontale e piatta della rete».
Il deficit denunciato dalla ricerca riguarda l’assenza della radicalità del nuovo a dispetto della retorica che abusa del termine rivoluzione e che non sa fare i conti con il naufragio di quell’immaginario collettivo che aveva permesso all’Italia di crescere negli anni del miracolo economico, emancipandosi anche grazie all’apporto dei primi media di massa, radio giornali e tv, dalle drammatiche piaghe dell’ignoranza e dell’analfabetismo.
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