Astrofisica, moglie e madre: «Così ce l’ho fatta. Ma dico no alla Wonder Woman, è una fregatura»
Monica Lazzarin, professore associato all’Università di Padova, lavora anche con l’Esa, è sposata e mamma di due ragazzi. Le peripezie per conciliare carriera e famiglia, le difficoltà incontrate, la speranza per il futuro: «Il mondo lavorativo cambierà quando i figli saranno considerati veramente un bene comune»


Rinnega il mito della donna stile Wonder Woman perché, dice, «è una fregatura». Crede nel tempo dato ai figli, che deve essere tanto e di qualità. Ama il suo lavoro di astrofisica all’Università di Padova. Monica Lazzarin, padovana, professore associato di Astrofisica del sistema solare al Dipartimento di Fisica e Astronomia al Bo, è (anche) moglie e mamma di una ragazza che oggi ha 25 anni e di un ragazzo di 21.
Si occupa di sistema solare, in particolare di comete e asteroidi, e lavora anche con l’Esa, l’Agenzia spaziale europea. Nella sua carriera tra Italia ed estero ha dovuto farsi largo, come donna e come ricercatrice, senza mai scendere a patti con il suo voler essere nel contempo moglie e madre. Non senza difficoltà. Nel curriculum di Monica Lazzarin, la partecipazione alla missione Rosetta, alla missione Dart nel 2022 per la deviazione dell’orbita di un asteroide, alla missione Hera in corso. Di recente è stata nominata dall’Esa responsabile della missione Ramses per studiare un asteroide che passerà molto vicino alla Terra nel 2029.
Lei è moglie, madre e astrofisica: qual è l’ordine che dà a questi tre aspetti della sua vita?
«Per importanza, i figli hanno sempre dominato su tutto, a spese sia del marito che del lavoro. Non credo al ragionamento che il tempo con i figli possa essere anche poco, purché molto buono, di qualità. I figli hanno bisogno di tanto tempo: quando sono piccoli, il bisogno è proprio fisico. E anche quando sono più grandi non possono essere lasciati soli nelle scelte. I miei figli hanno più di vent'anni, ma hanno ancora un estremo bisogno di interagire con le persone a loro più vicine, ossia i genitori. E per fare questo, ho dovuto trovare una necessaria conciliazione con il lavoro. A volte mi sono trovata costretta a perdere la possibilità di partecipare ad alcuni progetti: vent’anni fa le cose erano diverse e non c’erano attenzioni in questo senso. Ad esempio nessuno pensava di convocare le riunioni alle 14 perché poi alle 16 qualcuna delle partecipanti avrebbe potuto dover andare a prendere i figli a scuola».

Come ha potuto conciliare dal punto di vista pratico la famiglia e la carriera?
«Il tipo di lavoro che faccio per fortuna mi dà la possibilità di organizzarmi con gli orari, eccezione fatta per l’insegnamento. In generale, cosa cambia se preparo le lezioni o studio alle 2 di notte? Molte volte ho passato del tempo con i figli e poi lavorato di notte. Purtroppo devo dire che spesso li ho anche addormentati con il computer in mano. La conciliazione famiglia-lavoro, specie con i bimbi piccoli, è stata un continuo surfare tra situazioni, con grosse difficoltà e l’aiuto delle baby sitter».
Ha mai provato senso di colpa nei confronti dei suoi figli?
«Continuamente, perché comunque mi sembrava di fare sempre poco per loro, nonostante tutto. L’ho vissuto soprattutto quando erano piccoli, ma un po’ ancora adesso».
Rifarebbe tutto quello che ha fatto o, potendo, sceglierebbe una vita più ordinaria, più normale?
«Me lo sono chiesta tante volte, ma non credo che riuscirei a fare altro. L'ho proprio scelta questa vita e l'ho perseguita con tanto desiderio. Fin da quando mi sono laureata in Fisica a Padova e poi ho conseguito il dottorato di ricerca in Astronomia, ho capito che non mi sarebbe piaciuto andare in un'azienda, né insegnare alle scuole superiori, ma che il mio futuro sarebbe stato nella ricerca. Mi stimolava l’idea di avere un lavoro che si rinnova di continuo, che non è mai banale, che, almeno quello universitario, dà apparentemente l'opportunità di potersi organizzare la vita. Cosa che poi non è vera, perché come dico sempre ai miei figli, ho la libertà... di non fermarmi mai».
Crede nel mito della donna modello Wonder Woman?
«Secondo me il mito della Wonder Woman è una fregatura. Le donne fanno le forti e in realtà sono solo piene di di lavoro, molto di più degli uomini. E devono per forza fare le Wonder Woman. Ma non è un successo questo, perché è solo tanto lavoro in più. E alla fine viene da sperare di rinascere maschio la prossima volta».

Ha mai pensato che fuori dall'Italia potessero esserci più possibilità legate alla conciliazione famiglia-lavoro?
«Ho avuto varie esperienze all’estero, per esempio in Francia. Là le donne che hanno figli sono molto più aiutate, almeno nei primi tempi. L’aiuto arriva non solo dal Comune, ma anche dai luoghi di lavoro. Ricordo ad esempio che nell’Osservatorio dove mi trovavo c’era l’asilo. E anche nelle giornate di vacanza scolastica, i bambini potevano essere portati in questo asilo e accuditi da professioniste. Quando avevo i bambini piccoli, in Italia erano i primi tempi degli asili aziendali. E avevo provato a vedere se con l’Università di Padova si potesse attivare un servizio del genere. Ma c’erano talmente tante norme da seguire e difficoltà da superare che alla fine ho lasciato perdere. In Germania, invece, in alcuni istituti di ricerca che ho frequentato viene data la possibilità alle dipendenti di portarsi i figli al lavoro, facendoli stare in spazi dedicati. Oggi in Italia ci si batte per avere gli asili aperti fino all’orario più tardo possibile. Ma quanto vogliamo lasciare questi bambini all’asilo? Io sono per l'idea che le mamme, ma anche i papà, debbano essere messi nelle condizioni di poter stare dietro ai figli con tempi di lavoro più limitati e con un cambio di atteggiamento generale».
Nell’immaginario comune, l’astrofisico può essere visto come una professione prettamente maschile. Ha incontrato difficoltà nell'essere donna e astrofisica?
«Quando sono diventata ricercatore al dipartimento di Astronomia di Padova, ero l'unica donna. Era il 1999, lo stesso anno in cui è nata la mia prima figlia. Apparentemente non ho subito discriminazioni, però di fatto spesso ero sempre l'ultima nelle scelte. Mi sono dovuta fare largo, c’erano dei vecchi professori di allora che avevano mentalità molto diverse da oggi. Poi le cose sono cambiate, ma ancora oggi le professoresse ordinarie nel mio Dipartimento sono comunque pochissime. E anche nell’organizzazione degli eventi di ricerca, spesso ci troviamo dinnanzi a liste di speaker tutti maschi. Come se non ci fossero anche donne che si occupano del medesimo argomento e sono titolate a parlare».

Secondo lei esistono ancora dei pregiudizi sulla donna che è realizzata sia dal punto di vista lavorativo che da quello familiare?
«Non ho questa impressione apparentemente, però non ci siamo ancora liberate del tutto di ciò. In Università si fanno molte attività Stem, progetti di sensibilizzazione, le panchine contro la violenza, l’otto marzo. Tante attività, e poi nel concreto? Effettivamente servirebbe dare più spazio alle donne. Poi però per contro, attenzione: non è che donna sia sempre bello. Spesso tra donne manca la solidarietà e si assumono dei comportamenti basati sulle sensazioni a pelle, non in conseguenza a qualcosa di realmente successo. E questo a danno dei rapporti».
Pensa di essere un esempio per i suoi figli?
«Credo di essere un esempio per quello che ho fatto. Ho avuto un passato non semplice: non provengo da una famiglia ricca, sono nata e cresciuta in un paese a sud di Padova, ho fatto la pendolare al liceo e all’università. E nonostante ciò, ho avuto i miei risultati, ottenuti tutti con grande impegno e fatica. L’esempio che spero di aver trasmesso ai miei figli è anche quello che non bisogna abbassarsi e dire sempre di sì, ma che è necessario lottare per quello in cui si crede e a cui si ambisce. Poi magari non sempre si vince, ma l’importante è averci provato».
Cosa augura alle ragazze di oggi?
«Alle ragazze di oggi per il loro futuro auguro che cambi veramente la mentalità, soprattutto rispetto alla presenza di figli nella vita di una professionista. Se non ci sono figli, una donna intraprende la carriera e dedica il tempo solo al lavoro e a se stessa o alla vita di coppia. Il problema nasce quando ci si trova davanti a una madre o a una donna che ha il desiderio di maternità. La questione non si risolverà fino a quando i figli non saranno considerati veramente un bene comune. Solo quando saranno dati alle donne gli strumenti per poter vivere la maternità senza sensi di colpa e con il tempo necessario, allora cambierà il mondo. Alle ragazze di oggi auguro che si arrivi a questa mentalità, per potersi realizzare e crescere i figli senza essere costrette a lasciarli ad altri per troppe ore al giorno. I giovani cominciano davvero a chiedere questo, non solo le donne ma anche gli uomini. E’ un buon segno del cambio di mentalità. Io lo ripeto sempre: non è bello lavorare tanto, è bello lavorare bene ed essere gratificati».
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