Questione di chimica (e matematica): le corde musicali made in Venezia famose in tutto il mondo
Corde fatte a mano, controllate una per una da chi, dopo anni di esperienza, sa cogliere la minima imperfezione. La Dogal di Marghera, nata settant’anni fa a Venezia, è un brand conosciuto da musicisti in tutto il mondo

All’inizio del Settecento il liutaio Domenico Montagnana, uno dei più famosi del suo tempo con bottega a Venezia, si raccomandava di ricevere dal paesino di Salle, in Abruzzo, solo le budella di pecore e montoni d’alpeggio perché le corde dei violini sarebbero state più morbide, con un suono migliore.
Tre secoli più tardi, le corde armoniche in budello sono una rarità ma per capire perché Venezia resta un punto di riferimento mondiale in questo settore bisogna venire qui, nella zona artigianale di Marghera, dove dal piccolo capannone dell’azienda Dogal partono corde destinate a musicisti di tutto il mondo.
«Di metallo, ma morbide come quello in budello», racconta Andrea Lavelli, il titolare dell’azienda. Corde fatte a mano, controllate una per una da chi, dopo anni di esperienza, sa cogliere la minima imperfezione.
Un controllo manuale che avviene durante la produzione e, ancora un’ultima volta, prima di spedirle, facendo scivolare le corde tra indice e pollice come sta facendo adesso Serena Polizzi: «Queste sono perfette». Imbustate e consegnate, verranno pizzicate su di un basso. «Spesso non ci si pensa», riflette Lavelli, «ma la corda è il primo contatto con lo strumento e il primo elemento della catena del suono».
Che poi, si fa presto a dire corda. Ci sono quelle per i violini e le viole, con un cuore di acciaio, ricoperto da un filo di seta per ammorbidire il suono, e poi ancora dal bronzo o dal metalcromo laminato.
Ci sono le corde per le chitarre elettriche e i bassi, che al cuore di acciaio uniscono bronzo, o bronzo fosforoso o ancora nichel cromato.

Sono 120 i tipi di corde prodotte, ce ne sono per tutti gli strumenti immaginabili, compresi quelli etnici come la balalaica, il banjo o il sitar.
«La musica», ragiona Lavelli mostrando i suoi prodotti con un entusiasmo contagioso, «è una questione di chimica e matematica. Chimica per i materiali che decidiamo di usare, tutti di altissima qualità e prodotti in Italia. E matematica perché per ogni corda bisogna calcolare i pesi specifici, le trazioni e gli angoli rispetto al ponte (la parte dello strumento in cui vengono agganciate e sostenute le corde permettendo loro di vibrare, ndr) di ogni singolo strumento.
È facile produrre una corda molto sonora, è molto difficile realizzare una corda che rispetti perfettamente la tavola armonica dello strumento cui è destinata».
«E poi», conclude, «ogni musicista ha il suo modo di suonare». Il capannone è un mix di artigianato di qualità e innovazione.
Nel laboratorio ci sono i software fatti in casa per la tensione e il rivestimento delle corde ma, a ricordare il legame con il passato, anche un vecchio tornio utilizzato dal nonno, uno macchinario per tendere le corde realizzato con il motore di una lavatrice.
Fu proprio il nonno, nel 1950, a fondare la Dogal Corde Armoniche, in centro storico. Sede a San Stae, dietro San Cassiano. Quest’anno l’azienda, iscritta a Confartigianato, festeggiano i 75 anni di attività.
Alla fine degli anni Novanta il trasferimento a Marghera anche se una sede commerciale è rimasta in città storica. Andrea è cresciuto nel laboratorio del nonno e poi del padre Alfonso che ha aperto l’azienda ai mercati internazionali e ha sviluppato le prime corde in lega di carbonio. Uno dei passaggi tecnici più importanti degli ultimi anni ha riguardato invece l’utilizzo del cuore della corda, tondo, non solo per gli strumenti ad arco ma anche per le chitarre. Tra i clienti di casa: musicisti della Fenice del Conservatorio Benedetto Marcello.

E a utilizzare corde Dogal sono anche musicisti come il bassista Bobby Vega (suonava con Micheal Jackson), il bassiste svedese Jonas Hellborg che accompagna i grandi del jazz in giro per il mondo. L’ultima collaborazione? Con Carl Verheyen, chitarrista dei Supertramp. «Stiamo lavorando a un nuovo tipo di corda con anima monofilo», spiega Andrea Lavelli, «stiamo facendo delle sperimentazioni, di più per ora non si può dire».
In termini di volumi di produzione l’unica risposta possibile è: dipende. «Se facciamo corde per chitarre riusciamo a produrre cento pezzi all’ora», prosegue Lavelli, «quindici se sono corde di violino, cinque di contrabbasso».

Dieci dipendenti, tutte donne. E per capire quanto il lavoro manuale sia delicato, basti dire che, per essere assunti, bisogna passare un test del sudore: se è troppo aggressivo potrebbe corrodere alcuni materiali.
Il fatturato è di circa 500 mila euro, le esportazioni pesano per il 65%, il 15% riguarda gli Usa. I dazi spaventano ma non troppo. «Vorrà dire che cresceremo di più altrove», dice Lavelli, sapendo che anche per stare nel mercato bisogna saper toccare le corde giuste.
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