Non ci sono più gli spettacoli di una volta

Il mondo dei live oggi è fluido, in continuo cambiamento, in perenne evoluzione. Ce lo racconta Valeria Arzenton di Zed 

Cristiano CadoniCristiano Cadoni
Valeria Arzenton, uno dei tre soci storici di Zed Live
Valeria Arzenton, uno dei tre soci storici di Zed Live

Non ci sono più gli spettacoli di una volta, ma non è per forza un male. La verità è che se qualcuno pensava che il post-pandemia sarebbe stato un lento ritorno al tempo che fu, questa previsione – o auspicio che fosse – si è rivelata sbagliata.

Il mondo dei live oggi è fluido, in continuo cambiamento, in perenne evoluzione. E chi ci lavora è chiamato a un esercizio di equilibrismo che richiede occhio, sangue freddo, flessibilità. È una sfida affascinante e faticosa.

Vasco Rossi allo stadio Euganeo di Padova, settembre 2004
Vasco Rossi allo stadio Euganeo di Padova, settembre 2004
Apertura dei cancelli e perquisizioni per il concerto di Vasco.
Apertura dei cancelli e perquisizioni per il concerto di Vasco.
Ultimo allo stadio Euganeo di Padova, foto Fossella per Agenzia Bianchi
Ultimo allo stadio Euganeo di Padova, foto Fossella per Agenzia Bianchi

 

Le tendenze, di ieri e di oggi

Valeria Arzenton, che con Diego Zabeo e Daniele Cristofoli guida la macchina di Zed, si è rassegnata a questa nuova dimensione. E anche questo non è per forza un male.

«Nel 2022 abbiamo preso atto che tutto era cambiato, rispetto al periodo pre-Covid», attacca. «Ma da allora non c’è più stata una situazione statica, facilmente decifrabile. L’anno scorso, per esempio, abbiamo avuto il boom di stand-up comedian, i loro spettacoli facevano il pienone, richiamando un pubblico nuovo. Abbiamo capito di dover investire in figure che intercettassero questo nuovo fenomeno, soprattutto giovani. Quest’anno è già tutto diverso, adesso il pienone lo fanno i concerti per i ragazzini, ma anche qualche live nostalgico. Cambia tutto, di continuo, per noi non c’è più una routine».

Bisogna reinventarsi ogni giorno.

«Non ci sono più certezze. Per anni abbiamo creduto che i ragazzi cercassero i posti in piedi ai concerti, ora vogliono star seduti. Ci sono live, per esempio Mr Rain, per i quali abbiamo esaurito le tribune e ci sono ancora posti nel parterre. Prevedere queste cose non è facile, neanche per chi ha esperienza».

A proposito di esperienze, i concerti ormai non sono più soltanto le due ore dello spettacolo. E saranno sempre di più un evento fatto di servizi, offerte, momenti speciali prima e dopo.

«Stiamo studiando quello che succede all’estero dove le arene hanno settori vip, palchi riservati, sky box con accesso riservato, bagno privato, vetrate che mostrano il passaggio degli artisti. Il pubblico effettivamente vuole esperienze sempre più particolari».

E sembra disposto a pagarle, visto che sta prendendo piede anche una forma di rateizzazione per affrontare la spesa.

«È così. E confesso che un po’ ci preoccupa l’idea che qualcuno si indebiti e rischi di perdere la percezione di quello che sta spendendo».

I costi dei biglietti stanno raggiungendo livelli impensabili fino a pochi anni fa. È una deriva inarrestabile?

«Tutto è aumentato. I costi sono lievitati del 40%. Per noi è complicato trovare maestranze e quelle poche che si trovano sul mercato si fanno pagare di più. E poi gli spettacoli sono imponenti. Tutta la filiera ha avuto un rincaro che ricade sullo spettatore».

Per certi eventi – pensiamo ai live degli Oasis – i biglietti spariscono in un attimo e ricompaiono in rivendita secondaria a prezzi esorbitanti. Come si può arginare questo fenomeno?

«La domanda in alcuni casi è clamorosamente più alta dell’offerta ed è difficile accontentare tutti. Il secondary ticketing esiste ed è un problema. Forse si può affrontare con il prezzo dinamico, come quello dei voli aerei o degli alberghi».

Torniamo alle strutture. In Italia abbiamo soprattutto impianti sportivi prestati agli spettacoli, con rare eccezioni. Quanto vi penalizza?

«Il Geox è nato per gli spettacoli, offre servizi specifici, ma chiaramente il sogno resta quello dell’Arena della musica. Io mi auguro che si riesca a realizzare, magari in collaborazione con l’Università. Sarebbe il tassello mancante. La programmazione a Padova è già ricca, oltre a noi ci sono Sherwood, il Verdi, il Parco della Musica, ma l’Arena consentirebbe di fare un salto di qualità ulteriore. Certo, non si può aspettare all’infinito. Anche Venezia sembra orientata a farla e ovviamente non c’è spazio per due strutture simili».

Come sta Zed?

«Siamo sempre in cerca di nuove sfide. Ci piace fare bene quello che sappiamo ma anche guardare oltre, rimettendoci in discussione. Abbiamo tante risorse, penso soprattutto ai ragazzi che sono arrivati da noi, molto motivati, con grandi valori e sensibilità. Lo dico con orgoglio e anche per smentire chi dice che i giovani d’oggi non hanno queste qualità».

Dopo il musical dedicato a Raffaella Carrà andrete avanti anche sulla strada delle produzioni?

«Ci sono cose che nascono casualmente, a volte sono gli artisti a proporci di fare qualcosa di più con noi perché si trovano bene. E noi abbiamo il know how per spingerci un po’ oltre. Però scegliamo con cura, guardiamo alle possibilità di sviluppo, non ci interessa prendere tutto, ma solo quello che rispecchia la nostra visione delle cose».

Torniamo ai live: che 2025 ci aspetta?

«Sarà un’estate segnata dai grandi spettacoli negli stadi, che fanno sempre numeri importanti. Tra Imagine Dragons, Zucchero, Iron Maiden, Cremonini e Mengoni – e forse non finisce qui – ci attendono serate meravigliose e impegnative. Fare show negli stadi è come pilotare un jumbo, è bellissimo ma ti sfianca. Richiede un lavoro minuzioso da tutti i punti di vista ed è fondamentale la collaborazione – che a Padova è sempre forte – delle istituzioni che hanno un ruolo nell’organizzazione».

E tutto questo avrà come sempre un forte impatto su Padova, il cuore di Zed.

«Creare cultura è un orgoglio, e Padova sta diventando un riferimento importante da questo punto di vista. C’è un arricchimento della vita sociale, un aumento del gettito fiscale e un indotto tutt’altro che trascurabile perché con i concerti si innescano flussi che poi non si esauriscono nei giorni dell’evento. Spesso chi viene per un concerto poi torna. Uno studio della Bocconi nel 2017 aveva misurato l’indotto generato dal concerto dei Coldplay a Torino: 13 milioni di euro, 300 euro per ogni biglietto venduto. Oggi sappiamo che vale anche di più. E gli eventi sono sempre più numerosi. Crediamo che per la città ci sia un ritorno importante». —

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