Altolà alla cittadinanza facile per i discendenti degli italiani

Stretta del governo Meloni sulle richieste che arrivano da residenti all’estero e che intasano gli uffici dei Comuni anche in Veneto. Il legale esperto in materia: «Valutiamo se chiedere al giudice di sollevare l’illegittimità costituzionale»

Enrico Ferro
Una manifestazione di oriundi per la cittadinanza italiana
Una manifestazione di oriundi per la cittadinanza italiana

Il Consiglio dei ministri ha adottato il “pacchetto cittadinanza”, insieme di misure legislative proposte dal ministero degli Esteri per riformare la disciplina in materia di cittadinanza.

Solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia sarà automaticamente cittadino italiano dalla nascita. Si impone poi ai cittadini nati e residenti all'estero di mantenere nel tempo legami reali con il nostro Paese, esercitando i diritti e i doveri del cittadino almeno una volta ogni 25 anni.

I residenti all'estero non si rivolgeranno più ai consolati, ma a un ufficio speciale centralizzato alla Farnesina. Ci sarà un periodo transitorio di un anno circa per l'organizzazione dell'ufficio.

Il sistema attuale si ripercuote sull'efficienza degli uffici amministrativi o giudiziari italiani, messi sotto pressione da chi si reca in Italia solo nel tentativo di accelerare l'iter del riconoscimento della cittadinanza, alimentando anche frodi o pratiche scorrette.

Il ministro Antonio Tajani ha chiarito che «non verrà meno il principio dello ius sanguinis e molti discendenti degli emigrati potranno ancora ottenere la cittadinanza italiana, ma verranno posti limiti precisi soprattutto per evitare abusi o fenomeni di commercializzazione dei passaporti italiani. La cittadinanza deve essere una cosa seria».

La frode della cittadinanza italiana su misura per gli oriundi brasiliani in un piccolo comune veneto
La redazione

Cittadinanze italiane ai brasiliani, è arrivata la stretta del Governo. Alberto Ferrari, iscritto all’albo degli avvocati di Padova e del Brasile, lei è uno dei legali che istruisce queste pratiche. Cosa ne pensa?

«Anzitutto è necessario prendere visione e analizzare il testo del decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri, che non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Il ministro sostiene che “si diventa cittadini se si hanno fino ai nonni italiani”. Io ritengo che la parola “diventare” non sia appropriata. Queste persone sono italiane dalla nascita: non si tratta di una concessione ma di un accertamento della cittadinanza».

C’è chi nutre molti dubbi nei confronti di queste supposte parentele.

«C’è chi sostiene lo facciano per ottenere un passaporto importante come il nostro, con l’accesso alla sanità e all’istruzione. Altri pensano che gli oriundi non avrebbero più alcun legame con l’Italia. Io non sono assolutamente di questo parere: i legami con l’Italia sono ancora molto forti e vengono trasmessi da una generazione all’altra».

Molti non parlano nemmeno l’italiano.

«Italianità non significa necessariamente parlare fluentemente la lingua italiana ma condividere usi, costumi e tradizioni, in primis proprio quei valori di famiglia e ospitalità che contraddistinguono il nostro Paese».

Non può negare che questo costituisca un canale importante di ingresso nel nostro Paese. Non crede ci sia qualcuno che se ne approfitta?

«Non è un canale di ingresso nel nostro Paese perché queste persone sono già italiane dalla nascita, non dobbiamo dimenticarlo. Queste persone si trovano però nella difficoltà di far accertare il loro status civitatis dalla pubblica amministrazione che, per una serie di motivi, non è in grado garantire quel diritto entro i termini previsti dalla legge. Non solo non se ne approfittano, sono anche costretti ad affrontare ingenti spese per l’accertamento di un diritto che è intrinseco dalla nascita».

Hanno davvero legami culturali con il Veneto?

«I legami sono indubbiamente forti. Si pensi che ci sono degli stati del Brasile in cui si parla il talian, una variante del dialetto veneto parlata quotidianamente da oltre 500 mila persone e dichiarato appunto parte del patrimonio linguistico negli Stati del Rio Grande do Sul e di Santa Catarina. Ricordo che il Governatore Luca Zaia, alcuni anni fa, fece visita ad una di queste comunità del Rio Grande do Sul e si rivolse alla popolazione residente in dialetto veneto e fu compreso perfettamente. Peraltro disse che suo nonno era nato in Brasile. A Caxias do Sul ci sono la festa della polenta e quella dell’uva, per non parlare delle parrocchie dove la messa viene regolarmente celebrata in italiano».

Ma qual è l’origine di questo ingorgo di pratiche nei tribunali italiani?

«La presentazione negli ultimi anni di migliaia di domande giudiziali per l’accertamento della cittadinanza italiana iure sanguinis è la conseguenza dell’inefficienza di alcuni Consolati che, soprattutto in Sudamerica, non riescono a evadere le domande nel termine legale di 730 giorni, arrivando anche a dieci anni per concludere la pratica».

I numeri del tribunale di Venezia sono impressionanti.

«Il 51% dei procedimenti di accertamento della cittadinanza iure sanguinis sono giudicati proprio dal tribunale di Venezia e rappresentano più del 70% dei contenziosi dell’intero Tribunale».

Un giudice di Bologna ha messo in discussione questo sistema e il 24 giugno dovrebbe pronunciarsi la Corte costituzionale. Cambia qualcosa ora che il Governo è intervenuto modificando la normativa?

«Il tribunale di Bologna ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale della legge sulla cittadinanza iure sanguinis nella parte in cui la stessa non poneva limiti di generazioni, chiedendo alla Corte Costituzionale di effettuare una valutazione circa la compatibilità con i principi della Costituzione. Ora che il Governo ha emanato questo nuovo decreto ritengo che verrà meno l’interesse ad una relativa pronuncia della Corte. Adesso però siamo noi avvocati che valuteremo, in seguito all’esame del decreto che sarà convertito in legge, l’opportunità di chiedere al giudice di sollevare la questione di illegittimità costituzionale».

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