L'appello del Soccorso alpino: «Impariamo a praticare il senso della rinuncia»
Tre morti in montagna e diversi feriti in meno di 48 ore: un bollettino di guerra sulle Alpi in queste giornate che invitano alle uscite sulla neve, pur con grado elevato di rischio valanghe. L’appello alla prudenza degli esperti, le parole di Messner: «L’alpinismo è l’arte di non morire»

La neve che ha latitato per tutto l’inverno, salvo un piccolo colpo di coda a fine stagione, quando ormai in pianura stanno sbocciando i frutteti. Le giornate primaverili, di pieno sole e temperature gradevoli. La voglia di montagna, di libertà, di avventura.
E una minaccia che incombe: le valanghe. In questi giorni di metà marzo ci sono tutti gli ingredienti perché il pericolo sulla neve in montagna sia di grado elevato. E quello che arriva dalle nostre Alpi in meno di 48 ore è un bollettino di guerra: tre scialpinisti morti, diversi feriti.
Si può fare qualcosa per fermare questa strage? «Impara a praticare il senso della rinuncia e vivi la montagna con prudenza», scrive il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico italiano sui social. Anche Reinhold Messner, il primo re degli ottomila, la pensa così: «L’arte del sopravvivere è l’essenza dell’alpinismo», ha dichiarato nei giorni scorsi ai nostri quotidiani Nem.
Rinunciare, dunque. Sapersi fermare, dire di no, tornare indietro. Salvare la pelle, anzitutto.
Tre morti in meno di due giorni
Ecco cosa ci hanno restituito le Alpi in queste giornate primaverili e ancora sufficientemente nevose in quota. Dieci valanghe in meno di due giorni hanno provocato tre vittime e diversi feriti.
La prima tragedia domenica 16 marzo a Forcella Giau, tra Cortina d’Ampezzo e la Val Fiorentina. Il bollettino valanghe dava rischio di grado 3 (su 5). A perdere la vita i trevigiani Abel Ayala Anchundia, 38 anni, nato in Ecuador e residente a Vittorio Veneto, ed Elisa De Nardi, 40 anni di Conegliano. Erano assieme ad altri due compagni, uno miracolosamente illeso e uno ferito leggermente. Sono finiti sepolti sotto oltre tre metri di neve: ricoverati in condizioni disperate in Terapia intensiva, sono morti dopo poche ore.
Erano in sei, in partenza. Poi, quando il gruppo ha deciso di affrontare quel passaggio di Forcella Giau, due non se la sono sentita e sono tornati indietro. La prudenza ha salvato le loro vite.
Lunedì 17 marzo, un’altra tragedia della montagna, stavolta sul versante trentino del Tonale. Nei pressi di Capanna Presena, una valanga ha travolto tre scialpinisti. Uno ha perso la vita, era un tedesco di 49 anni. Feriti i due compagni, uno è grave in Rianimazione.
E nelle ultime ore, altre valanghe con scialpinisti sepolti e rimasti feriti a Courmayeur ed a Sestriere. E poi sul Pordoi, con una donna trascinata per centinaia di metri ed estratta viva.
ll senso della rinuncia
“Prima di intraprendere qualsiasi attività sulla neve e, in particolare, la pratica dello scialpinismo e le gite con le ciaspole, consulta con attenzione i bollettini AINEVA, il servizio Meteomont e i bollettini niveo meteorologici locali, quali quelli dell'ARPA, per verificare eventuali condizioni di criticità”.

Lo scrive il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico italiano in un post sui social, richiamando il bollettino di guerra delle ultime ore. Dagli esperti della montagna sicura, consigli tecnici – “Dotati sempre di Artva, pala e sonda per le tue gite scialpinistiche o con le ciaspole e verifica che tutti i tuoi dispositivi siano perfettamente funzionanti” – ma non solo.
C’è un monito difficile da mettere in pratica quando è la passione a muovere: “Impara a praticare il senso della rinuncia e vivi la montagna con prudenza”.
Messner: «L’alpinismo è l’arte di non morire»
«Oggi lo scialpinismo è diventato di moda. Ma chi ha poco tempo approfitta di ogni giornata libera per uscire. Va anche col brutto tempo, se c’è vento. Tanto meglio se la neve è fresca. I social sono invitanti, ma non danno conto dei rischi». Parole ai quotidiani del Gruppo Nem di Reinhold Messner, primo re degli ottomila, che conosce la grandezza della montagna e quando sia necessario fare (anche) un passo indietro.
E’ capitato anche a lui stesso, ammette. «Non mi sono mai vergognato quando ho deciso di rinunciare, ritornando al campo base se non a casa. È necessario conoscere tutti i pericoli che si possono trovare nella zona dove si va: occorre conoscerla con tutti i sensi, gli occhi, il naso, soprattutto la mente. E valutarla nella sua evoluzione secondo il clima ed il meteo».
L’alpinismo, secondo Messner, è un’arte. «L’arte di non morire», spiega, «Tutto il resto non ha importanza. Non ci sono record, non interessa il numero delle scalate fatte, importante è capire che l’arte dell’alpinismo è sopravvivere. Non sfidare la morte, consciamente o senza rendersene conto».
Il superstite: «Non vogliate fare sempre qualcosa in più»
«Agli scialpinisti dico: non vogliate fare sempre qualcosa in più». Marco Dalla Longa, sopravvissuto e illeso nella valanga di Forcella Giau, ha lanciato un appello agli appassionati di scialpinismo come lui, a poche ore dall’istante in cui ha visto la neve travolgere gli amici Elisa ed Abel ed ha scavato con mani e pala per riportarli in superficie.
I consigli del Soccorso alpino
Valutare sempre bene i percorsi, chiedere consiglio agli esperti, consultare le previsioni meteo, avere tutta la dotazione di sicurezza in ordine e funzionante. E ancora rispettare le distanze di sicurezza perché la sollecitazione del manto fatta da una persona non è la stessa esercitata da due o tre assieme.
Vale sempre la pena ribadire i consigli del Soccorso alpino per evitare nuovi bollettini di guerra. Consigli di buonsenso, specie in queste ultime settimane prima della chiusura della stagione.

Anche perché nei prossimi giorni, se in quota nevicherà ancora e si aggiungerà anche il vento, il manto rischia di compattarsi per creare il cosiddetto “lastrone”, che al minimo movimento di pressione si muove, scivola via.
«In questo caso l’anello debole della catena è la superficie tra la neve vecchia e la neve nuova, appena caduta», spiega Dimitri De Gol, volontario Cnsas, osservatore nivologico e perito per il Tribunale di Belluno, «Neve, quindi, che non si lega. Lo strato debole o comunque il piano di scorrimento è l’interfaccia tra la neve vecchia e quella fresca, il tutto peggiorato dalle temperature che sono abbastanza alte».
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