Via libera ai vini senza alcol: cosa sono e quali i possibili impatti a Nord Est

Il ministero dell’Agricoltura ha autorizzato la produzione con il divieto di superare gli 0,5 gradi. Potrebbero essere ideali nei Paesi arabi e in Italia utili per evitare le sanzioni del nuovo Codice della strada

Maurizio Cescon
Vino dealcolato
Vino dealcolato

Le bozze del decreto, approvato di recente dalla conferenza Stato-Regioni, sono all’esame di produttori, enologi, direttori di cantine sociali, presidenti di consorzi e cooperative. Numerosi sono ancora i dettagli da chiarire, ma una cosa è certa: si parte con la produzione di vini dealcolati italiani. Il ministero dell’Agricoltura, infatti, ha autorizzato questo tipo di vino, che sarà commercializzato nel nostro Paese in tempi brevi.

Il limite di gradi

Il principale risultato di un lungo confronto tra funzionari del Ministero e associazioni di vignaioli, è la possibilità di chiamare “vino” anche una bevanda con un tenore alcolico inferiore a 8,5 gradi, cosa non possibile finora. Per la precisione il vino dealcolato non potrà superare la soglia di 0,5 gradi, mentre il vino parzialmente dealcolato dovrà rimanere in un tenore alcolico tra 0,5 e 0,9 gradi e sarà obbligatorio esplicitare in etichetta la gradazione esatta.

Ma questa rivoluzione quale impatto potrà avere nel Nord Est, terra di bianchi e rossi nobili, l’Amarone su tutti, di spumanti famosi nel mondo, come il Prosecco, di territori, quali il Collio goriziano, la Valpolicella, o i Colli orientali del Friuli, dove le cantine realizzano uvaggi tra i più prestigiosi e raffinati? Per il momento i produttori non hanno ancora scelto che strada percorrere.

Pare più probabile che, ad approfittare della norma di legge e a cavalcare le tendenze, diventate vere e proprie mode soprattutto all’estero, possano essere le grandi cantine, le cooperative che nelle pianure venete e friulane coltivano migliaia di ettari di vigneti e che quindi, hanno la possibilità di lavorare tonnellate di uve e destinare parte di esse ai dealcolati. Oppure i gruppi privati più importanti e strutturati, desiderosi di aggiungere un’ulteriore opportunità al ventaglio dei loro prodotti. Nei territori dove invece dominano Doc e Docg sarà quasi impossibile che qualche “visionario” possa azzardarsi a percorrere la via dei dealcolati.

Investimenti e strutture

C’è un paletto importante che potrebbe scoraggiare più di qualcuno, soprattutto piccole realtà, a buttarsi nel business dei dealcolati. I pochi produttori italiani che finora avevano proposto vini dealcolati erano stati costretti a portare il vino all’estero per rimuovere l’alcol, mentre ora grazie al decreto potranno farlo in Italia. La produzione però deve avvenire in strutture dedicate, separate da quelle utilizzate per il vino.

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Ciò significa che bisogna trovare i locali adatti, quantomeno affittarli o acquistarli. Inoltre l’impianto di dealcolazione potrebbe costare dai 500, 600 mila euro in su. Investimenti importanti, che non tutti potrebbero essere in grado di sostenere, soprattutto in tempi in cui il business del vino risulta in contrazione o quantomeno in stagnazione, eccetto il Prosecco e qualche altro bianco fresco. L’etichetta, poi, deve avere una chiara indicazione con la dicitura “dealcolato” o “parzialmente dealcolato”. In questo modo, sostiene il ministero, le aziende potranno competere sul mercato di questa categoria di vini senza far venir meno la tutela del comparto vinicolo italiano.

Niente dop o Igp

Un altro ostacolo che potrebbe rivelarsi arduo da superare è l’impossibilità di marchiare Dop (Denominazione di origine protetta) o Igp (Indicazione geografica tipica) i vini dealcolati. Le Denominazioni di origine controllata e garantita sono da sempre sinonimo di qualità e il consumatore se dovesse trovarsi davanti una bottiglia di semplice “vino da tavola” seppur dealcolato come potrebbe reagire? Le due certificazioni vengono attribuite dall’Ue a prodotti agricoli e alimentari considerati di alta qualità e fortemente legati al territorio.

Mercato in ascesa e paesi arabi

Il mercato dei dealcolati è in forte ascesa. Negli Stati Uniti, già oggi, secondo Paolo Castelletti, segretario generale dell’Uiv (Unione italiana vini), vale almeno un miliardo di dollari e le prospettive di crescita sono a doppia cifra. Un secondo sbocco estero, per i dealcolati, potrebbero essere i Paesi arabi e musulmani dove, per motivi religiosi, è vietato bere alcolici.

La soglia attuale affinchè una bevanda possa avere semaforo verde, è di 0,02% di alcol, ma non è escluso che, in futuro, possano esserci delle deroghe. Nel nostro Paese, infine, secondo una recente statistica, il 35% dei consumatori è interessato a “testare” bevande dealcolate.

Gli effetti su chi guida

Naturalmente i vini dealcolati hanno un vantaggio non indifferente rispetto ai loro cugini “alcolici”: potranno essere bevuti da chi poi ha la necessità di mettersi alla guida, senza ansie o timori per un eventuale controllo. Dal Capodanno 2026 dunque potranno alzare calici di vino dealcolato gli astemi, le donne incinte, gli sportivi professionisti, gli autisti e i conducenti di mezzi pubblici, chi insomma il vino non lo beveva o non poteva berlo. Ma anche i tanti che stanno sperimentando autoregolamentazioni nel bere a tavola a causa del nuovo Codice della strada. Una svolta epocale, dunque, che riguarda tutti. 

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