Giacomo Galanda ne fa 50: la vita “a spicchi” del campione di basket
Compleanno importante per Gek: «Il Friuli mi ha regalato i valori fondanti della mia vita». Il ricavato del suo libro andrà beneficenza
«Davvero viene al Messaggero?». Gabriele Foschiatti, ha 21 anni e scrive da poco per il nostro giornale. È nato nel 2003, l’anno in cui l’Italbasket arrivò terza agli Europei strappando il pass per il Giochi 2004 dove prese l’argento. Un memorabile argento. Si precipita in redazione perchè sa che arriva Giacomo Galanda, che oggi compie 50 anni. A Gek non piacciono le classifiche, ma è sul gradino più alto del podio dei giocatori udinesi della storia, sotto Nino Cescutti e Gianpiero Savio.
Arriva, e dopo la carrambata con la collega Anna Buttazzoni, primina come lui alla di Udine («non ero io che rubavo le merende eh», scherza il campione»), si racconta. Ha appena scritto “La mia vita a spicchi”, il libro della sua storia con cui si è fatto il regalo di compleanno e lo ha fatto ai bambini meno fortunati devolvendo il ricavato in beneficenza.
Cosa fa adesso Giacomo Galanda?
«Sono project manager della Giorgio Tesi Group di Pistoia, azienda leader mondiale nel vivaismo, seguo il mio camp e collaboro con la Federbasket di cui sono stato per 8 anni consigliere federale. Poi seguo il progetto 3 contro 3 e altro. Ho giocato le ultime tre stagiuoni a Pistoia e lì mi sono stabilito con mia moglie e i miei due figli».
E il Friuli?
«È stato fondamentale, qui ho imparato un insieme di valori pilastri della mia vita. Lo dico sempre ai ragazzi che giocano qui: non avete nemmeno idea di quanto siate fortunati a crescere in questo territorio. Impegno alla parola data, lavoro, senso di appartenenza, affidabilità. Io grazie al basket ho girato il mondo, e l’ho toccato con mano. Alle Olimpiadi di Sydney metà nazionale era friulana e ricordo ancora quando ci ricevettero al Fogolâr ».
Se lo ricorda il suo primo canestro?
«In Serie A con la maglia di Verona. Due canestri, su assist credo del solito Bonora. Era contro Caserta che, scherzi del destino, è ultima squadra contro cui ho giocato nella mia carriera 21 anni dopo ».
No, il primo canestro della sua vita...
«Sicuramente l’ho segnato magari dopo un allenamento di nuoto. Giocavo all’Ubc, la mia squadra. Ho ancora i ritagli di giornali di quella Legnonord che batteva i giganti. Indelebili i ricordi dei miei compagni o dei loro genitori, ora che sono papà me ne accorgo ancor di più, fondamentali in una squadra giovanile, degli allenatori. Tutti i coach che ho avuto mi hanno dato qualcosa e vale per tutta la mia carriera. Penso a Sebastianutti, Bredeon, Dose, Plaino, Ciani, ovviamente Martelossi, che poi mi sono trovato a battere in A2 quando io giocavo a Pistoia e lui allenava Brescia, fino a Tanjevic e Recalcati quelli con cui ho vinto tanto».
Ma lei faceva anche nuoto?
«Certo, e il nuoto mi ha insegnato molto, così come il golf, che ho giocato negli Usa quando andai a fare un anno irripetibile di High Shool a Pocahontas, una cittadina che allora nessuno conosceva e che ora conoscono tutti grazie alla Disney. Fisicità, regole, schemi, organizzazione, passione della gente: in 12 anni ho avuto un concentrato di emozioni».
Poi tornò a Udine per finire gli studi.
«Sì, al Copernico, Sergio Tavcar dice non a caso che il basket è uno sport per persone intelligenti. La fisicità imperante, specie negli ultimi anni, la si combatte con l’intelligenza, con la capacità di leggere il gioco, le spaziature, il tempismo, i diversi momenti di una azione e di una partita. Ragazzi, studiate. Studiate, giocate e divertitevi».
A Verona la portò Andrea Fadini: quanto deve al dirigente udinese?
«Bisogna chiedere quanto deve lui a me (ride ndr). Dirigenti così, profondi conoscitori della pallacanestro, non solo sul fronte tecnico – lui è stato il re dello scouting dai campetti di periferia all’Nba –, ma umano, non ci sono più e mancano tanto».
Lei con quel tiro da tre da lungo ha precorso i tempi, adesso giocherebbe facile in Nba. È d’accordo?
«Probabilmente sì. Ma attenzione, tutti ricordano il mio tiro da tre, ma io la legna la facevo sotto canestro. Certo, più che il mio tiro da tre mi ha aiutato la possibilità di essere pericoloso da lontano».
Il grande Dan Peterson, che la paragonò a Dirk Nowizki, dice che il tiro da 3 andrebbe abolito...
«Premessa, il coach ha sempre ragione. Abolito no, ma andrebbe tirato indietro come in Nba».
Ma allora l’Nba per lei è un rimpianto?
«Ho provato la serie A, l’Eurolega, la Nazionale, con cui ho fatto più di 215 presenze, la High shool, grazie al quale ebbi anche offerte di college, sì lo show dell’Nba l’avrei provato volentieri. Ho avuto diverse offerte, ma sempre nel momento sbagliato».
Tre flash dei suoi altrettanti scudetti con tre squadre diverse?
«1999, la famiglia di Varese con Andrea Meneghin capopolo. 2000: la Fortitudo Bologna col primo scudetto dell’Aquila nella città del basket. E tenga presente che c’ero anche nel 1998 a Bologna quando perdemmo per quel tiro da 4 punti di Danilovic, che prese fallo da Domique Wilkins, quindi di scudetti in bacheca me ne sento 3 e mezzo. E poi Siena, nel 2004, ancora col grande Recalcati come a Varese».
Oro europeo 1999 e Argento olimpico 2004: ha fatto la storia dell’Italbasket.
«La squadra di Tanjevic era pazzesca contro squadre pazzesche, ma noi eravamo programmati per vincere. Atene invece è tanto figlia del quinto posto di Sidney, dove sbagliai il tiro decisivo e del bronzo in Svezia quando vincemmo la medaglia con la Francia di Parker e nessuno alla vigilia ci dava credito perchè avevamo perso Myers, Meneghin, Fucka e Marconato. Ecco a quell’errore al tiro dall’angolo in Australia contro una signora Australia che schierava Gaze o Longley, ripenso spesso più che ai successi, che magari ricordi meno per... imbarazzo».
Nel 2004 batteste gli Usa di Lebron prima dei Giochi...
«Giochiamocela, dicevo a tutti prima della partita, da buon friulano. Con intelligenza giochiamo a basket, portiamoli sul nostro terreno. Alla fine feci quasi 30 punti. Una lezione che è ancora attuale in questo basket dove fisicità e atletismo imperano».
E dell’argento di Atene cosa ricorda?
«L’acido lattico che avevamo nelle gambe dopo la battaglia con la Lutuania. Vero, l’Argentina era fortissima, ma con due giorni in più magari...»
L’avversario più forte che ha affrontato?
«Nowizki, un lungo con la tecnica da guardia, agli Europei 2003 me lo trovai di fronte. Poi metto l’argentino Scola. Ah, quel giorno in cui battemmo gli Usa mi ritrovai a marcare anche Lebron e Duncan».
Deve fare una partit:a scelga altri 4 tra quelli con cui ha giocato o ha affrontato.
«Nowizki vicino a me a prendere botte sotto, anche se devo baciare le mani a Chiacig e Marconato; Karnishovas da ala piccola, Andrea Meneghin e in play Bulleri o Basile».
Scusi, e Lebron?
«Sesto uomo».
Gek, lei vinse il campionato di A2 con Pistoia a fine carriera: consigli a Udine e Cividale?
«Udine mi piace molto quest’anno, profilo basso e tanto lavoro. Cividale è un microcosmo del basket con quel Ferrari che mi piace tantissimo e mi ricorda quando ero ragazzo e trovai a Verona una squadra che aveva fiducia in me. I giovani hanno bisogno di questo».
Tanti auguri Gek.
Riproduzione riservata © il Nord Est