Il calcio dice addio a Beniamino Cancian: da allenatore vinse una Coppa Italia e lanciò Pablito

Nato a Sacile nel 1936, si è spento a 89 anni.   Alla guida, tra le altre, anche del Pordenone, si aggiudicò il trofeo nel 1971 con il Torino. Nel 1975 al Como fece esordire l’eroe del Mundial 1982

Pierantonio Stella
Beniamino Cancian al Torino mentre sfida Omar Sivori
Beniamino Cancian al Torino mentre sfida Omar Sivori

Chissà che ora non siano lì, a ricordare quel 9 novembre 1975. Quando lui, Beniamino Cancian, all’epoca allenatore del Como, nel secondo tempo della sfida con il Perugia gli disse: «Paolo, tocca a te» . E quel diciannovenne, che di cognome faceva Rossi, subentrò a un altro Rossi (Renzo) e fece il suo esordio in serie A. All’incirca sette anni dopo, il ragazzo lanciato da Cancian fece vivere all’Italia calcistica la gioia forse più intensa della sua storia, ovvero il Mondiale di Spagna, diventando Pablito. E chissà che il tutto non avvenga sotto lo sguardo fumante (ovviamente di pipa) del ct di quella storica nazionale, Enzo Bearzot, che assieme a Cancian ha vestito la maglia del Torino.

Sono soltanto due delle istantanee che da lunedì 15 aprile potrebbero affollare il paradiso del pallone. In cui è approdato proprio Beniamino Cancian. Nato a Sacile nel 1936, a 89 anni da poco compiuti l’ex difensore, tra le altre, del Toro (di cui è stato anche allenatore) e del Mantova, e in provincia già tecnico di Pordenone e Sacilese, ha lasciato la moglie Barbara, i figli Alessandro e Francesca e i cinque nipoti.

L’ha fatto all’esito di una lunga malattia nel suo buen retiro di Budoia, dove viveva dalla fine degli anni Settanta. «Mi ha sempre detto – rivela commossa la moglie – che voleva tornare nella sua terra alla fine della carriera. Non ha resistito e l’ha fatto ben prima. Si sentiva orgogliosamente friulano. Tenace in campo e fuori, generoso ed estremamente legato alla famiglia».

Beniamino e Barbara si conoscono a Torino, quando Cancian allena il Torino, squadra in cui aveva anche militato da giocatore. I granata lo scovarono alla Sacilese nel 1954 dopo un gran campionato di quarta serie da attaccante. Ma il suo sogno era giocare in difesa e infatti sotto la Mole, e successivamente a Mantova (assieme a un grande amico: Dino Zoff), diventerà un ottimo terzino: in tutto oltre 240 presenze nei professionisti, tra serie A e B, compresa una parentesi a Venezia, e una a Pinerolo per riprendersi da un infortunio alla schiena. Per chi amava le rovesciate come lui, rischi del mestiere.

Sul Noncello allena il Pordenone in due riprese: dal 1982 al 1986, conquistando altrettante salvezze in C2, quindi nella sfortunata annata 1988-’89, subentrando in corsa a Silvano Flaborea. Ma il suo avvento non bastò a salvare i ramarri. Nel 2000 chiude la carriera alla guida della “sua” Sacilese in Eccellenza, sfiorando la vittoria in Coppa.

A proposito, nel suo palmarès spicca la coppa Italia conquistata da allenatore del Torino nel 1971 al termine dello spareggio con il Milan di Nereo Rocco: 0-0 dopo i tempi regolamentari, 5-3 ai rigori. I penalty del Toro li segnò tutti (allora si poteva) Sergio Maddè, mandato in campo da Cancian a gara in corso. Eh sì, lui dalla panchina sapeva proprio scegliere bene. 

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