«Dicevano che ero matto, ma sono solo nato libero»: Zigoni compie 80 anni e si racconta

Nativo di Oderzo, in provincia di Treviso, Gianfranco Zigoni è stato un giocatore di culto tra gli anni ’60 e ’70. Dopo i primi passi alla Juventus e l’esperienza in prestito al Genoa, è con i bianconeri che inizia a farsi conoscere in Serie A 

Stefano Edel
Il calciatore Gianfranco Zigoni compie 80 anni
Il calciatore Gianfranco Zigoni compie 80 anni

Zigo-gol compie 80 anni. La carta d’identità non tradisce: 25 novembre 1944, nato ad Oderzo, nella Marca trevigiana, Gianfranco Zigoni, professione calciatore.

Sesto in scaletta di 9 fratelli – 6 maschi e 3 femmine – di cui 8 conosciuti, «perché Gianfranco Natale morì bambino nel 1940, quando io ancora non c’ero».

Attaccante di Juventus, Genoa, ancora Juve, poi Roma, Hellas Verona e Brescia, con all’attivo 265 presenze e 63 gol in Serie A. «È un matto, dicevano del sottoscritto, ma io in realtà sono nato libero».

Allora, Zigo, un bel traguardo gli 80. Se li sente tutti addosso oppure è un compleanno che non la sfiora neppure di un centimetro?

«Non mi sento addosso niente, però non festeggio un bel c...o. Per me questo sarà un lunedì normalissimo come tanti altri della mia vita. L’unica cosa che spero è di alzarmi al mattino e di vedere il sole. Ecco allora sarò sereno, contento. Felice no, è una parola troppo grossa».

Ci tolga subito la curiosità: ce l’ha ancora la pelliccia di lupo con cui si presentò una domenica in campo al Bentegodi di Verona? È vero che vinse una scommessa con i compagni di squadra?

«No, purtroppo, non ce l’ho più perché nel 1976 fui coinvolto in un incidente sull’autostrada A4, fra Dolo e Mestre, mentre tornavo a casa. Volli fare come James Dean, ovvero superare un camion sulla destra mentre sfrecciavo a 150 chilometri orari. Il problema è che quel giorno piovigginava e centrai il camion dietro, fermandomi 200 metri più avanti con la macchina completamente distrutta. Ero tutto insanguinato. Mi portarono all’ospedale di Mestre, dove rimasi ricoverato un paio di giorni con la testa rotta, prima di essere trasferito su mia richiesta in quello di Verona. Tuttavia la pelliccia, macchiata di sangue, era irrecuperabile. La buttai via».

Ma non ci ha detto perché si era presentato per la prima volta con quel capo di abbigliamento in campo...

«Ferruccio Valcareggi, che al tempo era l’allenatore dell’Hellas, prima di quella partita con la Fiorentina mi disse: “Zigo, è una squadra grossa, se giochi male (perché di partite ne ho sbagliate diverse), non ti vendiamo più. Meglio che vieni in panchina oggi, perché abbiamo vinto anche senza di te, e allora la squadra va bene così com’è”.

“Coosaaa?”, gli replicai fingendo di essere stizzito, ma in realtà stavo scherzando. “Mister, io che sono il più grande giocatore del mondo (insieme a Maradona e Pelè) finisco in panchina. Vedrà...”. E lui: “Cosa vuoi dire, matto? Che intendi fare? ”. “Niente, niente”.

Allora entrai in campo con la pelliccia, la pistola a tracolla regolarmente denunciata, e a petto nudo. Alla fine del primo tempo perdevamo 2 a 0, e Valcareggi mi chiamò: “Dài, Zigo, tocca a te”. “Ah, adesso ha bisogno perché perde...”. Mi tolsi la pelliccia ed entrai, presi un palo e segnai la rete del 2 a 1.

A fine partita, andai dal grande Valca, a cui volevo comunque un mondo di bene, anche perché mi lasciava dormire fino alle 10 del mattino la domenica: “Visto, mister? Se avessi giocato dall’inizio, questa partita l’avrebbe vinta”.

Il presidente Saverio Garonzi voleva un provvedimento duro da parte sua per la mia presunta scenata. E Ferruccio gli obiettò: “Si arrangi lei con lui, io proprio non ci riesco”. Quella pelliccia mi fece anche vincere 50mila lire, l’ammontare della scommessa con i compagni: sarei andato sul terreno di gioco conciato così».

 

Zigoni in panchina con la pelliccia
Zigoni in panchina con la pelliccia

Quanto sregolata era la sua vita?

«Tutte le notti fuori, bevevo e fumavo. Diciamo che non mi sono mai fatto mancare nulla. Giocavo anche a bocce, altro che andare a donne!

I calciatori che sostengono di averne avute a centinaia di che cosa si devono vantare? La donna trattata come un oggetto non mi piace.

Devo poi tantissimo a mia mamma Stefania, un esempio, la chiamavano Stella. È morta purtroppo a soli 56 anni, mentre mio papà Francesco ci lasciò a 59».

È stato in 5 squadre di A, ma come le posizionerebbe nella sua classifica ideale?

«Mi hanno trattato tutte come se fossi un dio. Forse alla Juventus c’era più rigore, a dire il vero non sarebbe stato il mio ambiente preferito, anche se ci sono stato bene ugualmente. Io ero uno più per il popolo, e per questo in testa a tutte metto il Verona, che considero la mia mamma, mentre la Roma è stata il mio papà».

C’è un altro momento che resterà impresso nella storia del calcio: la fatal Verona, quella partita del 20 maggio 1973 vinta dai gialloblù 5-3 con il Milan di Nereo Rocco, che costò lo scudetto ai rossoneri dopo il trionfo di Salonicco in Coppa delle Coppe.

«Quella gara l’ho decisa da solo (e ride, ndr). Lazio e Juventus erano un punto dietro al Milan capolista.

Eravamo già salvi, ma il presidente Garonzi negli spogliatoi ci promise un premio doppio (pari a 600mila lire a testa, ndr), e noi eravamo tutti lì a chiederci: “Ma come, un tirchio come lui adesso ci raddoppia il premio? ”.

Entrammo al Bentegodi, ed era tutto o quasi rossonero. Al 17’ dico a Mazzanti: “Mi date ’sta palla o no?”. La presi, saltai Anquilletti e poi Turone e la misi sulla testa di Sirena per l’1 a 0. Li annichilimmo, io diedi loro il pugno del ko e il resto lo fecero i vari Luppi, Busatta e compagnia bella».

Torniamo per un attimo alla questione della pistola.

«Era una Smith&Wesson. L’ho regalata al comandante dei carabinieri, ma mi sono tenuto la cintura. Il porto d’armi era assolutamente regolare, ma dopo un po’ che sparavo ai lampioni il questore di Verona non me lo rinnovò.

Mi chiamavano il killer di Oderzo, ma che killer sarei stato senza la pistola? E così la nascondevo quando eravamo in ritiro a Veronello».

Grande la sua amicizia con Ezio Vendrame.

«La priorità nostra non era il calcio, ma, ripeto, vivere liberi».

Chi le è piaciuto di più dei campioni del recente passato?

«Baggio e Cassano».

È padre di 4 figli e ha 5 nipotini. Un nonno speciale...

«Che cosa posso chiedere di più alla vita? Sono un dio e ho avuto tanto ma, più di ogni altra cosa, ho avuto la fortuna di poter fare sempre ciò che volevo».

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