La possibile rielezione alla Figc e il sogno degli Azzurri, l’intervista a Gabriele Gravina: «Quanto ci mancano i mondiali»
Il numero uno della Figc a tutto tondo: tantissimi i punti affrontati dalla Nazionale (per cui “ci sono buone prospettive”) ai temi di attualità
Una partita di pallone e fuori dallo stadio cavalli di frisia e cani poliziotto per paura di attentati, mentre a migliaia di chilometri si muore sotto le bombe, non è quello che sognava quell’11 luglio 1982 quando in Abruzzo, dopo aver gioito davanti alla tv con la famiglia, scese in strada unendosi con gli amici ai caroselli per festeggiare il Mundial di Zoff, Bearzot, due friulani che fecero grande l’azzurro.
Gli stadi, le curve malate, le nuove regole del calcio, le proprietà americane che portano tante novità nel nostro pallone. E poi il Mondiale. Quello che l’Italia vuole, no deve, giocare nel 2026 dopo dodici anni di assenza e che il presidente della Figc, Gabriele Gravina, vorrebbe “giocare” ancora alla guida della Figc.
Non lo dice se si ricandiderà, lo si saprà soltanto dopo l’Assemblea federale del 4 novembre per la modifica dello Statuto, quella che ridisegnerà gli equilibri nel governo del calcio, ma lo si capisce da come racconta il pallone nostrano, difetti inclusi.
Tutto questo nel Forum che il numero uno della Figc ha tenuto al Messaggero Veneto accolto in primis dal direttore dei sei quotidiani Nem, Luca Ubaldeschi e da due dei suoi vice, Giancarlo Padovan e Paolo Mosanghini.
Un’ora e più di botta e risposta con una certezza: la Nazionale tornerà presto in Friuli Venezia Giulia anche per ambiziosi progetti con la Regione, dall’idea di organizzare il 14 agosto 2025 la Supercoppa Europea o portare le finali di Nations League fino alle partite degli Europei 2032, con tanto di progetto di ampliamento del Bluenergy Stadium a 30 mila posti.
Il direttore Ubaldeschi tocca subito il tema del giorno.
Presidente, una partita così nessuno l’avrebbe voluta giocare.
«Il calcio deve essere sempre portatore di pace e valori. Non può ritenersi estraneo, per vocazione, a quel che accade nel mondo, ma è strumento di grande socializzazione, ha sempre abbattuto barriere, messo insieme culture diverse, fatto dialogare i popoli: il calcio non deve piegarsi alle logiche della politica, ma è uno degli elementi che genera dialogo tra popoli. Vi ricordate la partita Usa-Iran? Auspichiamo che finisca la guerra e ci sia il rilascio degli ostaggi, segno tangibile nel rispetto della dignità delle persone».
In tanti chiedono che, come accaduto con ex Jugoslavia e Russia, Israele venga esclusa dalle competizioni internazionali.
«Ripeto: noi riteniamo che il calcio debba essere veicolato e valorizzato nelle sue meravigliose dimensioni. Comunque non è bello andare a una partita in questo modo e ci dispiace che i friulani l’abbiano dovuto fare».
Ci sarà alla manifestazione di pace della Rondine il 28 ottobre?
«No, c’è il Consiglio federale che prepara l’Assemblea cardine del 4 novembre. Sul patrocinio ho apprezzato molto la spinta entusiastica del presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, che ha sùbito dato adesione perchè il calcio non è uno strumento che deve essere fazioso. Noi riteniamo di essere super partes, un veicolo di pace, di unione e di aggregazione. Non possiamo dividerci su questo argomento. Ho rispettato la scelta iniziale del sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni, di non concedere il patrocinio, siamo stati coinvolti direttamente nella vicenda col presidente del Comitato Fvg, Ermes Canciani, ottimo mediatore. Sentita anche la comunità ebraica abbiamo voluto così aderire all’iniziativa di pace della Rondine».
Il Friuli Venezia Giulia ha dato tanto all’azzurro.
«Certamente. Siamo tornati in questa terra, dove l’azzurro è di casa anche per il grande contributo che nella storia ha dato con i suoi talenti al calcio italiano, penso a Bearzot, Zoff, Capello, Collovati, Burgnich, ora Meret, Vicario, Provedel e Cristante, perchè è una terra dove si respira calcio, sport, civiltà. La Nazionale guarda al futuro e ai prossimi obiettivi anche ricordando i suoi campioni del passato».
Presidente come si cancella un Europeo così deludente?
«Semplicemente non cancellandolo, ma usando quell’esperienza negativa per ripartite. Io non voglio dimenticarlo, lo continuo a ripetere ai ragazzi, al mister e allo staff, a tutti. Non dobbiamo commettere gli stessi errori. Ciascuno, dopo una settimana di riflessione, mister in testa nella sua tenuta in Toscana, si è assunto le sue responsabilità. Ora il clima è più sereno, abbiamo invertito la rotta. La rosa è più ristretta, a un certo punto con tutte quelle convocazioni negli ultimi 4-5 anni dovevamo addirittura sdoppiare gli allenamenti. Ora recuperiamo un paio di giocatori come Barella e Chiesa e ci attestiamo su un gruppo di 24-25 atleti, pronti naturalmente alle novità».
La botta però è stata forte e le critiche feroci.
«Sì, ma ora siamo più forti ad accoglierle. Tra l’altro, molte volte si è utilizzato il flop sul campo, si è addirittura attaccato gli azzurri, per attaccare la governance federale: inaccettabile».
L’Italia non gioca un Mondiale da dieci anni, era il 2014 il morso di Suarez a Chiellini sembra preistoria. Quanto manca il Mondiale al nostro calcio?
«Tantissimo, è un mio cruccio. Ne ho mancato uno da presidente, quello del 2022, anche se mi attribuiscono anche quello prima. Solo partecipare a un Mondiale per un paese è una vetrina, un motivo di aggregazione per la gente. Ma le prospettive sono buone, sarà importante fare bene in Nations per il ranking e avere un sorteggio migliore alle qualificazioni. E poi, negli ultimi cinque anni di nostra governance abbiamo avuto i risultati migliori nelle giovanili. Dalla 20 alla 19 fino al nostro orgoglio: la Nazionale Under 17 , il simbolo di una progettualità. Quei ragazzi hanno battuto 3-0 il fortissimo Portogallo anche in intensità e gioco. Ecco, non mancherà molto che l’Italia tornerà a essere riferimento con la nazionale maggiore, tornerà nella ristretta cerchia dei grandi mondiali. Perchè i talenti li abbiamo, rincresce vedere però come spesso non vengono utilizzati dai club, penso a Camarda del Milan. Il talento ha bisogno di opportunità, all’estero le danno».
Presidente, il Decreto crescita però è un invito ai grandi club a investire sui campioni all’estero piuttosto che sui giovani.
«Non commento il Decreto crescita, ma non si può pensare di avviare un’attività imprenditoriale nel calcio se non si valorizzano due asset: i vivai e gli stadi. Non possiamo pensare di puntare sui vivai solo se arrivano gli incentivi a farlo o sugli stadi se li paga qualcuno. A Udine una famiglia lungimirante come i Pozzo ha investito sullo stadio dieci anni fa, poi sono arrivate altre come l’Atalanta. Ora le proprietà straniere stanno facendo altrettanto».
Quindi le proprietà straniere non la preoccupano?
«No, è la globalizzazione. Solo in Germania, modello che preferisco tra quelli esteri per capacità di valorizzare un prodotto nella sostenibilità, il limite del 51% delle quote di un club che deve essere tedesco non avvicina gli investitori stranieri. Chiaro, 4 club di serie A sono di proprietà di fondi che puntano come ovvio alla finanza, ma ho avuto modo di confrontarmi con alcune proprietà straniere e sul fronte stadi, infrastrutture e merchandising hanno una marcia in più, una spinta che a mio avviso può portare solo dei vantaggi. Il calcio si sta evolvendo e sta seguendo le leggi più crude dell’economia di mercato».
Tutti puntano ad aumentare il fatturato. È la strada giusta?
«Non del tutto. Se punti solo sul fatturato e i costi finiscono comunque per superare la produzione fallisci comunque. In Germania non funziona così e infatti da 15 anni le società di calcio sono in attivo e con risultati sul campo tangibili».
Cosa cambierà?
«Credo che i diritti televisivi diminuiranno per i campionati domestici e aumenteranno per la competizioni internazionali, in testa Champions ed Europa League, e questo provocherà dei guai in futuro. Ecco, dovremmo essere pronti ad accompagnare un processo inevitabilmente legato all’economia affrontandolo e riscoprendo magari valori come l’identità territoriale, la passione per il calcio e altro».
Il calcio sta cambiando anche sul fronte regolamentare. Cosa prevede nel futuro?
«Sulla videoassistenza arbitrale (Var light), grazie alla tecnologia, si possono fare passi avanti, a breve con la sperimentazione anche nella Lega Pro o nella serie D ove sia possibile con gli impianti. Poi credo che sia necessario puntare sul tempo di gioco effettivo, abbiamo scoperto dai dati dello scorso campionato che alcune squadre hanno finito per disputare qualche partita in meno a forza di interruzioni».
Il 4 novembre ci sarà l’Assemblea per la modifica dello statuto: lei si ricandiderà alla presidenza?
«Ho preso un impegno, scioglierò questa riserva dopo l’Assemblea per una forma di rispetto verso i delegati. Non voglio che la modifica statutaria possa essere condizionata dalla decisione di una mia candidatura. Poi dirò quello che ho in mente di fare. Non ho intenzione, però, di lasciare in mano il calcio italiano a soggetti che non hanno visione e amore per il calcio».
L’inchiesta sulle curve di Milan e Inter non è una bella notizia per il nostro calcio.
«Il fenomeno delle contaminazioni di alcuni interessi non è solo italiano: il tifo è un insieme di capacità del saper manifestare le proprie passioni e vivere le proprie emozioni per una squadra e il gioco. I delinquenti grazie alla tecnologia, e anche l’intelligenza artificiale, vengono espulsi dagli stadi, il resto lo devono fare le istituzioni, in primis il Ministero dell’Interno che sta facendo un grande lavoro, con cui noi collaboriamo da sempre».
I gruppi organizzati di tifosi spesso ricattano i club. Ci sono presidenti che girano con la scorta. Che fare?
«Toccare la responsabilità oggettiva sarebbe distruggere uno dei pilastri di riferimento del nostro sport, ma sulla responsabilità oggettiva abbiamo comunque inserito le cosiddette cause esimenti e attenuanti che scoraggiano comportamenti e commistioni di questo tipo. Cerchiamo di costruire un argine al fenomeno anche con una maggiore sensibilizzazione da parte delle società».
Presidente, quando tornerete in Friuli Venezia Giulia?
«Presto. È una regione strategica per il calcio. Ogni volta che io, il mio staff, la Federcalcio arriviamo qui ci sentiamo a casa, davvero a casa. Con la Regione, grazie a un’intuizione del presidente Massimiliano Fedriga, stiamo avviando una collaborazione interessante e abbiamo diverse idee in testa, anche grazie alla collaborazione di una società modello come l’Udinese calcio. Se la Uefa lo vorrà, l’idea è quella di poter ospitare qui la finale della Supercoppa europea del prossimo 14 agosto.
Per le finali di Nations League, intanto, anche con Trieste, bisogna che l’Italia si qualifichi, e stiamo lavorando per questo, perchè, ripeto, è anche importante in chiave qualificazioni mondiali, e poi lo stadio Friuli dovrà essere ampliato fino a 30 mila posti, cioè di quattromila, ma c’è già un progetto dell’Udinese che ci lascia ben sperare. L’obiettivo sarà anche ospitare alcune partite dell’Europeo femminile nel 2019 con vista su quello maschile nel 2032».
Idee, progetti anche se embrionali. Su sfondo azzurro. Gravina, che è anche vicepresidente dell’Uefa e capo della commissione sulle grandi manifestazioni, come quelle di Champions ed Europa League, insomma è l’interlocutore giusto. Uno che 38 anni fa scese in piazza per Zoff e Bearzot e che una partita di calcio così blindata non la vuole più vedere. E non è il solo.
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