L’atleta perfetto
Sinner lo è. come forse lo sono stati Mennea, Tomba e Paolo Maldini per rimanere in tempi recenti. È probabile che lo sarebbe stato nello sci come nella pallavolo, nel calcio come nei 400 metri ostacoli
In fondo siamo soltanto giocatori di tennis, ha detto qualche giorno fa Jannik Sinner. Sbagliando. Tutti gli altri lo sono, lui no.
Sinner è l’atleta perfetto, come forse lo sono stati Mennea, Tomba e Paolo Maldini per rimanere in tempi recenti. È probabile che lo sarebbe stato nello sci come nella pallavolo, nel calcio come nei 400 metri ostacoli.
Il tennis lo ha scelto perché gli somiglia, gli si adatta come un guanto alla mano. Il tennis è uno sport per folli e solitari. E lui arriva da una terra di grandi solitudini. Il tennis a volte è crudele e sanguinario come la boxe e Sinner incarna tutto questo ma ferisce e uccide con colpi da chirurgo, lasciando alla vittima un sorriso di congedo, un qualche segno di rispetto, coraggio, pietà. Ti andrà meglio la prossima volta. Sottinteso, basta che non incontri me. Ha imparato presto ad essere un buon comunicatore, sa farsi voler bene, si è portato appresso i silenzi della montagna, come accadde a Thoeni.
In campo ci mette una ferocia mascherata con l’empatia del bravo ragazzo. Poi pensi che in un anno ha perso solo sei partite, vedi come ha trattato a Torino uno dopo l’altro gli avversari delle Finals e ti rendi conto di essere al cospetto di un mostro. Quando era appena numero 96 del mondo il compianto Gianni Clerici disse di lui dopo una chiacchiera con Riccardo Piatti, suo primo maestro dal 2014 al 2022, poi abbandonato per motivi rimasti in parte misteriosi: «Non ho mai visto un tennista italiano più dotato. È nato un nuovo Pietrangeli».
Sinner ha gradito fino a un certo punto l’accostamento con Nicola ma ha educatamente glissato sull’argomento. Poi ha vinto a Sofia il primo torneo Atp a 19 anni, due mesi e qualche giorno, due Slam, Australia e New York a 22 anni, ha scalato la vetta della classifica Atp e si è gettato alle spalle i paragoni con Pietrangeli e Panatta. In pace i cuori.
Ha svoltato la Storia, nessun giornalista gli ha più fatto domande sulla vicenda. Mai l’Italia aveva avuto un campione così grande, venuto da un luogo così poco italiano. Nella sua trasformazione in cannibale del tennis ha quasi fatto dimenticare la nostalgia degli appassionati per Federer, ha spinto nella semioscurità della fama gli ultimi fasti di Nadal e Djokovic, ha relegato al ruolo di comprimari gli altri bravissimi azzurri, suoi compagni di Davis. E, soprattutto, ha scatenato crisi di identità nello spagnolo Alcaraz, il solo capace di batterlo, l’unico che nelle giornate buone gioca meglio di lui.
Insomma, siamo tutti Sinner. È un carnevale delle carote. A Roma i bancarellai hanno piazzato il suo ritratto accanto al calendario dei preti belli, sua la réclame di una decina di marchi tra i più importanti del paese. Ci sono insegnanti di scuole medie che agli alunni hanno proposto questo tema: “Spiegate perché Jannik Sinner è un italiano modello”. Nonostante la residenza a Montecarlo, che gli consente di sottrarsi al fisco italiano. Un bel risparmio per uno che nella sua ancor breve carriera ha incassato più di 30 milioni di euro di soli montepremi.
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