Cosa faranno gli sponsor di Sinner dopo l’accordo con la Wada
Il compromesso win-win e la sospensione forzata, figlia del patteggiamento: nessun marchio si legherebbe mai a un atleta sospettato di doping. Ma il caso qui è diverso: come andrà a finire?

Vi è un momento in cui la tecnologia, i controlli, le regole, le imposizioni estreme non bastano più a dare agli uomini fiducia in se stessi, e la loro sapienza si disfa in debolezza.
Finisce la questione giuridica, con un accordo “win-win” tutto sommato comprensibile e onesto, e per Jannik Sinner ne iniziano altre, persino più rischiose e parecchio problematiche.
Il caso Sinner si infiamma, ormai è una saga a puntate di cui la prima (il sofferto accordo con la Wada) è solo il preludio a una serie di cui è difficile vedere la fine. Eticamente, la faccenda più brutta e inattesa è lo scambio di accuse e gelosie da parte dei colleghi tennisti, anche se viene il dubbio se colleghi lo siano veramente.
Chi vince troppo diventa antipatico
Il tema è antico: chi vince troppo a un certo punto diventa antipatico. Succede a tutti, in tutti i campi. E allora giù critiche, dubbi, insinuazioni. Bruttissimo.
Oggi Sinner potrebbe dire «che bella giornata», e ci sarebbe subito pronto un giornale straniero: «…Uhh, com’è noioso Sinner!». Succede spesso fra medici architetti o avvocati, di criticarsi l’un l’altro, ma qui siamo nello sport, che si nutre di etica, lealtà e rispetto.
Non è retorica, è così. Chi fa sport firma un contratto non scritto, che fa appartenere a un altro mondo, un’altra chiesa, con altri valori. E altre regole. Non sempre le migliori, ma diverse.
La più importante si chiama rispetto dell’avversario. Perché parli allora, Wawrinka? Sei un medico? Un biologo? Conosci la materia? Sei a fine carriera, facevi meglio a stare zitto perché qui il tema è talmente complesso che alla fine è sfuggito di mano anche ai soggetti coinvolti.
Il patteggiamento infatti si fa in due, quindi lo ha siglato Sinner ma anche la Wada, che, alle prese con una lacuna regolamentare grossa così, tante certezze evidentemente non ne ha. Rischiava anche lei, davanti a una sentenza di un organismo terzo, emessa in Svizzera. Un’assoluzione, quindi un insuccesso per la Wada, non avrebbe fatto contento nemmeno Trump, pensando che la Wada è un organismo americano sotto controllo governativo.
Il rapporto con gli sponsor
Se davanti a un universo che gli sembrava amico ma non lo è più Sinner troverà gli antidoti, diverso è invece il tema legato ai rapporti commerciali e al potenziale danno di immagine, suo e di chi si è legato al suo nome. I contratti di sponsorizzazione, se sono solidi e ben scritti, prevedono sempre una clausola che tutela l’azienda nel caso di comportamenti lesivi. Il doping è certamente fra questi.
L’atleta scelto come testimonial è dopato? Per carità, sarebbe il peggio del peggio. Già, ma un patteggiamento rientra in questo ambito? Si può dire con certezza che Sinner sia rimasto coinvolto in un caso di doping? Non è un caso chiaro, netto. Più no che sì.
La Lavazza pensa che chi acquistava prima il suo caffè perché lo legava al volto di Sinner, oggi non lo farà più? Lo stesso per De Cecco, Fastweb o uno degli altri sponsor del nostro tennista. In questo genere di contratti è allora decisivo il rapporto fiduciario, nel quale assumono particolare rilevanza i doveri di correttezza e buona fede.
Facciamo un semplice calcolo: per giustificare 1 euro di pubblicità, l’azienda ne deve fatturare 3. Se i ricavi scendono sotto questa soglia, allora si può parlare di danno di immagine. Che non vorrebbe dire per l’azienda solo risolvere il contratto con l’atleta, ma chiedere a propria volta un risarcimento, per il danno d’immagine subito. Un bel guaio. Improbabile che succeda per contratti a lungo termine (Nike), possibile per contratti brevi, dove non esiste un “tempo tecnico” per assorbire lo shock negativo.
La squalifica
Poi c’è il problema dell’assenza dai campi per tre mesi. Le aziende pagano un tennista perché gioca 11 mesi all’anno, in pratica tutti tranne dicembre. Per questo Sinner è più richiesto di Jacobs: sono 25 tornei contro una, al massimo due gare all’anno. Un po’ pochine. Cosa succede però se il tennista di mesi ne gioca 8? Se un giocatore si infortuna non c’è riduzione perché siamo nel campo dell’alea, ma il caso di Sinner è palesemente diverso.
Le possibilità sono due: una riduzione del compenso “pro quota” o, più verosimilmente, il prolungamento del contratto per il numero di mesi perduti. Una faccenda intricata, da qualunque parte la si prenda. Tenendo anche presente che le programmazioni pubblicitarie sono fatte con mesi di anticipo e durano per settimane. Sinner in tv lo vedremo ancora. Ma come può reagire oggi uno spettatore davanti allo spot del caffè? Meglio perché più incuriosito di prima, o peggio? («ma cos’ha combinato Sinner?»). Un tema, per sociologi dei comportamenti di massa.
Il nodo allenamenti
Non bastasse, Sinner deve adesso risolvere il problema del dove allenarsi, come e con chi. Offerte ne ha, ma qui siamo a un altro capitolo della saga. Gli sono precluse fino al 13 aprile le strutture affiliate a qualsiasi federazione, anche straniera.
Quindi dovrà trovarsi un campo privato, tipo struttura alberghiera. Il partner non deve essere tesserato, a nessuna federazione. Federer lo è? Nadal? Difficile, visto che ovunque per giocare a tennis il tesseramento è necessario perché legato all’assicurazione infortuni.
Le regole della Wada sono implacabili e vanno di pari passo con gli obblighi di reperibilità, per cui gli atleti delle discipline olimpiche (il tennis lo è) sono tenuti a comunicare sempre i loro spostamenti.
Un problema in una situazione normale, un calvario in pendenza di una condanna. “Non tesserato” sarebbe un giocatore che incorre in squalifica e a cui, per decisione della Federazione di appartenenza, verrebbe ritirata la tessera. Magari per tre mesi, guarda un po’. Si vuole arrivare a tanto?
L’Accademia di Dubai è un’idea, ma meglio forse la “soluzione americana”, ingaggiando uno dei giocatori che frequentano un college. Fino alla fine del percorso di studi non giocano negli Atp perché in caso di introiti superiori ai 35.000 euro perderebbero la borsa di studio. Non conviene, evidentemente. Ma sono ottimi giocatori, come John Isner che è entrato stabilmente nel circuito a 24 anni, dopo la laurea in ingegneria, ed è stato per anni il miglior giocatore Usa.
Un tennista e basta
Un patteggiamento in genere serve a placare ma è difficile che nel breve tempo il caso Sinner si smonti. Troppa visibilità, troppi problemi, troppo denaro. Contro regole mal scritte e un certo accanimento, è rimasto in fondo un ragazzo di 23 anni. Né mostro né angelo: ma tennista e basta.
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