Sinner, l’umanità è il suo colpo migliore

La pietas di un vincitore a Melbourne, che prima domina e poi consola, e dopo la spietatezza dell’agonismo si converte religiosamente all’empatia verso l’avversario

Fabrizio BrancoliFabrizio Brancoli
L'abbraccio di Jannik Sinner al suo allenatore Darren Cahill
L'abbraccio di Jannik Sinner al suo allenatore Darren Cahill

Qual è il colpo migliore di Jannik Sinner? È questo nuovo diritto, forte e preciso come un laser, lontano parente del fragile fondamentale da fondocampo con il quale il fuoriclasse della Val Pusteria ha esordito nel circuito? È la risposta, con la quale spesso riesce a contrattaccare sbilanciando l’inerzia dello scambio? È il rovescio bimane, la smorzata giocata indifferentemente nelle quattro varianti sinistra-destra e lungolinea-incrociata? Qual è la sua forza, il marchio di fabbrica del mito tennistico che sta costruendo giorno per giorno?

Non per essere romantici, ma il colpo migliore è la sua umanità controllata. L’umanità che gli consente di affrontare pressioni e responsabilità onerose, che lo induce ad allestire un team dove amicizia e competenza si fondono. L’umanità del trionfatore delle Atp Finals, che per prima cosa invece che esultare ringrazia l’arbitro perché è alla sua ultima uscita ufficiale. L’umanità di un vincitore a Melbourne, che prima domina e poi consola, e dopo la spietatezza dell’agonismo si converte religiosamente all’empatia verso l’avversario.

Non l’hanno ancora premiato con la coppa, potrebbe godersi il suo tripudio interiore, invece va da Sasha Zverev per confortarlo, parlargli e mettergli le mani sulle scapole, come per condividere la fatica e sottrargli un po’ di quell’enorme delusione che deve provare. Quello, a dispetto di tutti i mostruosi progressi tecnici e tattici, è il colpo migliore di Jannik Sinner.

È una persona diversa. È omerico, ha il dono dell’umanità. E può portarci a un livello ulteriore di civiltà sportiva. Prova la compassione di Achille quando restituisce a Priamo il corpo del figlio Ettore, dopo averlo straziato in battaglia. È la pietas che frequentiamo in Virgilio, in Dante e in Shakespeare, che giocano i Wimbledon della letteratura e che avevano capito tutto. Una pietas che questo ragazzo possiede da sempre, donata dalla sua famiglia, che gli ha insegnato a rifiutare come inaccettabile un’altra parola antica, la hybris, la tracotanza rabbiosa. Il territorio dove lui non è cittadino.

Alexander Zverev ha parlato chiaro. In campo ha detto: «Speravo di essere competitivo, ma sei troppo forte. Semplicemente, te lo meriti». Poi, davanti ai giornalisti: «Mi ha completamente surclassato da fondo campo. Io servo meglio di lui, ma lui è migliore in tutto il resto. Si muove meglio di me. Colpisce il dritto e il rovescio meglio di me, risponde meglio di me, fa la volée meglio di me. Nel tennis ci sono cinque o sei colpi chiave. E lui, servizio a parte, li fa meglio. Stop».

Chi poteva impensierire un numero uno del mondo se non il numero due, in grandi condizioni di forma e di morale, poco stanco perché reduce da una semifinale rapida? Chi poteva farlo se non uno che è forte in difesa e coraggioso in attacco, e regge ogni urto sulla fatidica diagonale di rovescio? Ma il numero due ha perso in tre set e non ha avuto alcuna palla break a disposizione.

Ora viene da chiedersi quale possa essere diventato il ristretto perimetro delle insidie per Sinner; sembrano pochissime. Carlos Alcaraz ha il tennis tecnico, intenso e accelerato per togliere un sorriso a Sinner, ma deve arrivare a sfidarlo e, per ora,troppo spesso, inciampa nel percorso. In condizioni standard, Sinner è battibile da un Rune ispirato, da un Djokovic in versione amarcord (ma sempre più a patto che sia un match in 2-3 set) e da qualche avversario epifanico, tipo un battitore da 40 aces o qualcuno in stato di grazia assoluto. Nient’altro. Tocca aspettare che Alcaraz maturi e poi, semmai, la prossima onda, sulla quale sta già surfando il brasiliano Joao Fonseca (2006) che ha le caratteristiche per far viaggiare la palla con linee dirette, traccianti, come quelle del nostro campione.

Poi, magari, un giorno si siederà al tavolo dei grandi un 2007 svizzero di Basilea, che gioca un poetico rovescio a una mano, impugna una Wilson e ha appena vinto l’Australian Open degli juniores. Si chiama Henry Bernet, non è la reincarnazione di Federer ma è allenato da Severin Luthi (lo stesso coach di Re Roger) e fa inevitabilmente pensare a una clonazione tennistica. Si scherza, eh. Ma se nel frattempo vedete un sosia adolescente di Nadal allenarsi su un campo terroso, vi preghiamo di contattarci.

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