Motori, Pernat lo scopritore di campioni: «Rossi era un genio. Marquez e Bagnaia? Punto su Pecco»
Il grande manager racconta la sua straordinaria avventura nel motociclismo: «Biaggi andava sui binari, ma il successo di Vale lo mise in ombra. Simoncelli, rimpianto enorme»

Dieci? Quindici? Venti? Quante volte ha fatto il giro del mondo Carlo Pernat, al seguito del circo del Motomondiale? «In effetti dal 1979 a…ieri non mi sono mai fermato», sorride il manager genovese, 77 anni il prossimo agosto. A ottobre però Pernat ha detto basta: «Ordine del professor Bassetti, che mi ha preso in cura. L’enfisema polmonare non mi permette di sopportare le fatiche delle trasferte. Peccato. Rimpianti? No, la mia vita resta un meraviglioso almanacco di esperienze. Faccio l’opinionista per GPOne, un sito specializzato, per Radio24, SkySport e la Rai nella rubrica Reparto corse».
Pernat, lei è stato lo scopritore, fra gli altri, di Max Biaggi e Valentino Rossi. Ha seguito Marco Simoncelli fino alla tragica morte in pista a Sepang, nel 2011. La prima delle sue tredici vittorie mondiali?
«Il Mondiale di cross con la Gilera nel 1979. L’anno dopo la Piaggio mi spedì in F1 con la Ferrari di Schekter e Villeneuve. E via di seguito…»
Tutto iniziò alla Piaggio.
«Anno 1974, stavo al marketing. L’azienda con sede a Genova e gli stabilimenti a Pontedera. La mitica Vespa venne progettata a Courbevoie, nei pressi di Parigi, anno 1949, dall’ingegner D’Ascanio. In qualunque angolo del mondo se citi il nome Piaggio ti rispondono: Vespa».
Tutto finito: la Piaggio, la Cagiva, la Gilera…
«Nel 1987 organizzai la presentazione della Cagiva a palazzo Chigi, il premier era Bettino Craxi. Ne scrissero i giornali di tutto il mondo».
Come scoprì Valentino?
«Il padre Graziano, un amico, mi martellava: “Vieni a vedere mio figlio, a 15 anni è un fenomeno”. Andai a vederlo a Misano. In sella alla moto faceva traiettorie che non faceva nessuno. “Quello è un pazzo o un campione”, mi dissi. Mi precipitai da Ivano Beggio, il patron dell’Aprilia. “Ma chi è ‘sto Rossi?”, mi gelò. Impiegai una settimana a convincerlo che Valentino sarebbe diventato un campione. Mi aiutò il fatto di aver scoperto Max Biaggi. Gli feci firmare un contratto di tre anni con la casa di Noale: il resto lo conoscete».

Mica tutto. Come andò la rivalità con Max Biaggi, un altro dei suoi pupilli?
«Valentino è un Black& Decker. Un trapano. Conosceva tutto degli avversari, gli leggeva nel pensiero e sfruttava i loro punti deboli. Testa ed allegria, le sue doti. In pista era un improvvisatore geniale. Max era tutto l’opposto: metteva la moto sui binari e andava. Ebbe il merito di allargare l’interesse per Motomondiale oltre il cerchio degli appassionati. Romano, conosceva Costanzo, la Dalla Chiesa, Frizzi, lo invitavano in Tv. Il successo di Valentino lo mise ai margini e Biaggi non fu più lui».
Marco Simoncelli. Il Sic, è stato terzo campione assoluto che lei ha diretto. Sarebbe diventato un grande?
«Ci può scommettere. Era ancora più simpatico di Rossi, un estroverso tutto istinto, in Romagna lo avrebbero definito un “pataca”, anche ingenuo magari. Ma vero. Erano molto amici, il Sic e Valentino. Quel maledetto 23 ottobre 2011, sulla pista di Sepang, Marco perse il controllo della sua Honda con la quale stava gareggiando nel mondiale delle Moto Gp, la ruota anteriore della moto di Rossi, che sopraggiungeva assieme ad Edwards, lo colpì secco alla nuca. Sic morì sul colpo».
Una disgrazia senza colpe, no?
«Valentino invece ritenne di aver causato la morte dell’amico e non se ne diede mai pace, ancora oggi si porta dietro quel dolore. Andai a vivere a casa Simoncelli e Paolo, il papà di Marco, si disperava: “Rossi non si è neppure fatto vivo con me. Eppure erano amici, lui e il Sic”. “Valentino sta soffrendo”, gli dicevo, “Vedrai che verrà”. Due mesi dopo difatti Rossi si presentò alla porta della famiglia Simoncelli, a Coriano. Scoppiò in lacrime, abbracciò Paolo Simoncelli e la mamma di Marco. Le racconto un aneddoto. Un famoso ristorante di Misano ha acquistato la moto di Simoncelli. Ogni giorno, alle 10.10, l’ora dell’incidente in Malesia, la mette in moto. Il proprietario ricorda così il Sic».
Chi gliel’ha fatto fare alla Ducati di mettere Bagnaia e Marquez, due galli nello stesso pollaio?
«La decisione è stata dall’ingegner Dall’Igna che pure aveva allevato talenti come Martin, Bezzecchi, Bastianini ma non li aveva mai scelti come piloti della Ducati. Ha puntato su un ex campione del mondo di 32 anni che negli ultimi tre ha attraversato una serie di incidenti che lo avevano escluso dai migliori. Dall’Igna ha rinunciato anche alla Pramac, passata in Yamaha, che era stato il vivaio nel quale si erano fatti le ossa i giovani piloti che citavo prima. Lo dico sempre: “Gli ingegneri funzionano, non vivono la pista”. Sarà difficile gestire Bagnaia, due titoli mondiali e un secondo posto, e Marc Marquez, che si gioca tutto il resto della carriera».

Lei su chi punta?
«Do il 60% di chance di vincere a Bagnaia e il 40% a Marquez. L’italiano da tre anni lavora con lo stesso team, conosce la moto alla perfezione e non smette mai di metterla a punto, di migliorarla. Marquez ha un team tutto nuovo e non conosce la Ducati come la conosce il Pecco. Potrei fare un accostamento fra Ducati e Ferrari. Anche a Maranello hanno scelto di mettere due galli nello stesso pollaio: Hamilton e Leclerc. L’inglese assomiglia a Marquez, il monegasco a Bagnaia».
L’esperienza lontana nel suo Genoa, con Scerni e Mauro?
«La peggiore della mia vita. Portai sponsor milionari (Cagiva, Ducati, Schweppes), inventai la prima carta di credito del tifoso in collaborazione con la Deutsche Bank. Scerni mi disse che non sapevo fare marketing, ma pubbliche relazioni. Lo piantai in asso su due piedi…»
Riproduzione riservata © il Nord Est