Pantani, 25 anni dopo l’impresa di Oropa: «Una corsa passata alla storia»
La testimonianza di Beppe Martinelli, nell’ammiraglia della Mercatone Uno nel maggio del 1999: <Marco era unico, irripetibile>
La storia del ciclismo, che sa come sconfinare nell’epica, è piena di pagine leggendarie, di imprese alle quali si fatica a credere, anche a distanza di decenni.
C’è una pagina che, più di altre, restituisce il senso di uno sport paradigma della vita, nel bene e nel male. Una disciplina che fa rima con sofferenza, cadute, freddo, vento e pioggia, ma che può aprirsi anche a meravigliosi raggi di sole.
Trenta maggio 1999: a Oropa Marco Pantani firma una delle cose più belle che il ciclismo abbia mai regalato al suo popolo. A causa di un problema meccanico ai piedi dell’ultima salita, il Pirata – che il giorno prima aveva strappato la maglia rosa a Laurent Jalabert – è costretto a inseguire. Non si limita a rimontare, fa di più, fa il Pirata: supportato dai compagni della Mercatone Uno in uno straordinario gioco di squadra, raggiunge e salta 49 corridori, per arrivare da solo al traguardo. Per primo.
Nell’ammiraglia della Mercatone Uno c’era Beppe Martinelli, uno che ha vinto tanto e ne ha viste tantissime. Una così, però, non si era mai vista.
Nel venticinquesimo anniversario dell’impresa di Pantani, il Giro d’Italia ha omaggiato lo scorso maggio quella rimonta che sconfina nell’epica con l’arrivo della seconda tappa che, dopo la partenza da San Francesco al Campo, si concluderà dopo 150 km al Santuario di Oropa. Nel ripercorrere quei momenti, Martinelli ripensa a come Pantani riuscì a dare forma all’impossibile.
Nel farlo, ha un auspicio: «Sarebbe bello e gratificante per Marco – dice il decano dei direttori sportivi italiani – se Pogacar vincesse e indossasse la maglia rosa: darebbe ancora più lustro al successo del 1999. Tutti tiferanno per lo sloveno, l’uomo copertina del prossimo Giro, tutti auspicheranno di rivedere le gesta di Marco. Quel giorno riuscì a fare qualcosa di bello e unico».
Già, di unico. Martinelli riavvolge il nastro della storia. «Quando mi rammentano quel giorno – osserva –, mi viene in mente non tanto l’impresa – una delle cose più belle ed emozionanti della mia carriera –, quanto che in un minuto ci crollò il mondo addosso. Un incidente così, ai piedi della salita: si soffre per tutta l’ascesa, pensando di avere buttato via tutto. E invece…».
E invece Pantani era diverso e, per questo, resta unico. «Invece, Marco riprese e staccò tutti e, lo giuro, non sapeva di averlo fatto: non aveva la radiolina. Spesso partiva senza, Marco era un corridore così, “quello che mi devi dire me lo puoi dire lo stesso”, mi ripeteva. All’arrivo, quando gli venne detto che aveva vinto, rimase sorpreso. Io, grazie alla radio e alla tv, lo sapevo. Ha fatto qualcosa di eccezionale».
«Una vittoria – prosegue Martinelli – che rimane tra le più emozionanti, di quelle che ti ricordi e ne parli. Marco ha ottenuto altre vittorie incredibili, ma questa…».
Un gioco di squadra, si diceva, con i compagni prima ad attendere Pantani e poi a supportarlo verso l’impossibile. Che il 30 maggio 1999 divenne realtà.
«Finché Marco non si alzava dal tavolo – ricorda Martinelli –, non si alzava nessuno: quella Mercatone Uno era così. Il gioco di squadra che si è visto a Oropa c’è stato quasi sempre: uno per tutti, tutti per uno».
Cosa rimane di Oropa? Nel cuore degli appassionati, il ricordo di qualcosa che, probabilmente, non tornerà. Nell’animo, anche un velo di malinconia. Pensando a quel Pirata che emozionava, forte e fragile allo stesso tempo. Unico, come l’impresa di Oropa.
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